Sarà bello Orfani - una retrospettiva
L'ultimo numero di Orfani è arrivato in edicola: un'analisi delle sei stagioni focalizzato sui temi, le influenze e gli autori della serie che portato qualcosa di nuovo dentro Bonelli.
Orfani è finito, evviva Orfani
Il 15 giugno è arrivato in edicola l’ultimo numero della serie Orfani: Sam, Ancora un giorno. Questo numero chiude l’intera produzione regolare della serie, uscita per la prima volta nel 2013 e partorita da un’idea del dominus del fumetto italiano, Roberto Recchioni (ché ormai il termine rockstar è stato ampiamente superato).
L’ultimo numero non è stato il classico numero di chiusura, o meglio, non è stato l’ultimo numero che il pubblico si aspettava (qui entriamo nel campo minato di cosa sia più importante tra dare il pubblico quello che vuole o lavorare affinché i gusti del pubblico evolvano ma visto che è tutta un’altra storia, ne parleremo in un’altra occasione): la continuity, infatti, si è fermata al volume precedente, l’undicesimo della sesta stagione, chiudendo le trame aperte con un numero d’anticipo. Il dodicesimo albo, quindi, è un piccolo divertissement che lo sceneggiatore Roberto Recchioni ha voluto concedere a sé stesso e ai fan.
Nelle poco più di 90 pagine dell’albo, i protagonisti della serie - gli Orfani del titolo - si ritrovano nello sterminato prato ormai ben conosciuto dai lettori. In quell’ambientazione bucolica, i cinque personaggi tornano alle origini, dandoci modo di rivedere i tratti caratterizzanti di ognuno. Tra una strizzatina d’occhio ai temi e ai disegni tipici dei manga, troviamo anche qualche inserto di un vecchio fumetto western e quindi ci togliamo anche lo sfizio di vedere Ringo nella versione adulta fare il pistolero infallibile e insondabile.
Un collegamento tra il passato e il presente che ha caratterizzato tutta la cavalcata di questa serie, fin dalla prima stagione.
Oggi, più che fermarmi alla recensione del singolo albo o dell’intera serie, sono maggiormente interessato a mettere in fila gli aspetti di Orfani che hanno avuto una maggiore eco nel panorama fumettistico italiano, secondo la mia personale visione.
Una serie a colori
Chi tra voi conosce la Bonelli sa benissimo quanto il colore sia sempre stata una piacevole eccezione, per la casa editrice milanese: usato sugli speciali, sui numeri celebrativi e in pochissimi altri casi, il colore è diventato su Orfani una delle prime, grandi innovazioni.
Questo comporta un lavoro notevole anche solo nella scelta della carta che deve rendere il colore nella maniera più vicina all’idea di partenza, senza al contempo far alzare di troppo il prezzo di copertina - perché stiamo comunque parlando di un albo da edicola che come tale ha un segmento di mercato ben preciso.
Già la combinazione di questi due fattori avrebbe fatto tremare i polsi ai più temerari, senza tenere in considerazione la pressione che essere la prima serie interamente a colori targata Bonelli doveva portarsi appresso.
Le vie d’uscita non erano poi tante, bisognava affidarsi a dei professionisti rodati, capaci di lavorare al meglio e con i tempi che una serie mensile impone.
I primi coloristi a comparire su Piccoli spaventati guerrieri, volume d’apertura di tutta la serie, sono Lorenzo De Felici e Annalisa Leoni, autori romani già in quota Bonelli, nonché disegnatori di svariate opere per il mercato francese (oggi De Felici è co-autore della nuova serie di Robert Kirkman, Oblivion Song, mentre la Leoni ne è la colorista). È loro l’impostazione iniziale dei colori, il tocco che ha dato il la all’intera prima stagione (e di riflesso all’intera serie). Con Orfani il rapporto tra disegnatore e sceneggiatore si allarga anche all’orizzonte del colorista che esce - finalmente - dall’anonimato a cui è stato relegato per tanti anni dal fumetto italiano per diventare protagonista, insieme al suo lavoro, della costruzione della tavola.
Il colore crea l’atmosfera fin dai primi numeri di Orfani e man mano che la narrazione procede, passando dalla Terra ai mondi alieni, dalle ambientazioni cittadine a quelle in piena giungla, dagli inseguimenti alle sparatorie, dalla realtà virtuale ai palazzi del potere, le tavole riescono a gridare tutta la loro meraviglia proprio grazie all’esplosione di colore che le caratterizza.
