Dark, la stagione 3 chiude il cerchio del tempo
Dark alla terza stagione si conferma è una serie ambiziosa il cui successo apre la porta a una nuova di nicchia di narrazioni una volta impensabili nel medium seriale
«One of these days, sooner or later... I'm going to find a loophole, my friend», diceva Man in Black a Jacob nell’ultima stagione di Lost. La serie Netflix Dark di Jantje Friese e Baran bo Odar è indiscutibilmente discendente da Lost: oltre al viaggio nel tempo, ne ha ereditato la complessità narrativa, sebbene con una struttura diversa – ciascuna serie è figlia della sua epoca. Lost era un’opera innovativa negli anni 2000, nel bene come nel male ancora influenzata dalle logiche della tv broadcast.
Di straordinario aveva gli episodi semi-autoconclusivi incentrati sui personaggi, all’interno di una robusta trama orizzontale. Di meno buono aveva i difetti che hanno frustrato il pubblico, come la difficoltà nel costruire una mitologia coerente dal principio alla fine, dato che lo show cambiava direzione nel corso degli anni secondo i ritmi produttivi della televisione.
Dark rappresenta un modello seriale tipico di oggi, quello dello streaming. Anche qui, nel bene come nel male: da un verso, si è persa la centricità degli episodi, che affiora a tratti ma non è mai davvero paragonabile a quella di Lost, perché lo streaming incoraggia un’orizzontalità ancora più spiccata.
Dall’altro, però, siamo di fronte a una serie in cui è evidente che tutto è stato minuziosamente progettato dall’inizio, con le idee precise su sviluppo e conclusione della storia. Dark è costruita per dare soddisfazione a quel fandom che nel corso degli anni è rimasto deluso dalla mancanza di risposte o dall’incoerenza dei misteri di altri show. [Da qui in avanti, seguiranno spoiler sulle tre stagioni di Dark].
La stagione 3 di Dark ha gli stessi meriti e gli stessi difetti che hanno caratterizzato l’intera serie. I difetti sono perdonabili, però ci sono, quindi affrontiamoli subito: la psicologia dei personaggi a volte è appena abbozzata (ma i chiaroscuri netti di Dark sono un aspetto caratteristico della serie); questi personaggi a volte tendono a comportarsi in modo troppo conveniente ai fini della trama (ma sfido chiunque a fare meglio della sceneggiatrice Friese e della sua writer’s room, con un intreccio come quello); non è una serie particolarmente ‘woke’ o attenta allla rappresentazione – nonostante la grande quantità di personaggi, quasi tutti sono bianchi, eterosessuali, cisgender (qui non ci sono molti ma, lo show è così).
Dark con la sua terza stagione ha individuato un meccanismo di fuga dal determinismo che teneva insieme tutti i suoi eventi. Questo farà magari arrabbiare chi è fedele alla filosofia del whatever happened, happened, per la quale il viaggio nel tempo non può alterare il corso degli eventi ma solo confermarlo. Dark finisce col dimostrare che non è per forza così, lasciandosi qualche spiraglio per risolvere la sua trama fuori dallo schema impostato.
La serie ha l’arduo compito di concentrare in 8 episodi sia lo scioglimento di tutti i nodi attorcigliati fin lì, sia un arco narrativo nuovo, che non riduca le puntate alla mera soluzione degli enigmi accumulati nel tempo. In questo riesce bene, benché per farlo debba comprimere alcuni spunti che avrebbero meritato più spazio – come l’arco del figlio dei protagonisti Martha e Jonas, essere che pare esistere fuori dal tempo senza che il concetto sia mai davvero esplorato.
La stagione ha però il grande pregio di modificare uno dei più muffiti trope narrativi, e cioè la morte di una donna come innesco delle azioni del protagonista. La Martha angelicata che abbiamo sempre conosciuto muore alla fine della seconda stagione, per essere però immediatamente sostituita da una Martha più oscura e tormentata, nuova antagonista di Jonas e vera protagonista della stagione 3.
Un altro merito di questi ultimi episodi di Dark è di aver eseguito in modo originale il tema del viaggio nel tempo. Dopo tanti paradossi bootstrap e loop fondati sulla predestinazione, ampiamente trattati nelle 18 puntate precedenti, Dark rilancia non solo con l’introduzione degli universi paralleli (tutto sommato un’espansione di quegli stessi loop), ma aggiunge l’elemento ‘quantum entanglement’ (trovate un’analisi sensata in questo video) . E sì, questo è un potenziale trigger per un pubblico nerd ipercritico.
