Il volto dell'eroe al tempo dei cinecomic
Cosa succederà nel momento in cui gli attori che hanno contribuito a rendere importanti i cinecomic dovranno smettere? Ecco cosa si rischia quando il volto dietro la maschera diventa più importante della maschera stessa
Con Infinity Wars la macchina produttiva del Marvel Cinematic Universe è arrivata a mettere il punto (un punto e virgola, diciamo) su intreccio narrativo durato 10 anni e 18 film. Lo ripeto perché sembra una roba buttata là: 10 anni e 18 film interconnessi e legati in maniera coerente. Senza star qua a discutere sulla qualità di alcuni di essi, tenere a bada gli intrecci narrativi, mantenere alta l’attenzione del pubblico e produrre questa mole di lavoro in tempi serrati è stata un’impresa titanica, iniziata quasi in sordina col primo Iron Man.
All’epoca, anche se la parola cinecomic non esisteva, ne avevamo già visti di ben fatti, il primo Superman, Batman, Spider Man, ma fu con la personificazione di Robert Downey Jr. in Tony Stark che la situazione iniziò definitivamente a sterzare rotta con la lentezza e l’inesorabilità di una nave da crociera. Fu un cambio di strategia notevole, rispettoso del personaggio, pensato per piacere ai vecchi fan e crearne di nuovi, strutturato come un piano a lungo termine. Oggi quel piano si trova di fronte al suo punto di snodo più importante: il cambio della guardia.
Legare a doppio filo attori e supereroi si è rivelata in questi anni una mossa vincente, gli attori riuscivano a portare i propri personaggi fuori dallo schermo e oggi se vedi Hugh Jackman pensi a Wolverine, anche se in originale il personaggio era basso, tarchiato e villoso. Per molte persone, soprattutto quel pubblico che ha imparato a conoscere gli Avengers con i film e che magari ha recuperato i fumetti in un secondo momento quelle sono le facce dei loro eroi. Cosa succederà quando quelle facce non ci saranno più?
Eh sì perché problema di questa idea brillante è molto semplice: gli attori invecchiano, i supereroi no. Possono diventare un po’ più vecchi e più saggi, ma tendenzialmente vivono un presente eterno in cui la loro fisicità e i loro tratti possono cambiare di continuo senza però invecchiare mai. Questo non è un problema per chi ha divorato fumetti per una vita e chi ha vissuto un’epoca meno strutturata dei cinecomic e almeno tre generazioni differenti di Spiderman ma come reagiranno le nuove leve?
In Infinity Wars Robert Downey Jr. è ormai al limite degli anni per interpretare un ricco genio di mezza età, il suo contratto è in scadenza, così come quello di Chris Evans e di altri personaggi che, anche se volessero andare avanti col catetere, prima o poi dovranno mollare il ruolo. Questo creerà inevitabilmente una frattura in un certo tipo di fan, quelli che discutono quale sia il miglior Batman cinematografico di sempre, quello per cui l’attore è più importante del ruolo che riveste e della simbologia del personaggio.
Questo è un cambio di paradigma fondamentale nel mondo dell’intrattenimento, perché il lettore di fumetti può essere appassionato a uno sceneggiatore piuttosto che un altro, ma il miglior Uomo Ragno di sempre sarà sempre l’Uomo Ragno, qualsiasi siano i suoi lineamenti, al massimo storce il naso se lo fai diventare ispanico o se Thor diventa donna. I cambiamenti generazionali nei fumetti sono legati più alla rappresentazione di un eroe e alle sue storie che alla sua faccia.
Sarà molto interessante capire come la Marvel (anzi, la Disney) riuscirà a gestire questa situazione. L’esempio più ravvicinato è quello di Star Wars e non è stata una transizione facile, vuoi per demeriti delle storie, vuoi per una fan base che ha mal digerito le facce nuove.