Confesso di essere un amante del colore (anche se in tanti mi ripetono che il tratto del disegnatore può essere giudicato molto meglio dal bianco e nero) e quindi parto già soddisfatto in partenza ma ci sono stati numeri in cui solo vedere un paio di doppie splash page piazzate al punto giusto della storia, con una palette di colori degna di una quadro valeva il prezzo del volume.
Il testimone ai colori, una volta che il duo De Felici/Leoni ha cominciato a dedicarsi ad altri lavori, è passato ad artisti come Alessia Pastorello, Giovanna Niro, Stefania Aquaro, Luca Saponti, Andrea Mosse, Nicola Righi e Fabiola Ienne. Tutti questi autori hanno portato il loro talento e la loro professionalità all’interno della grande squadra di Orfani, tenendo alto l’orgoglio dei coloristi per tutte le sei stagioni.
Prima di passare oltre, va segnalato che l’esperimento del colore è piaciuto in Bonelli: dall’uscita di Orfani non sono state poche le novità a fumetti interamente a colori. Vi basti pensare alle nuove avventure di Martin Mystère (miniserie in dodici episodi), a 4 Hoods, agli speciali delle Storie e di Dragonero e a chissà quanto altro che scopriremo nei prossimi mesi.
Gli autori
Una serie così variegata, per temi e modalità di racconto, non sarebbe stata possibile senza una squadra di autori pronti a dare il loro personale tocco alla serie.
Del Rrobbe nazionale c’è poco da aggiungere: se seguite il mondo del fumetto o anche se solo sbirciate facebook, sapete di chi sto parlando, dei suoi meriti, talenti e di come si diverta ad attirare gli strali delle categorie di utenti più disparati.
Vorrei quindi soffermarmi sulla corte di autori che si sono riuniti intorno a questa serie e di come abbiano portato il loro stile più o meno innovativo, cercando il loro personale spazio e affacciandosi a qualche sfida. Orfani ha avuto il merito di mettere autori affermati davanti a una novità per la loro carriera e al contempo di permettere agli esordienti di esprimere la loro arte e raggiungere un pubblico particolarmente ampio.
Nel caso di Emiliano Mammucari, conosciuto al grande pubblico come copertinista e disegnatore (nonché creatore della serie), la novità è stata dedicarsi alla sceneggiatura, passare quindi all’altro lato della barricata, insieme al fratello Matteo. Il risultato è una stagione, la quinta (Orfani: Terra) molto dura e incisiva che riesce a mescolare le carte tra una storia di formazione e un romanzo fantascientifico di ambientazione post-apocalittica. Da questo particolare aspetto della serie verrà tratto nei prossimi mesi uno spin-off che sono particolarmente curioso di leggere. Visto che il lavoro di sceneggiatore non lasciava spazio a quello di copertinista, ad avvicendarsi sui tre numeri della ministagione è stato chiamato nientedimeno che il maestro Gipi: Il disegnatore toscano è stato capace di infondere nelle tre copertine tutto il tratto che caratterizza la sua produzione, assecondando al contempo anche le necessità editoriali di Orfani, in termini di colorazione e struttura della tavola.
Anche Paola Barbato è stata chiamata a scrivere un’intera stagione, la quarta, quella interamente dedicata alla storia di Jsana Juric, antagonista degli Orfani e cinica burattinaia assetata di potere. Partiamo dalle copertine: Nicola Mari coglie in pieno l’essenza del personaggio e della scrittura della Barbato, dando alle copertine un tocco disturbante che anticipa quanto contenuto nei tre albi. La sceneggiatrice, infatti, ha infarcito la vita del personaggio affidatole con un inquietante misto di opportunismo, avidità e mancanza di scrupoli: la sua run su Orfani, per alcuni passaggi, è la più difficile da digerire perché la maggior parte delle azioni della spietata donna non avviene in un mondo futuristico o lontano dal nostro, anzi. Tutto si compie nel nostro presente, in un mondo che ci è familiare e che potrebbe svelarsi ai nostri occhi se solo avessimo l’ardire di guardare sotto al tappeto della normalità.
Michele Monteleone è partito alla co-sceneggiatura di alcuni numeri della terza stagione, come un giovane autore esordiente e ha terminato la sua corsa su Orfani tenendo da solo il timone di quasi tutta l’ultima stagione. Tra gli autori che si sono alternati a scrivere la serie, Monteleone sembra quello che si sia divertito di più, soprattutto a smontare la gabbia Bonelli. L'apertura di ogni nuovo albo nascondeva sempre una sorpresa in termini di montaggio di una sequenza, di costruzione (o dovrei dire distruzione?) di una tavola o di inquadrature ardite.
