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Alita, tra esistenzialismo e citazionismo

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Cos'è l'umano? Quali sono le esperienze che ci definiscono e le aspirazioni che ci guidano? Alita risponde a tutto questo con un calcio rotante a mezz'aria mentre fa la faccia da pazza

Perché dovrebbe piacervi Alita? Per farla breve, perché piace a James Cameron, gli piace così tanto che quando si rese conto di non riuscire a ottenerne i diritti si fece la sua Alita personale, ci mise dentro Jessica Alba e lo chiamò Dark Angel.

Battle Angel Alita, che nell’originale giapponese si chiama Gunnm, ovvero “sogno di una pistola”, mentre la protagonista si chiama Gally, è un manga di Yukito Kishiro uscito dal 1990 al 1995 è una storia abbastanza unica nel suo genere, non tanto perché si differenzi nello svolgimento da alcune classiche regole della narrazione giapponese, quanto per la consapevolezza del suo impianto derivativo e per la capacità di giocare e a volte sovvertire i pilastri fondanti dei seinen, ovvero i fumetti giapponesi pensati per un pubblico di giovani adulti. Inizialmente l'opera doveva chiamarsi Rain Maker, Alita/Gally era una comprimaria senza alcun tipo di crescita, una sorta di agente sul campo sintonizzata con una centrale operativa (tema che viene ripreso nella seconda parte dell'opera finale) in grado di usare armi da fuoco, il resto era tutto da inventare.

Quando però Kishiro si ritroverà improvvisamente a doverlo rendere una serie a fumetti l'impostazione cambierà completamente, su indicazione del suo editor, che vede in Alita del potenziale, la ragazza cyborg diventerà la protagonista e prenderà corpo tavola dopo tavola l'universo cyberpunk che conosciamo. La conclusione arriverà con due finali differenti: il primo tronca il racconto in maniera brusca e spietata, per poi aprire a un'altra serie di volumi pubblicati qualche anno dopo nel 2001: Alita Last Order. Tuttavia in quel momento Kishiro era stato consumato a tal punto dal lavoro su Alita che decide di chiudere tutto con i nove volumi. Da questa urgenza nasce un secondo finale che parte dal medesimo colpo di scena che poi porterà a Last Order, ma che conduce invece a una conclusione frettolosa poche pagine più avanti, terminando la storia definitvamente. 

La grande bellezza di Alita risiede soprattutto nella sua semplicità: pochi concetti filosofici espressi con chiarezza, personaggi ben delineati, colpi di scena e un sacco di botte, il tutto mescolato con sapienza e scritto con amore. 

Oltre a tutto questo è un manga disegnato veramente da dio, con pagine intere ricche di particolari minuscoli, spettacolari scene d’azione (a volte un po’ confuse, a dire il vero), un mecha-design di tutto rispetto e un universo narrativo interessante e credibile.

L’opera principale attualmente consta di nove tankobon (termine giapponese che indica i volumi brossurati di circa 200 pagine) che seguono altrettanti archi narrativi quasi completamente indipendenti gli uni dagli altri in cui si mantiene però uno sviluppo orizzontale della trama. Lo schema del racconto segue il tipico sviluppo di molta narrativa giapponese: Alita si trova di fronte a qualcosa che difficilmente riesce ad affrontare con i proprio mezzi finché, incredibilmente, non ce la fa, spesso superando i propri limiti e scoprendo qualcosa di più riguardo la sua natura. Il tutto di solito prevede un discreto spargimento di sangue e qualche momento traumatico.

Battle Angel Alita è una storia profondamente cyberpunk, forse uno dei manga su questo genere più belli dopo l’intoccabilità di Otomo e Shirow che mostra la classica disparità di classe di questo tipo di racconti: i più ricchi vivono in alto, tra le nuvole, dentro Salem, una sorta di utopia cibernetica pesantemente sorvegliata. In basso il popolo campa dei loro scarti in una grande baraccopoli simbolo del degrado a cui è destinata l'umanità. L’uomo e la macchina si fondono senza alcun problema, la carne si fa metallo, il corpo è un involucro sostituibile, la violenza è all’ordine del giorno, l’empatia è un lusso per pochi, la legge è spietata e tutti cercano in qualche modo di arrivare lassù.

La storia inizia quando Alita viene ritrovata a pezzi e senza memoria in una discarica da Daisuke Ido, cyberdottore di giorno, cacciatore di taglie di notte ed ex abitante di Salem. Tra i due nasce ben presto un legame profondo molto simile a quello di Pinocchio: anche Alita è un “burattino” che Ido ha costruito e poi liberato nel mondo, ma per certi versi ne è anche il padre e la persona che inizialmente cerca di istruire e proteggere.

Da questa premessa si dipana un racconto dalle forti tinte esistenzialiste che cercherà di riflettere spesso su concetti come l' umanità, il bene e male, la famiglia, il sacrificio, la libertà e la ribellione, ma soprattutto sul bisogno di trovare uno scopo, un posto nel mondo. 

Quando apre gli occhi Alita “nasce” per la seconda volta in un mondo duro e difficile in cui dovrà sperimentare nuovamente le sensazioni di una bambina: la scoperta delle proprie emozioni e del sé, le prime cotte adolescenziali e la capacità di distinguere bene e male, ma soprattutto cercherà per tutto il tempo di capire cosa vuole fare nella vita, se cedere alla propria natura di guerriera o se cercare qualcos’altro. Sia lei che personaggi con cui interagisce devono quasi sempre trovare un significato a alla loro lotta, un’elevazione del proprio status, avere di meno vuol dire sconfitta, soprattutto in un contesto in cui la vita equivale a una guerra continua contro tutto e tutti e devi riuscire a tenerti stretto quel poco di tenerezza che hai… o che puoi sperare di avere quando il tuo corpo è una macchina per uccidere.