Un altro caso interessante emerso dopo uno scambio di battute con Alessandro Scarano di GQ è che un esempio virtuoso lo abbiamo: gli X-Men. Dopo i primi film l'universo narrativo con Patrick Stuart e Ian McKellen è stato lentamente ma fermamente sostiuito con facce nuove e al passo coi tempi, sfruttando tutto ciò che un fumetto può offrire per ripartire da zero: nuove linee temporali e universi paralleli. Va detto però che in quel caso, anche se gli attori in ballo erano forti, la presa sul pubblico non era forte come quella del Marvel Cinematic Universe, i film della Fox erano sempre ritenuti i cugini di secondo grado della grande famiglia. Inoltre va detto questo azzeramento non ha coinvolto Wolverine, che è rimasto lo stesso in ogni incarnazione degli X-Men, segno che alla fine la faccia conta sempre un po' di più, quando funziona.
E visto che probabilmente anche i film Marvel, come quelli di Star Wars, ci sopravviveranno, vedremo cosa succederà. Un nuovo Captain America? Iron Man che si ritira e fa il mecenate in favore di una ragazzina geniale? Domande a cui è difficile rispondere, ma questi sono i rischi quando l’attore conta più dell’eroe.
C’è anche una sostanziale differenza tra eroi di carta e cinematografici: i primi non devi metterli sotto contratto, quindi quando muoiono, pur con tutte le possibilità di tornare in vita offerte dai fumetti, ci sta che restino sotto terra per un po’. Questo nel cinema moderno non succede, non siamo ai tempi de L’Impero colpisce ancora, quando Han Solo finisce nella carbonite e teoricamente la sua storia potrebbe finire là. Adesso anche il sito di cinema meno sul pezzo ci ha già detto quali saranno i prossimi film Marvel e quali firme sono state rinnovate.
Non mi piace dirlo ma questo è un classico caso in cui si stava meglio prima. Per quanto il finale di Infinity War sia stato scioccante e diverso dal solito è dura costruire il pathos quando sai già chi ha firmato per i film successivi. E non parlo di chi ha letto la saga ma di chi magari segue quasi solo i film (bambini esclusi).
Ma torniamo al punto centrale della questione, è il momento di lasciare spazio alle riflessioni di Andrea Guglielmino.
La differenza principale fra un eroe e un attore è che il primo non invecchia e non firma contratti
La sostanziale differenza tra i fan dei cinecomic e i fan dei fumetti è che, per i primi, solo Hugh Jackman è il vero Wolverine. Per i secondi, solo Wolverine è il vero Wolverine. È una riflessione lapalissiana che magari strappa una risata, ma fa riflettere sui possibili scenari futuri. E che naturalmente vale per Batman, per Superman, per Spider-Man o per qualsiasi altro personaggio dei fumetti venga in mente. Non si tratta solo dell’aderenza alla fonte cartacea ma di una riflessione sul sistema.
Il sistema dei fumetti, per anni – diciamo fino a prima dell’avvento dei Marvel Studios come compagnia autonoma e poi come acquisizione della potentissima Disney – si è basata sull’affezione del pubblico verso i personaggi. Sull’evolversi delle loro storie, sui rapporti con i comprimari, fino alle svolte epocali delle “morti nobili” negli anni ’90 (morti effettive come quella di Superman, caduto sotto i colpi del potentissimo Doomsday, o simboliche come quella di Batman, costretto in sedia a rotelle da uno scontro con il criminale Bane e sostituito dal sociopatico e poco affidabile Jean Paul Valley sotto al costume, o ancora di Spider-Man, che scopriva di essere un clone e veniva scambiato con ‘quello vero’, salvo poi rinnegare tutto dopo un anno per un rapido e maldestro ritorno allo status qui, in seguito alle proteste dei fan).
Che faccia avessero, quei personaggi, era poco importante. I lettori di fumetti erano abituati a un continuo cambio dei connotati, a seconda della sensibilità, della tecnica e dello stile del disegnatore. Ma poi, la faccia. La faccia contava pochissimo. Gli eroi erano le loro maschere.
Le maschere che oggi, col passaggio al cinema, indossano sempre meno. E se per Sam Raimi trovare il modo di sfilare la maschera all’Uomo Ragno era un’esigenza soprattutto “artistica” – per poter lasciare l’attore libero di rilasciare la sua espressività – ed era divertente vedere come trovasse il modo di farlo incastrando l’esigenza perfettamente all’interno del filo narrativo del film (la bomba zucca che la lacera alla fine del primo episodio, i bambini che la rendono all’eroe promettendo di mantenere il segreto nell’epocale scena del treno del secondo), ora si tratta più di una questione di mercato.
