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Archive 81, orrore cosmico su Netflix

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Con Archive 81, l'orrore cosmico torna sui nostri schermi. La serie tv adatta il podcast e le atmosfere da creepypasta per lo streaming.

Quando guardo la televisione, poche cose mi danno una gratificazione pari alla storie del terrore radicate nei modelli più classici, se hanno la capacità di portarli nel mondo contemporaneo. Parlo delle atmosfere di Archive 81, una serie Netflix creata da Rebecca Sonnenshine e co-prodotta nientemeno che da James Wan, adattamento dell’omonimo podcast del 2016. La sua particolare combinazione di weird, orrore e stranezza mi ha fatto subito pensare a un’altra serie amatissima degli anni scorsi, Channel Zero di Nick Antosca.

Un primo tratto comune è nella ripresa della mitologia di internet. Parlo delle atmosfere da creepypasta, quei racconti horror concepiti dentro a comunità online, tipici degli anni ’10 del nuovo millennio. Sfruttano il rapporto che abbiamo con le tecnologie attuali e la loro pervasività: esse possono comparire come elemento narrativo, spesso legandosi allo stile della prosa, quando la narrazione si presenta come il post di un forum o uno scambio di email. Può assumere la forma di podcast, come l’Archive 81 originale, da cui lo show Netflix è tratto.

 

L’odierna leggenda urbana si presenta sempre via web. Guardando la serie tv Archive 81 è impossibile non riconoscere quell’origine, benché la rete non sia molto presente nella sua vicenda.

IL WEIRD URBANO DI ARCHIVE 81

In Archive 81 conta tantissimo la messa in scena del weird urbano. La sua ambientazione è fortemente connotata come cittadina, ma quella dimensione diventa presto surreale. Qui spiccano un enorme condominio – come altri che abbiamo incontrato nell’horror – e la versione aggiornata di un maniero gotico, ovvero la casa isolata in cui il protagonista Dan Turner (Mamoudou Athie) rimane per quasi l’intera stagione.

 

Non sappiamo se l’uomo sia intrappolato o meno, perché la serie gioca sul rendere ambigua la sua reale possibilità di prendere decisioni autonome. Di certo è in pericolo, quello lo avvertiamo in ogni frame che ci scorre davanti.

Chiamare Archive 81 “slow burn” non le rende giustizia, perché se la seguiamo immergendoci a dovere, il senso di minaccia è troppo intenso per parlare di “combustione lenta”. Archive 81 è una storia narrata attorno al freddo fuocherello digitale dei nostri schermi, e di questi schermi infatti è piena. Se le date la possibilità di prosperare, vi ripagherà; sarebbe meglio guardarla al buio, di notte, una puntata intera alla volta. Quando la serialità horror non si propone esclusivamente come camp, rendere l’esperienza immersiva fa godere appieno dei suoi aspetti più strettamente legati al genere.

IL FOUND FOOTAGE

Archive 81 è una storia di fantasmi digitali e analogici. È fatta tutta di rimpalli tra un mondo passato che si connette al presente attraverso il nastro di alcune videocassette che il protagonista Dan deve restaurare. Il suo percorso è invaso dalla presenza assente della protagonista di questi video girati negli anni ’90. Si tratta di Melody Pendras (Dina Shihabi), una ricercatrice che ha registrato la sua indagine sui fatti misteriosi avvenuti all’interno di un grande condominio newyorkese, distrutto poi da un incendio.

Come avrete letto ovunque, si tratta di found footage che però non è girato come tale: i reperti video sono mostrati per brevi estratti, ma poi anche quella parte di storia è presentata con una ricostruzione convenzionale. Questo stile serve a uniformare i piani della narrazione: si adotta la stessa tecnica per il racconto cornice di Dan oggi e per quello di Melody nel 1994. I video ritrovati sono i punti di tangenza delle due storie, con Dan nel presente che guarda Melody nel passato.

 

Ma fin dalla prima puntata è reso evidente come questi contatti facciano parte del racconto sovrannaturale. Le videocassette e gli schermi si rivelano subito portali che rimettono in discussione i rapporti di causa-effetto tra le varie parti della vicenda.

