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Avatar: La Via dell'Acqua è quella più straordinaria

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Avatar: La Via dell'Acqua ci regala una Pandora ancora più bella e minacciata, facendoci meravigliare ma anche riflettere con amarezza.

Vivere il cinema nell’era dello streaming è diventato un trend topic non da poco, uno di quelli su cui critici e registi amano fare dichiarazioni durante le interviste. Uno di quelli più accaniti? James Cameron, il quale ci dice che l’esperienza in sala deve essere qualcosa di veramente magico, una roba irripetibile e non riproducibile nell’intimità dei nostri salotti o sotto le coperte del Netflix & Chill.

 

Per ribadirlo ancora di più, Cameron passa ai fatti e invita tutti voi ad andare a vedere Avatar: La Via dell’Acqua per rendervi conto di quanto potenziale c’è tra quelle poltrone, pagate con soldi che non servono a “noleggiare un film” ma a vivere un’esperienza. E mai come la visione del secondo capitolo di Avatar mi ha fatto capire che Cameron aveva dannatamente ragione e ancora una volta ha tirato fuori un’opera che pagherete ben più di una volta con estremo piacere.

 

Come il suo predecessore, anche questo secondo incontro con Pandora non ha una trama particolarmente intricata o piena di sfaccettature diverse. Infatti la struttura è banalmente la stessa: Na’vi contro umani nella manifestazione dello stato naturale contro lo sfruttamento senza freni della nostra razza. A differenza del primo Avatar, dove vedevamo un cambio di prospettiva da parte del protagonista Jake Sully, la Via dell’Acqua è una manifestazione più intensa della cultura e della geografia del pianeta di Pandora, con Jake che costruisce una famiglia insieme a Neytiri e diventa a tutti gli effetti parte della propria comunità, oltre a esserne il principale leader.

L’equilibrio si spezza quando una vecchia minaccia torna a bussare alla porta della foresta e a mettere a rischio Jake, sua moglie e i suoi quattro figli ibridi tra le due razze, più un ragazzino umano che è stato cresciuto in stile Mowgli. Messe le condizioni iniziali, il film si sposta nella tribù del mare che viene citata durante la raccolta degli eserciti nel primo capitolo e si evolve unicamente all’interno di quella cornice, mostrandoci uno scenario completamente inedito rispetto al circondario dell’Albero Madre.

 

Tutto segue un filo lineare, un flusso come il movimento della corrente nell’oceano; sono tutte quelle barriere coralline tra un canale e l’altro a determinare la bellezza di quello a cui si assiste nel viaggio e Avatar: La Via dell’Acqua riesce a dipingere paesaggi mozzafiato.

 

La tecnologia impiegata per questo film colossale è più che all’avanguardia, realizzata esclusivamente per meravigliarvi dall’inizio alla fine e lo fa senza fatica. Penso che Avatar 2 sia il miglior film in 3D mai realizzato in termini di resa e pulizia delle immagini, oltre che a spettacolarità. L’ambientazione acquatica gioca tremendamente a favore di questo aspetto perché la fluidità permessa dal nuoto restituisce inquadrature capaci di sottolineare i diversi livelli di dimensionalità che gli elementi su schermo possiedono.

 

In particolare, tra le tante tante cose che potrei sottolineare, mi hanno colpito tutte le scene del figlio di Jake con una creatura marina simile a una balena: aggraziate, ispirate e molto, molto comunicative, seppur ridotte nei dialoghi. Ogni gesto dei corpi di questi esseri viventi immaginari ha un peso palpabile, significativo e ben oltre la semplice ricerca della perfetta coreografia scenografica. Tutto ha un messaggio messo in evidenza, ogni dettaglio racconta la storia di un popolo o di un’ideale, magari delle convinzioni di un personaggio o dei suoi dolori.

E quando vuole il film di certo non si trattiene nel lanciarli, i messaggi. C’è un momento dichiaratamente specifico per Avatar: La Via dell’Acqua che è di una pesantezza difficile da sopportare, anche a ragione della vividezza che il 3D restituisce. Direi che è un lunghissimo e agonizzante istante in cui Cameron ci mette faccia a faccia con i nostri peccati come specie e lo fa con una naturalezza disarmante ma di certo non sorprendente.

 

Per quanto fossi abituato a certi “spettacoli”, non mi sarei mai aspettato di sentirmi così tanto atterrito vedendo il film, anzi direi che siamo oltre la gravità che la caduta dell’Albero Casa ha nel primo film (anch’esso terribile, ben inteso). Ed è questo il bello di Avatar sotto sotto: il mettersi faccia a faccia con determinati valori e vedere lo scontro tra le volontà rappresentate dalle fazioni principali, tracciando poi paralleli con pratica della vita reale che ci piacerebbe fossero solo frutto della mente di un autore di fantascienza.

 

Qui però c’è un elemento grigio, che a tratti sembra essere ben riuscito e in altri invece è quasi di troppo: Spider, il ragazzino umano con un legame molto speciale nei confronti di un altro personaggio umano. Lui rappresenta l’elemento che osserva, che assimila e che sembra iniziare a costruire un percorso di decisione, anche se Avatar 2 ti comunica che questa è solo una sua costruzione in divenire ed è ben lungi dal trarre conclusioni. Eppure ha dei momenti che ti fanno riflettere su entrambi gli schieramenti, su quanto il conflitto sia dannoso sia per chi difende che per chi attacca.

 

Peccato però che venga piazzato in un modo non tanto soddisfacente da un punto di vista narrativo, anzi spesso è perfino deleterio per il quadro generale. Come detto però, la stregoneria visiva funziona e uno si dimentica presto di Spider una volta tornati tra le onde del nuovo mondo acquatico e le melodie di una colonna sonora sempre al massimo.

Tra le tante cose, Avatar: La Via dell’Acqua sembra gettare qualche esca per delle domande da porsi in relazione al futuro del franchise. Una delle “figlie” di Jake, interpretata da Sigourney Weaver in mo-cap, sembra essere il ponte che farà da collegamento con i molti misteri di Pandora, o almeno è quello che il film lascia intendere in una fugace scena che ho trovato decisamente significativa.

 

È palese che Cameron sta costruendo qualcosa attraverso la geografia di Pandora, la sua flora e la fauna, ma che ancora non abbia esplicitato davvero l’obiettivo di questi continui rimandi. Mi ha ricordato la continuità tra i recenti Planet of the Apes, ma magari è una mia illusione.

 

Tuttavia questo per me è un fattore positivo per un progetto su più pellicole: ci devono essere domande che mi portano a interrogarmi su un mondo interamente nuovo e i suoi misteri, specie se è così vivido come quello partorito dalla mente di Cameron. Non devono essere né dirette né scontate, piuttosto è la giusta misura di dettagli e indizi a fare la differenza e qui siamo sulla pista giusta per arrivare a una rivelazione possibilmente epocale.

 

Nel frattempo però, Avatar: La Via dell’Acqua è più che sufficiente per ingannare l’attesa e farci volare tra i cieli montuosi di Pandora o immergersi nei suoi oceani, viste che ci donano la voglia di vedere sempre più angoli della terra dei Na’vi e che bene o male ci fanno condividere l’amarezza di vedere tanta bellezza rovinata da un conflitto che come specie siamo destinati a portare.

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