Perché i cinecomic, è innegabile, hanno potuto sdoganarsi al cinema e diventare uno dei generi di maggior richiamo proprio appoggiandosi allo star-system hollywoodiano, dove è l’attore a dominare, più che il personaggio. Lontani i tempi in cui Richard Donner poteva – e anzi, voleva, proprio per non distrarre il pubblico con la celebrità dell’interprete – scegliere uno sconosciuto come Christopher Reeve per incarnare l’uomo d’acciaio, creando all’attore non pochi grattacapi, dato che il suo problema principale – prima del tragico incidente che lo costrinse in sedia a rotelle, ma nel mondo reale, fino alla sua morte nel 2004 – sarebbe stato proprio quello di essere riconosciuto sempre e solo per quell’iconico ruolo.
Come si rebootava allora? Semplicemente, non si faceva. Nessuna spiegazione, non ce n’era l’esigenza
Ma pensiamo anche a Michael Keaton, prima del Batman di Burton conosciuto solo per ruoli principalmente comici e non certo dotato del fisico da giustiziere mascherato che ci si sarebbe aspettati (e giù di proteste da parte dei fan storici). Funzionò, per un po’. Poi gli studios sentirono l’esigenza di cambiare registro, nonostante i buoni incassi, virando verso il camp dei due episodi diretti da Joel Schumacher, rispettivamente interpretati da Val Kilmer e George Clooney. Come si rebootava allora? Semplicemente, non si faceva.
Nessuna spiegazione, non ce n’era l’esigenza. Quel Batman era potenzialmente lo stesso Batman dei film precedenti – restavano pure alcuni membri del cast, come il maggiordomo Alfred sempre interpretato da Michael Gough – solo aveva un viso diverso. Ma nelle foto promozionali, nei manifesti, nei trailer e anche nella maggior parte del tempo su schermo, era la maschera di Batman a fare la parte del leone.
Oggi sulle riviste e sui manifesti appaiono invece Chris Hemsworth, Tom Holland, Robert Downey Jr. e Hugh Jackman, magari in costume ma quasi sempre a viso scoperto, perché gran parte del pubblico – e viene da dire, la parte consistente – è lì per loro e non per gli eroi in costume.
Il che, se da un lato ha favorito l’affermazione del genere ad alti livelli – in aggiunta alla contaminazione con altri generi più conosciuti e amati dal pubblico generalista, primo fra tutti la commedia – ora crea una bella gatta da pelare agli Studios. Perché è innegabile che gli attori che ora il pubblico considera esclusivi per i rispettivi ruoli dovranno prima o poi mollare la presa, per sopraggiunti limiti di età.
Jackman lo ha già fatto ma, per quanto la prova di Dafne Keen nei panni della possibile erede X-23 abbia convinto, per ora non c’è stato nessun annuncio ufficiale circa una sostituzione, probabilmente considerata troppo rischiosa.
Possibili scenari: il cinecomic potrebbe sfumare gradualmente lasciando spazio a un altro genere di punta, e magari più longevo in termini di prospettive. Potremmo prendere ad esempio il successo di Ready Player One dove – li sì – conta l’affezione verso personaggi e riferimenti a un certo tipo di cultura piuttosto che verso gli attori che li interpretano.
Questo, naturalmente, non significa che Hollywood non tenterà di salvare almeno una parte delle uova d’oro della sua gallina, magari approfittando dei nuovi accordi tra Marvel e Fox (in tutto questo resta sempre un po’ indietro la controparte DC/Warner, meno forte sotto tanti punti di vista, a partire da quello economico) che permetteranno alla compagnia di includere anche gli X-Men nell’universo condiviso, visto anche quanto al pubblico piace – forse l’unica cosa che gli piace quanto riconoscere il volto del suo attore preferito – vedere tanti personaggi conosciuti che agiscono tutti insieme.
A quel punto, magari, potrebbero tornare a essere le maschere il punto focale dell’attenzione dello spettatore. Magari giocando sullo spirito di immedesimazione secondo il quale sotto la maschera ci potrebbe essere chiunque, e non necessariamente una star del cinema.