La vita e la morte in The Midnight Gospel
The Midnight Gospel è una serie psichedelica che può risultare respingente, ma affronta anche il grande tema della morte in maniera innovativa.
The Midnight Gospel è una nuova serie di animazione Netflix. Chi la guarda, finisce per descriverla con termini forti. È divisiva, può irritare oppure esaltare la sensibilità del pubblico. Cosa hanno intercettato i suoi autori, Pendleton Ward e Duncan Trussell?
The Midnight Gospel è la trasposizione del podcast di Trussell. La sua animazione surreale è disegnata da Ward, il creatore di Adventure Time. L’adattamento è stato realizzato con una stranissima fusione di fiction e non fiction, riprendendo i contenuti audio preesistenti e costruendo dal nulla quelli visuali. L’effetto è stranianante perché ciò che accade sullo schermo segue concettualmente ciò che viene raccontato, ma in modo controintuitivo. L’animazione rivela il tono psichedelico di conversazioni che ruotano attorno alla vita, alla morte e all’universo. È una serie che può non risultare immediata: le chiacchiere di Trussell coi suoi ospiti procedono imperterrite come vuole il formato podcast, mentre sullo schermo accade di tutto – spesso in netta divergenza rispetto a quanto seguiamo nell’audio. Una visione impegnativa, in cui a volte è impossibile raccogliere tutte le informazioni allo stesso tempo.
Dico che The Midnight Gospel è divisiva perché chi la vede difficilmente avrà un’opinione neutra. Ed è vero che ci sono aspetti respingenti, specialmente nei primi episodi. È voluto? Secondo me in parte sì, ma potrebbe dipendere anche dal non sapere dosare in modo esatto tutti gli elementi a disposizione. Ma questo è perdonabilissimo, vista la natura sperimentale della serie. Se vogliamo approcciare The Midnight Gospel a scetticismo spianato, è facile trovare una conferma ai nostri pregiudizi. Lo si può liquidare come uno show che parla di temi filosofici con una deriva genericamente stoner, guidato dal solito maschio-bianco-cis etc. Insomma, evoca il demone del fastidio, è inevitabile e col pilot è successo anche a me, che tra l’altro odio i podcast.
E allora, perché la serie alla fine mi è piaciuta lo stesso? Penso che uno dei suoi obiettivi sia replicare l'esperienza che abbiamo quando siamo alle prese con la nostra mente, la cui voce mai tacerà, distraendoci da tutto il resto. È incarnata da Trussell e dal suo personaggio puerile, che però di episodio in episodio attraversa un arco autocritico, distanziandosi dal cinismo spicciolo di altre serie e altri fandom. Quest’ultimo punto diventa cristallino negli ultimi due episodi della stagione, in cui Trussell condivide un’esperienza universale come la perdita dei genitori.
In questa luce, The Midnight Gospel è un ottimo esempio di tv sperimentale che ci porta a rimappare il nostro cervello quando la guardiamo. È legittimo che questa uscita dagli schemi non sia sempre facile, che se ne dubiti immediatamente. Ci si può stancare della dissonanza cognitiva e ci si può sentire superiori al gioco dello show. Capita però che in mezzo a quella dream logic una frase colpisca l’attenzione, riportandoci nel discorso o che da una puntata all’altra si scorga il centro del labirinto.
Alla fine, The Midnight Gospel è una serie sull’illuminazione, sulla sua irragiungibilità e sull’accettazione della morte. A un certo punto diventa chiaro che è questo elemento a unire ogni minuto della stagione. La morte è un concetto che continuiamo a rimuovere dalla nostra vita, anche quando la incontriamo. The Midnight Gospel invece la rivolta come un calzino, spalmandola su ogni fotogramma. Allo stesso modo, riflette su come esistiamo e lo fa ricreando le stesse condizioni, usando il linguaggio audiovisivo in modo spericolato. Trasformando il proprio messaggio in esperienza, riesce a essere all’altezza del suo obiettivo sperimentale; allo stesso tempo, racconta una storia toccante in cui tante persone potrebbero ritrovarsi. Tante altre no, e va bene così. Certo sarebbe bello per una volta poterne discutere senza cinismo, ma questa è un’altra storia.