Il personaggio di Alita rientra nel classico trope del personaggio estremamente saggio ma anche molto innocente che spesso viene associato con le figure femminili che soffrono di amnesia. Viene anche dipinta come una sorta di donna ideale, gentile e sensibile, ma dotata anche di caratteristiche che possono portare il pubblico maschile a identificarsi, come le incredibili abilità di combattimento che arrivano da un passato che non riesce a ricordare, o l’attitudine allo scontro che in alcuni momenti sfocia in una pazzia da berserk.

Tuttavia, anche nella lotta Alita resta un personaggio elegante e raffinato, non si limita a combattere ma utilizza uno stile chiamato Panzer Kunst in cui tutti i nomi delle mosse sono ovviamente in tedesco, per dare quel tocco di europeo che piace tanto in Giappone. Seguendo il tema dell’amnesia, saranno spesso i traumi e i momenti più difficile a permetterle di ricordare qualcosa del suo passato e ha rappresenterà un’occasione di crescita che spesso si espliciterà col superamento dei propri limiti fisici e mentali.

Una delle caratteristiche che rendono Alita molto diverso rispetto a gran parte della produzione anni ’90 è che nonostante la bellezza della protagonista non c’è quasi mai un fanservice vero e proprio, non si avverte mai il senso di un punto di vista che scade nel morboso. Yukito Kishiro sembra nutrire per Alita un affetto e rispetto profondi e questo dona al racconto tutto lo spazio necessario per renderla un personaggio vero e interessante, in grado di far spiccare l’opera nel mucchio delle narrazioni cyberpunk, anche considerando il trattamento medio che gli autori nipponici riservano ai personaggi femminili.

L’unione di spirito e corpo è una costante del racconto, il modo in cui i due elementi agiscono l'uno sull'altro forma chi sarà la persona e le sue conseguenze sociali sia quando parliamo di Alita, si per quanto riguarda i suoi antagonsti e compagni. La tecnologia di questo universo rende più evidente la mutevolezza e la plasticità del corpo e dello spirito di ispirazione transumanista. Spirito e corpo nella storia definiscono e ridefiniscono costantamente il proprio ruolo, sono due forze che devono allinearsi se si vuole primeggiare e ottenere il massimo, come recita praticamente ogni arte marziale. Ma se il corpo cambia e lo spirito e mutevole resta sul tavolo il dubbio su quali siano le costanti in questo mondo, dove gli umani non sono più umani e ciò che non è umano è diventato umano. Un tema che è stato anche ripreso in maniera interessante da quella che forse è l'opera cyberpunk attuale più bella e poco conosciuta: Nier Automata.

In fondo cos'è "umano"? Il corpo? Il cervello che lo abita? Il pensiero cosciente?

Essendo il suo essere fisico una variabile, ed essendo entrambi i suoi mondi esterni ed interni sconosciuti, Alita si ritrova di fronte al quesito esistenziale di capire ciò che la definisce e quali siano i suoi valori. Attraverso il suo viaggio mantiene la certezza che si trova in un punto di equilibrio costante tra la volontà e la capacità di agire.

Un altro aspetto interessante di Alita è senza dubbio il suo collocarsi perfettamente nel mezzo all’immaginario pop dell’epoca, diventando una sorta di zibaldone della modernità. Non si tratta però di un semplice copia e incolla, Kishiro riesce sempre a metterci sempre qualcosa di suo, cambiando pelle di volume in volume senza mai perdere la propria identità, proprio come un androide che mantiene intatto il proprio cervello anche quando viene installato su un corpo nuovo.

Se infatti il primo volume si concentra sui “primi passi” di Alita e sul suo diventare una cacciatrice di taglie, subito dopo la vediamo alle prese con il Motorball, una versione ancora più violenta del Rollerball, per poi lanciarsi in racconti che strizzano l’occhio a Mad Max e a Kenshiro, salvo poi tornare nuovamente a un setting più cittadino, scontrarsi con un mostro che ricorda Alien, fino alla resa dei conti finale che può avere due facce, sta a voi scegliere il finale che preferite.

Ogni volume riserva strizzatine d’occhio e citazioni più o meno dirette che farebbero la felicità di un cacciatore di Easter Egg di Ready Player One, ma l’aspetto più singolare non è tanto quanto Alita poggi le proprie cibernetiche gambe su ciò che l’ha preceduta, quando il saccheggio operato da chi è venuto dopo.

È difficile non vedere nel martello a razzo di Ido un’arma che poi entrerà a far parte di Overwatch, così come è singolare il fatto che Alita citi Mad Max e poi metta in scena una sequenza, alcune auto che vengono risucchiate e distrutte da una tempesta di sabbia, che poi troveremo quasi identica in Fury Road e chissà quanti altri omaggi più o meno palesi mi sono sfuggiti.

Questo processo di impollinazione e trasmissione di idee rende Battle Angel Alita un’opera perfetta come spartiacque della modernità, da una parte un citazionismo spinto dall’altra un sacco di spunti che verranno poi ripresi. Un classico esempio di opera che sa giocare con i cliché in maniera consapevole e utilizzare ciò che si trova alle sue spalle per darsi lo slancio necessario a portare il proprio messagio, senza però scadere nel plagio o nel mero snocciolamento di citazioni fine a sé stesse.

Arrivati alla conclusione non è poi così difficile capire come mai Alita abbia conservato intatta la sua potenza e sia ancora uno dei manga più amati da chi ha avuto modo di leggerlo: filosofia, combattimenti e citazionismo spinto dosati con perizia lo rendono un prodotto di intrattenimento quasi perfetto e stratificato che regala emozioni anche rileggendolo dopo molti anni.

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