STAI LEGGENDO : American Psycho: il fascino indiscreto degli anni '80

American Psycho: il fascino indiscreto degli anni '80

Condividi su:

Patrick Bateman, il protagonista di American Psycho, è un personaggio profetico, lo specchio deformato degli anni '80 e di cosa resta quando la tua ansia di successo si frantuma

C'è una scena del film di Mary Harron in cui Christian Bale – ovvero Patrick Bateman – sta per uccidere Jared Leto, reo di avere più successo di lui. Prima di ucciderlo, accende il suo impianto hi-fi ultimo modello e piazza una canzone. La canzone è di Huey Lewis & The News e s’intitola Hip to be Square.

Mentre indossa un leggero impermeabile in plastica sopra al proprio abito e raccoglie, ballando, un’accetta, Patrick ci racconta quanto sia bello essere inquadrati: la ribellione giovanile è finita, il materialismo regna insieme all’ideologia corporate e alla superficialità di una società in cui l’atteggiamento positivo, la forza di volontà e l’impegno sono il solo e unico modo per sopravvivere – anzi, per vivere alla grande ed essere felici, circondati da lusso e belle donne –, per raggiungere la vetta in un mondo in cui cane mangia cane, in cui il sogno americano non è più un sogno ma è realtà e non è più americano ma è globale.

Non è un caso che il libro di Bret Easton Ellis, che presenta la stessa scena, si apra con la più famosa tra le citazioni dantesche, “lasciate ogni speranza o voi che entrate”, scritta a bomboletta su un muro che il nostro protagonista vede dal finestrino del taxi.

Digressione forse non necessaria: siamo alla fine degli anni ’80 e Patrick Bateman è un uomo perfetto. Rampollo di una ricca famiglia wasp, si occupa di fondi di investimento alla Pierce & Pierce (ahah!), veste solo gli abiti migliori (nel film l’intero guardaroba è curato da Armani) e frequenta ristoranti e club di lusso, si tiene in forma, ha una fidanzata che lo ama e colleghi che stravedono per lui, non fuma sigarette ma sigari, ha un gusto estetico invidiabile, una passione per la tv spazzatura e per Omicidio a luci rosse di Brian de Palma, non disdegna lo scotch né l’abuso di cocaina, non ha problemi a ordinare escort per telefono o a caricare in auto prostitute di strada, non ha problemi a uccidere. Colleghi, barboni, prostitute, bambini… li taglia a pezzi, li pugnala, li mutila, li violenta.

Laggente non voleva che il libro uscisse, nel ’91: era un libro violento, misogino, razzista, scabroso, perverso, volgare, amorale.

E affascinante.

American Psycho

Perché Patrick Bateman potrà anche essere un assassino psicopatico, ma è anche tutto ciò che vorremmo essere nei nostri sogni più oscuri e nascosti – ogni sua battuta, ogni suo monologo, è citabile, magistrale, superiore, la punchline della persona più importante nella stanza.

Quando non uccide, Bateman è comprensibile. È condivisibile. È l’archetipo su cui si modella la nostra società – a maggior ragione quando ci viene fatto notare che siamo in una società post-ideologica: l’idea di una società di questo tipo, in cui sostanzialmente vale tutto, purché porti vantaggio immediato, dove la nozione di bene comune (di cui lo stesso Bateman si fa portavoce quando, a cena, spiega in quale direzione ci si dovrebbe muovere e si dovrebbe operare per aiutare le classi disagiate e le altre nazioni, facendosi portavoce della dottrina fondativa americana del destino manifesto) è un eufemismo per giustificare estremo relativismo e opportunismo, ecco, l’idea di una società di questo tipo segna in realtà il trionfo dell’ideologia capitalista di Reagan e della Thatcher.

Non è un caso, infatti, che nelle ultime parole del romanzo, “questa non è un’uscita”, si possa avvertire l’eco dello slogan conservatore There is no alternative. A questo stile di vita, a questo modello di società, al libero mercato – degli oggetti e delle persone – non c’è alternativa.

American Psycho

Ma questa mancanza di alternativa non può non avere ripercussioni su chi vive questa società: Patrick Bateman rappresenta le sue due anime, rappresenta il carattere di schizofrenia di chi ha abbandonato l’idea di persona a favore dell’immagine della persona, e che a causa di una mancanza di punti di riferimento – psicologici interiori e sociali – deve trovare un modo per affermarsi in un ambiente che è esso stesso schizofrenico.