Qualcuno la scambierà per una scappatoia dalla rete della predeterminazione, a cui la storia non sembrava poter sfuggire nonostante la veemenza con cui l’ingenuo Jonas ci ha voluto credere per l’intera durata della serie (forse il vero smacco è dovergli dare ragione).
Eppure, il ‘quantum entanglement’ è eseguito con sobrietà, inserito al centro del nodo dell’intreccio e coerente con il concept dello show, perché il fine ultimo in Dark è sempre stato liberarsi dalla predeterminazione. I nostri eroi ci sono riusciti, ottenendo quello che può suonare un lieto fine solo nell’ottica pessimista di una serie come Dark: il premio è cancellarsi per sempre da ogni universo. Non morire, ma proprio non essere mai esistiti.
Questo è il paradiso tante volte menzionato dalla società segreta Sic Mundus Creatus Est, questo è il pay-off alla fine dell’avventura. È una scelta spericolata che dimostra la possibilità di chiudere una serie con un finale che sia davvero agrodolce senza per questo deludere il pubblico, che ha accolto lo scioglimento con entusiasmo perché coerente con tutto il resto.
Dark, completata dalla terza stagione, si rivelata quindi un mito di genesi intriso di antinatalismo. Nel suo conflitto, il dualismo tra un archetipo maschile distruttore e uno femminile creatore di vita viene superato da un terzo agente in grado di indicare un’altra via, che pende però dalla parte di più nichilista. Dark è una serie sul viaggio nel tempo, sul passaggio tra i mondi, sull’apocalisse e sull’annientamento. È una saga familiare in cui le tracce di soap opera sono in equilibrio con l’hard science fiction – anche se, a ben vedere, è fantascienza hard solo dal punto di vista logico, mentre la scienza dietro ai dispositivi e ai fenomeni presentati è trattata quasi come in un fantasy, senza la pretesa di spiegarne a fondo le leggi. Nonostante ciò, Dark rimane un’opera intenzionalmente complicatissima per come intesse il tempo della storia e il tempo del discorso, entrambi non lineari.
La complessità narrativa richiede che gli spettatori siano attivi, che si impegnino per orientarsi nel testo come se la serie fosse qualcosa da giocare e non solo uno spettacolo da seguire passivamente. Friese e bo Odar sanno di potersi appoggiare a un grande numero di paratesti ufficiosi e ufficiali che ci chiariranno le idee: esistono numerose guide prodotte dal fandom, da Netflix e dagli youtuber che dedicano tempo e spazio alle analisi dello show, rendendolo più fruibile – e se non si apprezza questo tipo di pratica, le possibilità che Dark risulti sgradita sono alte.
Alla complessità con cui è costruita Dark va riconosciuto il pregio dell’onestà. La serie è intricata, ma non cerca mai di ingannare il pubblico. Dark non usa narratori inaffidabili, come facevano invece le prime due stagioni di Westworld. L’unica inaffidabilità che incontriamo è quella dei personaggi che celano i loro veri obiettivi ai propri antagonisti; ma la storia è raccontata in modo trasparente. Anzi, Dark si impenga nel rendere decifrabile la vicenda attraverso soluzioni visive che rendano distinguibili i personaggi e le epoche/mondi: con outfit e trucco (in particolare cicatrici e ferite), e poi con transizioni visuali e sonore, didascalie, split screen e caratterizzazione degli ambienti, a cui si aggiungono i tanti schemi di fotografie e alberi genealogici che costellano gli episodi.
Dark è una serie ambiziosa il cui successo apre la porta a una nuova di nicchia di narrazioni una volta impensabili nel medium seriale. Per esempio, Dark si può riguardare più volte scoprendo caratteristiche nascoste negli episodi, pieni di easter egg riconoscibili solo se si conosce già il resto. È oro per piattaforme come Netflix, il cui unico scopo è tenere le persone incollate allo schermo per più tempo possibile. Difficilmente vedremo qualcosa di migliore nello stesso ambito, ma se accadrà sarà perché Dark è stata un esperimento riuscito.