IL POSTMODERNO

La storia che ne viene fuori usa un postmodernismo citazionista per ripercorrere con sensibilità molte tappe del genere, senza farlo mai in modo incoerente o gratuito. I suoi elementi coesistono in maniera armoniosa, sono collegati tematicamente tra loro e hanno senso in quella storia. Ci troviamo il tema dell’occulto e della setta; le sedute spiritiche; l’horror di possessione, con un’ambigua figura pretesca; il folk e il cosmic horror, risalendo fino a H. P. Lovecraft e Arthur Machen; una zona del crepuscolo dove il reale diventa surreale.

 

Ci sono alcune opere specifiche che vengono richiamate in modo più o meno diretto: Solaris è citato esplicitamente durante i primi episodi; di Candyman si riprende il motivo della ricercatrice nel condominio, mentre di Rosemary’s Baby torna la setta all’interno del condominio stesso; The Stone Tape, uno dei capisaldi della tv del terrore inglese, condivide lo stesso focus su tecnologia e fantasmi. C’è ancora tanto altro sotto la cenere di Archive 81, ma per ora accontentiamoci di questi riferimenti.

È un mosaico complesso, eppure realizzato con naturalezza. I riferimenti appaiono di puntata in puntata, cambiando la sfumatura dello show a mano a mano che la trama procede. Siccome Archive 81 non ha delle vere e proprie storie autoconclusive al suo interno, le crea focalizzandosi su aspetti diversi del racconto del terrore.

 

In ogni puntata è preponderante una tendenza specifica. Avremo quindi un episodio incentrato su una seduta spiritica e quello in cui viene tentato un esorcismo e così via, con un caleidoscopio dell’orrore che prosegue fino alla fine. Ci sono parecchi depistaggi, con atmosfere create a bella posta per alludere a un possibile sviluppo narrativo che poi sterza e cambia ancora, andando in un’altra direzione.

LA SCRITTURA SERIALE DI ARCHIVE 81

Per questo, Archive 81 è una storia che ne contiene potenzialmente altre diecimila. Generosa e ben organizzata, brilla di quella luce che è possibile trovare solo nel racconto serializzato della tv e dello streaming. Penso a opere ancora più pop come The Magicians, che segue lo stesso principio un po’ folle. Archive 81 è più compita rispetto allo show di Sera Gamble, ma sotto sotto nasce con lo stesso spirito multiforme, inequivocabilmente contemporaneo seppur rispettoso dei classici.

Sarebbe stato bello avere l’opportunità di seguire Archive 81 con l’uscita di un solo episodio alla settimana. In quel modo, sarebbe nato un ulteriore testo prodotto collettivamente. Intendo quello che avrebbe fatto respirare tutte le storie potenziali nel rito comunitario della speculazione online, cioè la condivisione di teorie, previsioni e interpretazioni che riempie la settimana tra una puntata e la successiva. Ma le leggi dello streaming impongono altro, per cui ci dobbiamo accontentare di riflettere in solitudine nel buio delle nostre case.

Come scriveva il saggista Tzvetan Todorov in Poetica della prosa, un personaggio è una storia virtuale e ogni personaggio nuovo significa un nuovo intreccio. Il condominio del 1994 di Archive 81 e il racconto cornice del presente pullulano di questi intrecci. Più si va avanti, più si stratificano e le timeline vanno ad attorcigliarsi tra loro quasi come in un nuova versione di Dark.

LA PRESENZA ASSENTE

In certe ghost story, il fantasma è descritto come una “presenza”. Quella è una declinazione di cui Archive 81 rappresenta l’ultima evoluzione tecnologica. La presenza assente della co-protagonista Melody nel 1994 diventa in realtà davvero molto presente: più di metà della storia è la sua e gli sconfinamenti non fanno che aumentare con l’avanzare dell’intreccio. Non è un caso, ma una scelta deliberata per ottenere gli effetti desiderati da questo particolare racconto di fantasmi.

Todorov in questo ambito faceva l’esempio della scrittura di Henry James. Essa poggia sempre sulla ricerca di una causa assente, che innesca il racconto e lo manda avanti fino alla fine. Può trattarsi di una persona come di un evento o di un oggetto. In Archive 81, lo stesso meccanismo si ripete più volte su tutti i piani del racconto. Avremo quindi Melody che cerca la propria madre, Dan che cerca Melody, gli occultisti che cercano ben altro e così via, in una sequenza di assenze ingombranti.

