Perché odi il nuovo Ghostbusters
Chiedetelo a chiunque scriva storie per lavoro: una delle chiavi del successo di un buon racconto si basa su quanto il pubblico riuscirà a relazionarsi con i personaggi, possibilmente col protagonista. Quindi, la prima cosa da fare in questi casi è capire qual è il pubblico di riferimento. Per la TV e il cinema a ... Perché odi il nuovo Ghostbusters
Chiedetelo a chiunque scriva storie per lavoro: una delle chiavi del successo di un buon racconto si basa su quanto il pubblico riuscirà a relazionarsi con i personaggi, possibilmente col protagonista.
Quindi, la prima cosa da fare in questi casi è capire qual è il pubblico di riferimento. Per la TV e il cinema a cavallo tra gli ’80 e i ’90 il punto di riferimento era il maschio bianco etero, se la cosa doveva piacere agli uomini, o la femmina bianca etero, se la cosa doveva piacere alle donne. Tutto il resto era messo solo per dare un tocco esotico o di finta diversità.
He-Man, Conan, Hulk Hogan, McGyver, Indiana Jones, i GI-Joe, Marty McFly, Commander, i Goonies, i Ghostbusters, buona parte dell’A-Team, l’Uomo Ragno, Captain America, Batman, Rambo, John Matrix, Atreyu sono personaggi creati per suscitare familiarità o ispirazione nel maschio bianco etero o far desiderare alla sua versione femminile di essere salvata da loro (sto ovviamente semplificando).
Persino molti personaggi dei cartoni giapponesi sono disegnati con uno spirito occidentale. Non venitemi a dire che Aran Banjo o Kenshiro vi sembrano nipponici. Certo nei videogiochi la cosa era più sfumata, visto che per molto tempo la grafica non ha permesso più di tanto, ma generalmente la storia era una variazione sul tema “sei forte, sei figo, spacca tutti, salva la ragazza”. Giusto Puzzle Bobble usciva dalla nicchia.
Era molto, molto difficile che in TV ci fosse qualcuno in cui non potevamo o con cui non riuscivamo a relazionarci. Forse giusto Mr. T e Eddie Murphy. Persino Gesù, che in teoria doveva essere un tipo abbastanza abbronzato e scuro di pelle, viene sempre visualizzato come un surfista californiano col pizzetto particolarmente curato e lo sguardo benevolo.
Non sapevamo cosa volesse dire vedere un film in cui non c’era nessun volto familiare. E a rincarare la dose ci pensava Hollywood, sempre pronta prendere le storie degli altri e occidentalizzarle, vedi alla voce “Sette Samurai” o “Bianche che fanno twerking”. Si chiama “Appropriazione culturale” e la usiamo da anni nella musica, nel cinema, nella moda, ovunque, è il modo in cui cerchiamo di digerire il mondo.
Fin qui tutto bene, questo sistema di facce, valori, battute e film girati dannatamente bene ci ha permesso di creare il nostro personale Pantheon di riferimento, una sorta di grande scatolone mentale pieno di giocattoli, frasi celebri, sigle, merendine e colpi speciali.
A un certo punto però il mondo si è accorto che non c’eravamo solo noi e ha confezionato storie anche per l’altro pubblico, quello che per anni era stato costretto a guardare qualcosa che non era pensato per lui. Ma alla fine chi se ne frega avevamo comunque un bel po’ di roba nostra e tanti ricordi.
Poi i geek hanno preso il sopravvento, sono arrivati il recupero, il citazionismo spinto, il postmoderno, il bisogno di dimenticare un futuro di merda rifugiandosi nei bei tempi andati, è esplosa la voglia di tentare un nuovo pubblico con vecchie idee e qualcuno ha osato fare un film con un team di Ghostbusters completamente al femminile, Thor è diventato una donna, Ms Marvel è musulmana.
Noi volevamo tornare quelli che guardavano MTV nel 1997, mentre il mondo voleva mostrare agli altri come ci sentivamo mentre la guardavamo. L’appropriazione culturale ci è esplosa in faccia come una Big Babol gonfiata troppo.
“Hey, hey, hey non corriamo troppo, come sarebbe dire che Ghostbusters è completamente al femminile? Perché non c’è neanche un uomo? Perché devono essere tutte donne?”
Avete fatto caso che chi fa questa domanda non si è mai posto il problema opposto? Ovvero perché nel primo Ghostbusters erano tutti uomini?
“Eh ma allora facciamo Piccoli Uomini!”
Perché, ti mancano le storie di ragazzini bianchi poveri che devono vedersela con le avversità della vita?
Che poi pare che il nuovo Ghostbusters sia semplicemente quello che sarebbe stato lo stesso film con gli uomini: una carellata di battute divertenti che risente comunque dell’inevitabile paragone col film originale, intrattenimento di buona qualità, ma niente di più. Non un’eresia da sommergere con mille polemiche sul web.
Il problema non sono le donne, il problema non è il presunto atto di lesa maestà al film originale, non è il fatto che “non si inventa più niente di nuovo” né che “è un’operazione paracula”.
Il problema è che per la prima volta stiamo provando ciò che per anni gli altri hanno vissuto al posto nostro e per di più lo stiamo vivendo con quello che è stato un pilastro della nostra gioventù. Magari neppure il pubblico di giapponesi ha gradito che i sette samurai diventassero sette cowboy, ma quello però non era un problema nostro.
Non siamo più il centro dell’universo narrativo. Non siamo più soli sul piedistallo dell’eroe e alcune storie che prima parlavano a noi/di noi adesso dicono le stesse cose ad altri.
Qualcuno ha osato dirci che forse Gesù poteva anche essere di pelle scura e non ci sta bene, perché noi siamo bianchi, e quando vogliamo fuggire dalla realtà e immedesimarci in un film, noi vogliamo eroi che ci assomiglino.
Se così non è, non mi interessa, non lo guardo, è una merda.
Secondo me sbagli eh? Poi fai te.
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