Ho letto spesso in rete detrattori di Orfani accusare gli autori di non portare significative novità, usando come argomenti le splash page tipiche della Marvel o i combattimenti in stile manga. La mia risposta era sempre la stessa: ricordiamoci che stiamo parlando della Bonelli, una casa editrice che ha fatto di un certo tipo di impostazione della gabbia una dei suoi marchi di fabbrica e che con Orfani si rivolge anche e soprattutto a un pubblico nuovo, più giovane del lettore medio di fumetto. Questi due fattori non vanno sottovalutati. E Monteleone sembra averli ben presente, quando pesca a piene mani nella tradizione fumettistica orientale o statunitense, per riportarla su Orfani con non poco entusiasmo, personale e professionale.
Sulla seconda e la terza stagione, Recchioni viene affiancato alla scrittura da Mauro Uzzeo, con cui ha lavorato fianco a fianco ai tempi di John Doe, prima, e di Monolith, poi. Uzzeo si è ritagliato spesso, nel corso degli anni, il ruolo di riequilibratore dei temi e delle atmosfere trattate da Recchioni, tirando fuori degli episodi da vertigini. La sua scrittura riesce a indagare l’animo umano come poche altre attualmente in circolazione e sia su Ringo che su Nuovo Mondo, ha avuto la capacità di tratteggiare dei personaggi (in alcuni casi basati su persone vere) dolorosi e crudeli. Spesso i numeri in cui c’era lui alla guida erano quelli da rileggere più volte per cogliere gli aspetti reconditi delle scelte dei suoi protagonisti.
Ultimo ma non meno importante, va segnalato il lavoro di Matteo De Longis alle copertine della terza stagione: districarsi tra Mammucari, Mari, Di Giandomenico e Gipi non deve essere stato facile, per questo autore al suo esordio col grande pubblico. Ebbene va detto, Matteo ha retto benissimo il colpo, producendo dodici copertine efficaci ed evocative, molto personali. Ho trovato anche molto utile il work in progress dei lavori che veniva svelato di mese in mese: vedere come nasce una copertina, dall’idea di partenza fino alla versione finale, racconta molto del rapporto tra sceneggiatore, curatore e copertinista di una serie.
I temi
La fantascienza, da un certo punto della sua storia in poi, ha avuto il grande merito di traslare argomenti di attualità in mondi lontani, dando la possibilità – al lettore attento – di riflettere sugli stessi temi da un altro punto di vista. E quindi la guerra si sposta nello spazio, l’incontro con razze aliene diventa il pretesto per approfondire il tema del diverso e così via.
Orfani, lungo tutto il corso della sua storia editoriale, ha proseguito nel corso dettato da questa tradizione.
Molte sono le tematiche che mi hanno colpito, in alcuni casi per il modo in cui sono state trattate, in altri, invece, per il solo fatto di esser state riprese su una serie a fumetti che nasce da una tradizione popolare. Ci tengo a sottolineare, onde evitare inutili puntualizzazioni, che l’elenco non vuole essere esaustivo ma si basa esclusivamente sulla mia sensibilità e (scarsa) attenzione.
La prima stagione parte col botto mettendoci davanti a un mondo che viene distrutto nelle prime pagine (Tra Terminator 2 e La Guida Galattica NdLorenzo). Le esplosioni di calibro atomico delle tavole di apertura sono l’occasione per addestrare i giovani orfani del titolo, trasformarli in superguerrieri pronti a tutto e spedirli dall’altra parte della galassia a distruggere l’alieno nemico. Il nemico, alla fine, si rivelerà essere molto meno alieno. I dodici numeri della prima stagione ci raccontano come sia possibile manipolare l’opinione pubblica attraverso un rigido controllo dei media e la regolare immissione di fake news nel sistema informativo. Vi ricordate quando ci è stato detto che la coalizione a guida statunitense avrebbe invaso l’Iraq a causa delle armi di distruzione di massa che il regime di Saddam Hussein stava nascondendo? E vi ricordate come poi le indagini abbiano reso noto che la notizia era stata montata ad arte per giustificare l’intervento armato? Ed ecco quindi gli spunti della realtà che fanno da trampolino di lancio per le storie.
Molto meno sottilmente, non posso certo evitare l’argomento dei bambini soldato: se nella realtà queste piccole truppe vengono reclutate a forza e stordite con le droghe prima di essere mandate al macello, nel mondo di Orfani, ai bambini viene data una motivazione potentissima (vendicarsi per la morte delle loro famiglie e la distruzione del loro mondo) e un rigidissimo stile di vita a base di addestramento militare e potenziamenti genetici sperimentali.