ARCHIVE 81: LA GHOST STORY

Archive 81 porta le vecchie intuizioni della storia di fantasmi del XIX e XX secolo nel presente postmoderno, con il collage meta di citazioni e influenze che abbiamo visto. L’inclusione delle tecnologie di registrazione ormai datate come il vhs crea un ponte tra passato e presente, ma funge anche da portale per entità misteriose a cui non importa niente delle regole del tempo lineare.

Come a volte accade nelle ghost story, Archive 81 ci fa riconsiderare i rapporti di causa-effetto invitandoci a uscire dalla logica umana. Si tratta di una storia di cosmic horror, quel tipo di orrore lovecraftiano sempre efficace nel metterci al confronto con forze innaturali, radicalmente diverse da quelle umane.

ORRORE COSMICO E FOLK

Archive 81 parla di un’entità che cerca di penetrare il nostro piano di realtà, creando una twilight zone in cui le regole non sono proprio le stesse del mondo reale. Nella storia, ha grande spazio l’esplorazione della setta che venera questa entità, creando un meccanismo che rimanda in parte al folk horror.

 

La prospettiva folk horror convenzionale infatti non riguarda tanto le entità pre-cristiane adorate da un ristretto gruppo di persone in un luogo isolato, quanto piuttosto i rapporti che quelle persone hanno tra di loro e con gli estranei che penetrano nel gruppo. Questa dimensione in Archive 81 esiste, anche se è soltanto una delle sfaccettature dello show.

 

Se vi interessa il discorso teorico, la definizione di folk horror ha avuto un’espansione proposta nel recente documentario Shudder di Kier-La Janisse Woodlands Dark and Days Bewitched: A History of Folk Horror.

La città di Archive 81 ne contiene a sua volta un’altra, segreta, al suo interno. La città nella città dell’occulto, la società segreta che usa religione e tecnologia portandole nel magico, verso qualcosa di ancora sconosciuto.

 

In Archive 81, le forze in gioco sono divinità palesemente aliene, non solo pre-cristiane. Mi fanno pensare a quelle che prosperano nello spazio remoto immaginato da Lovecraft in racconti come Colui che sussurrava nelle tenebre.
La serie infatti ha il pregio di parlare di occulto senza entrare nella dinamica tipica del christian horror, in cui esso è sempre riconducibile a una lotta interna al cristianesimo stesso.

IL VORTICE COSMICO

La setta di Archive 81 si occupa di aprire portali che lasceranno passare l’entità aliena venerata come un dio. Allo stesso tempo, cercano di rendere accessibile la sua dimensione agli umani, che non esitano a saltarci dentro.

 

Siamo nell’ambito di quel cosmic horror che ha avuto un breve periodo di espansione negli anni subito prima della pandemia. Non a caso, due episodi dello show sono girati dal duo di registi Justin Benson & Aaron Moorhead, autori tra le varie cose di The Endless, uno dei cosmic horror più belli del decennio passato.

Archive 81 in quel senso emana una ventata di passato recente, rimandando con le sue atmosfere a film come Wounds di Babak Anvari e Annihilation di Alex Garland (entrambi su Netflix), The Void di Steven Kostanski e Jeremy Gillespie (su Prime, come The Endless), ma anche altri di un periodo in cui era facile trovarsi di fronte a film che si aprivano con una citazione di Lovecraft. Si tratta di un filone che non ha avuto la stessa fortuna destinata al revival del rape&revenge o del folk horror, ma Archive 81 sembra avere riaperto la partita.

LA DIREZIONE DI NETFLIX

Archive 81 si è dimostrata una serie ambiziosa, piena di timeline e punti di accesso come un videogioco. Chiude con una sorta di cliffhanger che punta a una seconda stagione come il podcast, ma essa non è ancora stata confermata da Netflix.

 

Negli ultimi mesi, la qualità delle serie tv sulla piattaforma è aumentata, almeno nella zona dell’orrore. Tra Archive 81, Midnight Mass e Brand New Cherry Flavor, il servizio streaming è finalmente riuscito a tirare fuori qualche titolo all’altezza di alcune delle sue opere migliori degli anni precedenti. Penso al fantastico weird di The OA, al terrore puro di Hill House, alla fantascienza fosca di Dark. Speriamo che il futuro possa confermare questa tendenza.

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