Kaiju Girl Caramelise - l'amore è un mostro
Kaiju Girl Caralmelise è una divertente unione tra mostri giganti e romanticismo con un sacco di sottotesti interessanti.
Sono fermamente convinto che una buona storia di kaiju debba contenere al suo interno una potente metafora per funzionare alla perfezione. Ecco perché Kaiju Girl Caramelise di Spica Aoki racconta la storia di Kuroe, una ragazzina giapponese che quando viene messa in una situazione di stress si trasforma in un quarantenne fiorentino irritabile.
Scherzi a parte, ma neanche troppo, perché Kuroe sono letteralmente io, la nostra protagonista è una ragazza timida, riservata, isolata e bullizzata che reagisce allo stress emotivo, trasformando temporaneamente parti del suo corpo in appendici mostruose: una coda che spunta all’improvviso, scaglie sulla schiena, una mano artigliata.
La situazione per anni resta sotto controllo, grazie a uno stile di vita evitante, finché un bel giorno, complice Arata Minami, il belloccio della scuola che la tratta come un essere umano, quella trasformazione si completa in un Harugon: un kaiju vero e proprio, ma con gli occhi a cuoricino, finché la crisi non è passata.
Non sappiamo perché questa cosa le succeda, sappiamo solo che l’unica a conoscere il suo segreto è la madre. Il padre non si sa che fine abbia fatto.
Kaiju Girl Caramelise è l’unione fra due mondi che teoricamente sono molto lontani, le storie di mostroni giapponesi e gli shojo. Per chi non sapesse cos’è uno shojo: nella variegata nomenclatura dei manga che sono spesso divisi per età del pubblico di riferimento e argomento, è la parola con cui si identificano i racconti teoricamente pensati per un pubblico femminile, a differenza dei shonen che sono pensati per i ragazzi (per capirci, Dragon Ball è uno shonen, anzi, un battle shonen).
Poi ci sono i seinen per i ragazzi un po’ più grandi o giovani adulti e il corrispettivo femminile josei.
Dico “teoricamente” perché ovviamente, come ogni categoria, non è scolpita nella pietra e possono verificarsi rimescolamenti che rendono questa compartimentazione totalmente inutile. Kaiju Girl Caramelise è uno di questi.
Devo dire che questo primo numero mi ha divertito molto. Sia perché se ci metti un kaiju in una storia io sono sempre felice, sia perché il romanticismo non è un genere molto legato ai mostri giganti e mi piaceva questa mescolanza di amore, crisi adolescenziali, appuntamenti galanti e distruzione.
Anche se ci sono esperienze pregressi di kaiju e galanteria.
Inoltre, ho subito empatizzato con Kuroe. Se hai vissuto episodi di bullismo o emarginazione scolastica, se sei una persona schiva, che ama stare da sola (o che ha imparato ad amare stare da sola? Chissà), che tende a nascondersi perché non accetta il suo corpo, anche per te sarà difficile non entrare subito in sintonia con la goffa e adorabile protagonista.
Ovviamente il suo potere può essere letto sotto tantissime chiavi interpretative.
Le trasformazioni che la mettono in imbarazzo e che deve nascondere possono essere viste come l’ansia sociale che scatena il suo bisogno di fuga o le reazioni incontrollate che il nostro corpo può avere in situazioni di stress. C’è chi suda, chi arrossisce, chi balbetta e chi improvvisamente si copre di scaglie. Harugon per certi versi è il nostro "vero sé", quella parte di noi che nascondiamo agli altri per paura che se ne vadano.
E vista l’età di Kuroe questo si lega inevitabilmente col tema dell’adolescenza, i primi amori, le trasformazioni corporee a cui siamo soggetti e il risveglio sessuale. Anche il fatto che la madre sia in qualche modo la custode del suo segreto, e che non ne faccia un dramma, mi dice qualcosa in tal senso.
