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Captain America: Brave New World. Un supereroe in crisi d’identità?
Un punto di svolta per l’MCU? Brave New World è un cinecomic di transizione: che oscilla tra ambizioni e compromessi
Di solito, quando si parla di cinecomic, il mio compito è uno e uno soltanto: mi trovate in sala a guardare i film Sony sui personaggi Marvel, da Venom a Morbius, passando per Madame Web (con esiti alterni, certo). Non è che sia proprio una scelta: è più una sorta di rito di passaggio a cui mi sottopone la redazione di N3. Questa volta, invece, a sorpresa mi hanno mandato qui, in pieno MCU, a vedere Captain America: Brave New World. Peccato che non si sia visto questo mondo nuovo e coraggioso: anche per il Marvel Cinematic Universe è arrivata la crisi di mezza età, che si trasforma rapidamente in una sorta di crisi d’identità?
Negli ultimi anni, il Marvel Cinematic Universe (MCU) ha attraversato una fase di transizione segnata da un’incertezza creativa e narrativa. Brave New World si inserisce in questo contesto, cercando di rilanciare l’identità del franchise con un ritorno a una narrazione più radicata nella dimensione politica e sociale. Il risultato è un’opera che fatica a trovare una direzione precisa, generando più dubbi che certezze: Brave New World è un film di transizione, e come tale non arriva a quel livello di maturazione e ingaggio che altri titoli del MCU hanno toccato.
Un film di transizione
Se fosse stato rilasciato durante la Fase 1 o 2 del MCU, infatti, Brave New World sarebbe stato un prodotto funzionale: un tassello preparatorio in attesa di sviluppi più significativi. Oggi, tuttavia, la sua esistenza appare più come un tentativo di rimanere a galla in un panorama cinematografico che chiede sempre maggiore quantità e che pare accontentarsi di quel che passa il convento, senza troppo storcere il naso.
La scelta di concentrarsi su Sam Wilson (Anthony Mackie), erede dello scudo di Captain America, avrebbe potuto rappresentare un’occasione per approfondire tematiche di rinnovamento e leadership. Senza contare, non fingiamo di non vederlo, che il nuovo Captain America è di pelle nera: un bel tema da sviscerare in un momento storico nel quale tutte le tematiche DEI sembrano essere passate di moda o, peggio, messe ai margini delle priorità collettive. Tuttavia, il film non riesce a sviluppare una narrazione solida: oscilla tra l’intento di essere un thriller politico (molto meglio era riuscito a fare Winter Soldier) e la necessità di rispettare le logiche commerciali del franchise. Tanto per dirne una: ho contato due tute di Captain America, e non è proprio chiaro perché si passi da una all’altra.
L’inserimento di attori di calibro come Harrison Ford, nel ruolo di Thaddeus Ross, e Giancarlo Esposito, noto per la sua capacità di dare profondità ai personaggi anche solo con uno sguardo, avrebbe potuto arricchire la storia. Tuttavia, entrambi i ruoli risultano sottosviluppati e funzionali solo a delineare un quadro di contorno, senza un impatto significativo sulla trama. Ford interpreta un Presidente degli Stati Uniti preda dei suoi demoni, Esposito un capo di una potente fazione di mercenari che però inspiegabilmente si mette a svolgere il ruolo di killer in prima persona - forse dovrebbe lavorare sul concetto di delega?
In equilibrio precario
Uno degli aspetti più problematici di Brave New World è la gestione della sospensione dell’incredulità. Sebbene il film tenti di ancorarsi a una dimensione più realistica, le dinamiche narrative spesso risultano poco credibili. Il climax della pellicola, in particolare, si risolve in modo anticlimatico, senza una costruzione adeguata della tensione: in pochi minuti la questione è liquidata, lasciando però un altro segmento del terzo atto da smaltire. Si arriva al momento clou (l’avete visto anche voi nel trailer: Hulk Rosso) e la risoluzione del conflitto è davvero poco articolata. Non nascondo, anche un pochino deludente per il sottoscritto: non c’è la distruzione di Harlem, ok, ma sembra quasi che la produzione avesse timore di non devastare troppo Washington DC (mi viene il dubbio che abbia influito quanto accaduto il 6 gennaio 2021).
Inoltre, alcune scelte di sceneggiatura risultano rivedibili: alcune battute mi hanno fatto letteralmente sbottare in sala, a causa della loro comicità involontaria. Alcuni passaggi sembrano gestiti più per accontentare un pubblico generico di appassionati di supereroi, piuttosto che per mantenere coerenza e qualità narrativa. La rule of cool viene portata all’estremo, e questo si porta dietro un po’ di artificiosità che rende meno scorrevole lo sviluppo del film - che non presenta buchi, ma non fa gridare al capolavoro.
Inclusione mancata
Un altro elemento chiave del film è il tentativo di promuovere un cast diversificato e una certa attenzione alle dinamiche di inclusione. Tuttavia, a differenza di Black Panther, in cui ad esempio la rappresentazione della comunità afroamericana era integrata organicamente nella narrazione, in Brave New World questo elemento appare più come un’aggiunta forzata. La diversità sembra essere un valore esibito piuttosto che un aspetto narrativo centrale, riducendo l’impatto del messaggio che il film tenta di trasmettere.
La serie The Falcon and the Winter Soldier aveva d’altro canto già affrontato con maggiore profondità il passaggio di testimone tra Steve Rogers e Sam Wilson, esplorando le implicazioni sociali e culturali di questa transizione e senza ignorare le ferite, aperte da 250 anni di storia statunitense in cui il razzismo ha giocato un ruolo. A parere di chi scrive, era l'aspetto migliore di quella serie. Il film, invece, non riesce a sviluppare ulteriormente questo discorso: lasciando il protagonista privo di un arco narrativo realmente incisivo.
Il futuro incerto del Marvel Cinematic Universe
Brave New World evidenzia le difficoltà del MCU nel definire una nuova direzione dopo la conclusione della Saga dell’Infinito. Il tentativo di abbandonare il concetto di Multiverso a favore di una narrazione più lineare non è accompagnato da una visione chiara. L’imminente arrivo dei Fantastici 4 potrebbe nuovamente ridefinire le regole dell’universo Marvel, ma nel frattempo Brave New World rimane un’opera che fa da ponte sul guado e che non offre un reale punto di svolta.
Sam Wilson avrebbe meritato un film che lo consolidasse come nuovo Captain America: invece si trova al centro di una narrazione indecisa, in cui i comprimari sembrano avere maggiore spazio di crescita rispetto al protagonista stesso. Pure la sua tuta, diretta evoluzione di quella di Steve Rogers, si ammanta di gadget elettronici (anche se, ovviamente, non al livello di Iron Man) che finiscono per farne un personaggio meno interessante di quanto non fosse il suo predecessore.
Se il futuro del MCU deve basarsi su film di questa natura, è lecito interrogarsi sulla capacità della Marvel di mantenere il proprio dominio sul genere dei cinecomic nel lungo termine. Siamo un gradino (non piccolo, ma neppure enorme) sopra quanto visto nel mondo Sony (Spider-Man a parte, si intende): ma stiamo andando incontro a un generale appiattimento che potrebbe spegnere ancora di più l’entusiasmo e spingere i piani alti a ripensare cosa fare di qui in avanti. Per avere di più, si deve rischiare di più: come Sam Wilson, uscire dalla propria zona di comfort e imbracciare davvero lo scudo di Captain America.