Corre l'anno 2000, orlo del secolo e del millennio. Un preadolescente magrolino qualunque curiosa in giro per la sua fumetteria di fiducia. Il negoziante gli lancia uno sguardo complice: solo qualche mese prima, come rito di passaggio, gli ha venduto tutti i volumi di Dragon Ball Z. La Forza scorre potente nel ragazzo, direbbe qualcuno; è tanto tempo fa, abbastanza perché i fumetti di Guerre Stellari non siano ancora divisi tra storie e leggende.
Allo scaffale dei fumetti americani, però, il consueto momento di imbarazzo. È quasi un tic, impercettibile, puntuale: Spider-Man, Wolverine, Capitan America (prima del film, si traduceva anche il grado), non si possono recuperare tutti. È anche vero che, da poco, tutti gli eroi dell’universo Marvel sono morti e rinati, prima senza memoria, poi con, ricominciando in un certo senso le proprie avventure. Ma è durato poco, solo 12 mesi, poi tutto sembra essere tornato allo status quo ante. Numeri non troppo elevati in testa agli spillati non rendono l’idea della continuity, profonda e sterminata, tessuta finora. E questo scoraggia non uno ma tantissimi nuovi lettori.
Anche DC Comics lo sa, ci si è confrontata nel 1985 con la sua Crisi sulle terre infinite, tentativo disordinato di mettere ordine negli anni di storie stratificate, sovrapposte e talvolta contraddittorie. Ma la continuity di Superman e soci è una belva esigente: famelica, divora ogni tentativo di razionalizzazione, masticando, digerendo e sputando un risultato ancor più caotico.
Marvel, ciclicamente, propone più blandi reboot e ricomincia spesso la numerazione degli albi, per aggirare il problema. Non vuole fare lo stesso “errore” (virgolette d’obbligo: la Crisi non ordinò ma fu altro passo storico per il fumetto).
Ma se il problema è aggirato, non è risolto, e più passa il tempo più si aggrava. Come fare a catturare i lettori nuovi per davvero? Quelli che, prima, non esistevano, perché non leggevano o non erano ancora nati.
L’occasione si presenta nel succitato anno 2000. E, per una volta, la soluzione non è quella del reboot. Perché il reboot, in realtà, non ricomincia il racconto sul serio. Parafrasando Il Gattopardo, finge che tutto ricominci perché tutto continui così com’è.
Stavolta si percorre una via diversa, affidata alle penne di due scrittori esperti e complementari: la garanzia, Brian Michael Bendis, apripista e macchina da sceneggiatura seriale; la scommessa, Mark Millar, iconoclasta proveniente da un clamoroso ciclo su Authority e in odore di prossimo Millarverse. L’obiettivo? Raccontare ex novo, ma ex novo per davvero, le storie dei più grandi eroi dell’universo Marvel, come se fossero nati nel 2000. Origini moderne, caratterizzazioni moderne, contesto sociopolitico contemporaneo e età media pro capite ri-tarata verso il basso.
È Bendis, nel 2000, che firma il primo storico mattoncino di questo Ultimate Universe (a.k.a. Terra 1610): il numero 1 di Ultimate Spider-Man, testata proseguita per oltre quindici anni e con “solo” due rilanci, il primo a più di un decennio dall’esordio, sul finire del 2011. Nel 2001, a ruota, seguono gli esordi di Ultimate X-Men (Millar), Ultimate Fantastic Four (Millar & Bendis) e Ultimates (Millar), nome nuovo per la nuova versione degli Avengers.
L’operazione è un successo, e su tanti punti di vista diversi. Economicamente, l’effetto reboot è comunque assicurato. Le vendite si gonfiano, le nuove storie intrigano. Come hanno ottenuto i poteri i nuovi Fantastici Quattro, poco più che adolescenti al momento dell’esperimento che li ha resi supereroi? E come si sono incontrati Bruce Banner, Steve Rogers, Tony Stark e Hank Pym, all’alba del nuovo millennio?
La cosa più importante, poi, è che l’obiettivo narrativo e editoriale è perfettamente centrato: le generazioni troppo giovani per potersi orientare, senza sforzi colossali (ehr), in una continuity ultracinquantenne sono impazienti di tuffarsi, nel 2000, nell’Universo Ultimate. Intanto, perché per la prima volta sentono di non essere in ritardo. Infine, e più importante, perché quel mondo non è soltanto completamente nuovo, ma anche “attuale” nei modi e nel linguaggio, esattamente come loro. Contemporaneo.
È un passo fondamentale del fumetto, certo, ma pure della cultura pop. È l’Universo Ultimate che introduce tantissimi nuovi lettori all’universo di supereroi che poi, gli stessi lettori, crescendo, ritroveranno e ameranno sul grande schermo. È con l’Ultimate Universe che si forma il codice genetico dell’odierno cinema e intrattenimento crossmediale supereroistico.