La seconda stagione (Orfani: Ringo) vede un capovolgimento del punto di vista da manuale: i nemici diventano amici e viceversa. L’ambientazione si sposta sulla Terra ormai distrutta e seguiamo le vicissitudini del pistolero Ringo alle prese con tre marmocchi da salvare. I temi trattati non si alleggeriscono, anzi. Due sugli altri vengono approfonditi: la genitorialità e le responsabilità connesse – tema su cui il pistolero si interroga nel suo vagabondare in giro per l’Italia – e tutti gli aspetti legati alla guerra di resistenza. Nel corso del viaggio, i quattro protagonisti si imbatteranno in tutte le forme di sopravvivenza che una guerra durata decenni porta alla luce del sole: i guerriglieri idealisti, chi ha abbandonato ogni speranza, gli sfruttatori del dolore altrui e la povera gente comune, schiacciata tra la necessità di mantenere intatta la propria dignità e arrivare vivi alla fine della giornata. Anche in questo caso, i riferimenti alla realtà non li troviamo molto lontani nel tempo: immaginate in che condizioni devono trovarsi paesi come l’Afghanistan, l’Iraq o la Libia, che vivono in guerra da oltre trent’anni.
La terza stagione (Orfani: Nuovo mondo) è quella che maggiormente ha anticipato alcune delle boutade a cui abbiamo assistito sulla scena politica italiana proprio nelle ultime settimane. L’ambientazione cambia ancora, spostandosi sulla nuova colonia e la sua Luna: sulla prima vivono i privilegiati che hanno accesso alle cure, alla casa, a uno stile di vita dignitoso; sulla seconda, invece, sono costretti i rifugiati dal vecchio mondo, in un ambiente ostile, inquinato e destinato esclusivamente allo sfruttamento. Una delle prime scene di questa terza stagione segue proprio il volo di un astrocargo – non molto diverso, per condizioni e affollamento, dai barconi carichi di disperati che affrontano il Mediterraneo anche in queste ore – a cui viene negato l’attracco su Nuovo Mondo. La condizione dei migranti esplode così come sottotraccia della terza stagione, cambiando volto man mano che la storia procede. Gli sceneggiatori sono stati molto abili nel farci empatizzare con Rosa, la protagonista di questa stagione e di farci percorrere insieme a lei a ai suoi comprimari - supportandoli - tutto il percorso da vittima a carnefice. Alla fine della stagione, ci troveremo ad amare la leader di un movimento che non esiteremmo a definire terrorista. Se al lettore di Orfani non è servito questo a far leggere la realtà da punto diverso dal proprio, non so proprio cosa potrebbe riuscirci.
La quarta stagione (Orfani: Juric) è un inno all’ambizione senza scrupoli. Se durante la terza stagione si riesce a seguire la motivazione che muove le azioni del personaggio di Rosa, nel momento in cui si passa alla quarta, leggere quanto è stata capace di fare Jsana Juric per raggiungere i suoi obiettivi è francamente agghiacciante. Il famoso motto “Il fine giustifica i mezzi” non è sufficiente a spiegare le decisioni della donna né a renderla più umana, anzi il proseguire della storia allontana la Juric da ogni definizione di umanità.
La quinta stagione (Orfani: Terra) è, come la precedente, composta di soli tre numeri. La sua brevità non deve trarci in inganno: anche qui i temi trattati sono tra i più duri (e attuali) che gli sceneggiatori potessero scegliere. La storia segue il percorso di uno sparuto gruppo di adolescenti che ha deciso di scappare dalla Terra devastata da anni e anni di guerre, radiazioni, isolamento e violenza. In un mondo più vicino a quello di Mad Max che al nostro, i protagonisti ci insegneranno che la disperazione per la propria condizione porta alla fuga come unica alternativa.
Chiudo quindi con la sesta stagione (Orfani: Sam), in cui il duo Recchioni/Monteleone ci fornisce il suo personale punto di vista sull’intelligenza artificiale e i relativi sviluppi nel campo. Sam, in fondo, è un ibrido uomo-macchina in cui la prima componente - da un certo momento della storia in poi - prende il sopravvento e si muove di conseguenza. Al di là del riferimento al filone fantascientifico sul tema, non è proprio sulle modalità di imitazione del cervello umano e sullo sviluppo delle integrazioni tra umanità e macchine che si stanno dirigendo le ultime ricerche nel campo delle AI? Al contempo l’altro tema cardine riguarda le dinamiche che muovono le scelte delle persone, la profondità dei rapporti che nascono e la loro successiva modifica in base alla convenienza, alla conoscenza approfondita dell’altro o più semplicemente alla contingenza temporanea.
E questo è un argomento talmente ampio da trascende la singola stagione e diventare universale.