Anche perché alla fine, per quanto bullizzata ed emarginata sia Kuroe, rientra comunque nei canoni di una bella ragazza. In qualche modo la sua trasformazione mi ha ricordato alcune letture occidentali della licantropia, temare caro ai racconti adolescenziali, o anche Red, per restare nell'ambito adolescenziale-femminile.
D'altronde la trasformazione sfugge al suo controllo e quando gli episodi sono particolarmente acuti non si ricorda niente di cosa è successo.
Però c’è anche il desiderio di essere altro, di essere più forti, ammirati e sicuri di sé, cosa ci può essere di più potente, sicuro e inscalfibile di un mostro alto come un palazzo che non deve rendere conto a nessuno? Trasformarsi in kaiju per Kuroe è un evento traumatico ma è anche un evento liberatorio: è, forse, la mostruosità femminile che in qualche modo bussa alla porta della società.
Per “mostruoso femminile” intendo tutte quelle figure di donne libere che in qualche modo il mito e l’epica hanno reso mostruose, censurabili, proprio perché non conformi ai valori di una società patriarcale. C'è un bel saggio a riguardo.
Tutto ciò che normalmente una donna deve reprimere perché ritenuto sbagliato, non consono, non adatto. Che sia un semplice alzare la voce o desiderare il proprio piacere. La coabitazione di Kuroe con la sua mostruosità è ovviamente scomoda, ma quanto si scatena in tutta la sua forza è anche liberatoria.
Una liberazione dalla paura di essere pazza, paura instillata dai soprannomi odiosi, dalla paura di ferire, dalla voglia di essere invisibili.
Infine, non posso non pensare che vi sia, volendo, anche una lettura più clinica, anche se è un tema normalmente difficile trovare nella narrativa giapponese per ragazzi.
La mia impressione, che non ha riscontri palesi nelle parole dell’autrice, è che Kuroe possa funzionare tranquillamente come metafora per l’autismo femminile, condizione spesso trascurata, mal diagnosticata, se non addirittura ignorata. Che poi è uno dei motivi per cui la demografia delle persone autistiche tende nettamente verso gli uomini e le donne nello spettro ricevono una diagnosi solo da adulti.
Ovviamente l'autismo è uno spettro e non tutto ciò che pensiamo sia un comportamento autistico lo è. Ma non posso fare a meno di notare che Kuroe non riesce a esprimere i suoi sentimenti, non ama il contatto visivo, la vicinanza fisica, mantiene un’apparenza normale e sfrutta la musica e la visualizzazione mentale per calmarsi se la situazione diventa troppo stressante.
È organizzata in routine precise e quando queste routine vengono alterate entra subito in agitazione.
Ha fissazioni specifiche per quanto riguarda il cibo con determinate consistenze, l’arte, la musica. Tutti questi tratti non sono ovviamente una diagnosi ma mi fanno tendere verso una rappresentazione di un certo tipo di neurodivergenza. Ma ovviamente può essere tutto una mia sovrainterpretazione.
Se posso trovargli dei difetti, ma credo che potrebbero essere legati alla mia scarsa conoscenza della materia shojo, riguardano il repentino avvicinamento di Arata, che dal nulla decide di corteggiare la tizia maltrattata e sconosciuta invece che gustarsi l’attenzione di tutte le altre.
Certo, forse è innamorato della sua schiettezza, ma mi sembrano le classiche cose che accadono solo nelle favole, un po’ come il fatto che alla fine la tizia sfigata sia comunque assolutamente carina e normale secondo i canoni standard. E poi diciamocelo, ok forse non è pratico, ma magari potessi trasformarmi in un lucertolone ogni volta che sono sotto stress! Chissà cosa resterebbe del mio quartiere.
Queste sono le impressioni che mi arrivano dal primo numero, che fin da subito va oltre la presentazione della condizione di Kuroe per mettere sul piatto un altro personaggio interessante e che mi fa venire una gran voglia di proseguire la lettura. Arata si innamorerà di lei? Si baceranno? E se poi scopre il suo segreto? E se ci fossero altri kaiju come lei? E come mai Kuroe è così? Che fine ha fatto il padre?