Tanto per fare l’esempio più iconico e banale di tutti: in Ultimates fa la sua prima comparsa Nick Fury che, in questo universo, prende in prestito le fattezze dell’attore di colore Samuel Lee Jackson. È una direttiva di Millar al suo disegnatore (Hitch) che lo stabilisce. Solo dopo il cinema vi si adeguerà, scritturando per la parte proprio l’attore Samuel Lee Jackson.
Non è certamente un caso. A chi potevano rivolgersi i primi film dei Marvel Studios, nei volti e nei toni, se non allo stesso identico target, ampliato su scala cinematografica, già conquistato dagli Ultimates?
Il discorso si può estendere e approfondire, rimanendo ben solido. La trilogia di Amazing Spider-Man si rifà moltissimo all’Ultimate Spider-Man di Bendis e Bagley (coppia record da 127 numeri consecutivi). Ma si può arrivare fino al Batman di Nolan, che è ciò che si ottiene applicando in modo brillante principi di narrazione estremamente moderni e razionalizzanti a figure arche-tipicamente eroiche come quella del Cavaliere Oscuro.
Già Zack Snyder lo farà di meno, col suo Man of Steel, nell’ancora lontano futuro passato del 2013. Sono passati tredici anni dalla rivoluzione del 2000 e si cerca un compromesso più a metà strada tra mito e modernità. Lo stesso fa il rilancio DC dei New 52, nel 2011, ma è un parziale riflusso innescato da quel punto di rottura col passato, che in un secondo momento si cerca di recuperare e integrare.
Lo stesso Universo Ultimate, dopo aver dato tanto, con il cinema supereroistico ormai lanciatissimo sulla strada del successo mondiale, comincia dopo dieci anni a dare segni di stanchezza. I lettori che l’hanno visto nascere sono cresciuti abbastanza da poterlo abbandonare.
Eccezion fatta per il primo gigantesco ciclo di Ultimate Spider-Man, culminante con la morte dell'Uomo Ragno, ci piacerebbe dire che l’Ultimate Universe sia andato incontro a una fine degna della sua nascita e del suo sviluppo. Purtroppo, Terra 1610 (quella dell’universo classico è Terra 616) diventa sempre più spesso teatro di esperimenti, talvolta coraggiosi, certe volte solo bislacchi.
L’impianto narrativo viene tutto, ripetutamente, depotenziato e solo qualcosa, nel mucchio di scelte finali, riesce a distinguersi e salvarsi. Su tutte, l’avvicendamento tra il defunto Peter Parker, defunto sul serio, e il suo successore e nuovo Ultimate Spider-Man, Miles Morales. Ma anche la svolta villain della versione ultimate di Reed Richards, una volta Mr. Fantastic, ora divenuto lo spietato e freddo “Creatore”. Tutto convoglia nell’evento crossover Secret Wars, che riunisce l’Universo Ultimate e Universo Classico, così come tutti gli altri universi, per poi far sopravvivere una dimensione soltanto.
È il 2015, quel magrolino preadolescente è cresciuto, abbastanza da imparare a distinguere cosa recuperare e cosa no, nel caos delle continuity, persino a selezionare cosa comprare delle uscite mensili. Sul fronte Marvel, ancora una volta tutti gli eroi rinascono, si ricomincia daccapo. Ma l’Universo Ultimate non esiste più. Miles Morales si ritrova catapultato nel nuovo universo classico, in compagnia di un Peter Parker più vecchio. Gli Spider-Man sono due.
Che sia questo, quindici anni dopo, l’unico lascito simbolico e narrativo di tutte le storie che l’hanno fatto innamorare del mondo dei supereroi? Forse. Comunque, non sarebbe affatto poco.
Intanto passa altro tempo, è il 2018. Alla soglia dei trenta, quel non-più-ragazzo va al cinema a vedere Spider-Man: Un nuovo universo e, dentro, ci ritrova tanto, tantissimo, del coraggio e delle storie che l’hanno cresciuto. Ormai, da quello storico 2000, sono passati quasi vent’anni. Ormai, il 2000 è quello che per lui sono stati gli Anni ’80.
E allora, dopo aver segnato la storia del fumetto moderno e della cultura pop, che sia questo il destino dell’Ultimate Universe: essere citato, sì, diventare riferimento, sotto i riflettori, davanti agli occhi e sulla bocca di tutti; ma anche, dietro anzi sotto le quinte, essere il silenzioso fondamento su cui oggi la cultura si rinnova, rinasce… si reboota, per le nuove generazioni.