Ci si trova infatti davanti a una dicotomia che è una vera e propria aporia di sistema nel momento in cui un modello sociale trova la sua fondazione nelle uguali (domanda retorica: ma sono davvero uguali?) possibilità di successo, a patto che questo successo sia riconosciuto dagli altri attraverso ammirazione e feticci (Leonardo Di Caprio/Jordan Belfort in The Wolf of Wall Street di Scorsese è un altro ottimo esempio), attraverso l’affermazione e la prevaricazione sugli altri in un mondo – libero – di squali, in cui l’affermazione di qualcuno coincide con la sconfitta di qualcun altro.

E, se questa affermazione tarda ad arrivare, è necessario trovare un modo per sfogarsi: relazioni, droghe, violenza e omicidi.

E Bateman diventa allora il profeta e l’incarnazione di quella “edonia depressa” di cui parla Mark Fisher nel suo saggio Realismo Capitalista: ecco che, quando le aspettative falliscono, quando le prospettive vengono a mancare, i giovani – Patrick Bateman ha ventisei anni – non scivolano nell’anedonia tipica della depressione, ma al contrario cercano di riempire il vuoto in una asintotica ricerca del piacere e della soddisfazione immediata.

Si capisce, allora, come il film possa essere visto come uno splatter oppure come una commedia grottesca, e si capisce come il libro possa essere letto come pornografia o come depiction esistenzialista della società

Sulla quarta di copertina del romanzo, edito da Einaudi, si leggono le parole del suo traduttore Giuseppe Culicchia: “Con American Psycho Bret Easton Ellis ha scritto il libro che meglio di ogni altro racconta gli anni Ottanta. Un decennio che, ora lo sappiamo, non è stato semplicemente una parentesi, ma l'inizio di qualcosa. Cosí, questo viaggio senza ritorno nella follia e nella spersonalizzazione a base di immagini patinate e ultraviolenza non ci parla solo di un «eroe» e del suo tempo, ma finisce per rappresentare noi stessi e i nostri giorni. E anche quelli che verranno.”

Perché è facile vedere un paragone tra l’indottrinamento anni ’80 della crescita infinita e la consapevolezza che questa crescita non possa davvero esserlo, come ci siamo – di nuovo – resi conto a partire dalla crisi del 2008, ma che si concretizzi in un loop di distruzione della ricchezza, in una tabula rasa per permettere non di continuare, ma di ricominciare da zero, lentamente, a crescere. E ogni volta diventa più difficile di prima. Qui viene in soccorso un altro concetto caro a Fisher, quello di hauntologyla nostalgia per un futuro perduto. Il nostro.

Nel nostro – perché Patrick Bateman siamo noi, tutti – carattere schizofrenico non siamo stati in grado di trovare un’alternativa alla reiterazione degli stessi modelli. Li abbiamo anzi perfezionati, sia come modelli estetici che come modelli comportamentali: in una mancanza di futuro non possiamo che rifarci al passato, e allora largo alla retromania, all’effetto nostalgia e al travisamento del passato attraverso la sua mitizzazione (non solo Stranger Things, ma anche l’indie rock degli anni Zero, la moda e le feste a tema che si continuano a organizzare per scacciare i fantasmi della vita reale), che pure appare vuota perché esclusivamente estetica.

Non ci si trova nemmeno davanti a una rivolta contro il mondo moderno di evoliana memoria – che con ironia si scorge proprio nel correre vero un futuro migliore dei protagonisti del film italiano (degli anni ’80) I ragazzi di Torino sognano Tokyo e vanno a Berlino di Vincenzo Badolisani – quanto a uno svuotamento e a una riscrittura della storia, in cui le narrazioni dell’epoca diventano la realtà dell’epoca.

E allora Patrick Bateman, l’uomo di successo, “l’uomo GQ”, “il ragazzo della porta accanto”, il dispensatore di consigli, l’artefice della sua propria narrazione – magistrali, nel romanzo, i cambi da prima a terza persona –, l’assassino, non può che essere, nella sua dualità, un modello ironico, una caricatura, una satira ma, soprattutto, un modello di stile.

Questo articolo fa parte delle Core Story di N3rdcore di Settembre

related posts

Come to the dark side, we have cookies. Li usiamo per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi