Il Principe dei Draghi conquista il trono delle serie fantasy
Una serie fantasy ben scritta e ben disegnata in cui abbondano i draghi. Dobbiamo veramente dire altro per convincervi a vederla?
Cinque mesi dopo la prima è uscita su Netflix, un po’ a sorpresa, la seconda stagione de Il Principe dei Draghi, la serie animata opera di Justin Richmond e Aaron Ehasz, quest’ultimo famoso per aver creato Avatar: the Last Airbender, un’altra serie che aveva mostrato le potenzialità di mescolare animazione occidentale e orientale.
Devo fare una precisazione: scrivo questo articolo perché mi pare impossibile che non tutti gli appassionati di fantasy abbiano visto Il Principe dei Draghi. In altre parole, scrivo questo articolo per convincere i miei amici – gli stessi con cui gioco di ruolo da quindici anni – a guardare Il Principe dei Draghi.
In un momento in cui le produzioni fantasy latitano (c’è un limite al numero di rewatch che Game of Thrones può sostenere, soprattutto considerando il suo lento tracollo a favore del fan service, ma questo è un altro discorso, mentre il destino di Galavant è stato molto triste e per fortuna di tutti La Spada della Verità è solo un lontano ricordo) e il focus della speculative fiction sul piccolo schermo è tornato su urban fantasy mescolato all’horror e sulle disavventure dei supereroi più o meno adolescenti (sto parlando di voi, Sabrina, Umbrella Academy e discutibili tentativi DC e Marvel) la creatura di Ehasz e Richmond è l’unico salvagente a cui possiamo aggrapparci.
Fortunatamente, è un salvagente molto stabile.
Cercherò di limitare gli spoiler il più possibile, perché è giusto che chiunque si possa godere tutte le piccole e grandi trovate di questo gioiello high fantasy.
Fatto sta che ne Il Principe dei Draghi c’è questo continente abitato dagli umani – divisi in cinque regni – e dalle creature magiche, tra cui diverse razze di elfi e, soprattutto, i draghi. Le creature magiche sono, be’, magiche e quindi – sorpresa – possono usare la magia dell’elemento a cui sono collegate, che sia il sole o la luna o il cielo eccetera. Gli umani – altra sorpresa – sono abbastanza sfortunati da non poter fare magie. Però sanno arrangiarsi e quindi si inventano un secondo sistema magico, la Magia Oscura. Il nome non promette nulla di buono e infatti significa che per lanciare incantesimi basta prendere una creatura magica – o un suo pezzo – e “spremerla”.
Le creature magiche non la prendono bene.
Guerra, più o meno.
Le creature magiche dividono il continente in due con un fiume di lava: da una parte, a Xadia, ci sono loro, dall’altra i regni degli uomini.
Gli umani la prendono peggio e uccidono il re dei draghi.
Guerra – vera – in arrivo.
La storia inizia più o meno da questo punto e segue il viaggio verso Xadia di Ezran, giovanissimo principe ereditario del regno di Katolis (solo a me il nome fa pensare al Granducato di Karameikos?) capace di parlare agli animali; del suo fratellastro Callum, che sogna di diventare un mago ma purtroppo è umano (vedi sopra); e di Rayla, una giovane assassina elfa di razza Moonshadow che però non ha ancora ucciso nessuno – e, soprattutto, non ha ucciso chi doveva uccidere e perciò è maledetta.
Ad accompagnarli od ostacolarli nel viaggio un folto gruppo di personaggi carismatici come la coppia fratello e sorella Soren e Claudia – uno guardia reale, l’altro maga, entrambi figli dell’ambiguo Lord Viren, consigliere del re e potentissimo mago oscuro –; l’enigmatico elfo Aaravos, che passa da voce narrante della prima stagione a essere prigioniero di uno specchio; e Villads – la d è muta –, il saggio pirata cieco che insieme al suo pappagallo Berto crea una delle coppie più divertenti – e sagge, ripetiamolo – del fantasy contemporaneo.
All’apparenza tutto molto basilare, molto semplice. Ma è la stessa semplicità che si ritrova come fondamento delle grandi opere high fantasy (sì, anche nel Signore degli Anelli: stiamo guardando lo scheletro della storia, non la glossopoiesi): il gruppo di eroi, la quest, la distinzione tra bene e male, la magia, I DRAGHI.
Il Principe dei Draghi è una grande storia fantasy
Se infatti tutte le storie fantasy classiche seguono più o meno questo medesimo scheletro – il viaggio dell’eroe dal punto A al punto B con eventuale sconfitta del Male – le grandi storie fantasy si distinguono per il tono e per la tecnica del racconto.
Non prendiamoci in giro, è una serie animata e il target principale è young adult, quando non adolescenti veri e propri, ma riesce a incantare anche chi ha parecchi anni in più: ci sono relativamente poche morti vere e poco sangue, ma i colpi emotivi che sferra sono considerevoli – “bastardi” sarebbe un aggettivo più adatto – e momenti davvero epici che fanno venire la pelle d’oca a ogni appassionato che si rispetti.
A questi fanno da contrappeso una comicità leggera, quasi naïve, e una serie di strizzate d’occhio ai giochi linguistici del mondo nerd, come quando Callum unisce le dita a cerchio e sostiene che “one does not simply walk into Xadia”, e a cui si aggiungono, soprattutto, piccole storie che deviano dalla trama principale, che si trasformano in piccoli momenti poetici dal sapore squisitamente orientale, insieme a sequenze che riescono a raccontare con delicatezza il passaggio all’età adulta, il confronto con le aspettative degli altri e di se stessi, il lutto, la perdita e la ricerca di uno scopo, la paura.
Se poi la premessa appare inizialmente semplice, si riesce però presto a intuire tutto il lavoro che c’è dietro alla costruzione del mondo, a partire dai suoi sistemi magici fino alla politica, oltre che, ovviamente, alle diverse razze che abitano il continente , e non sembra infatti strano che, contemporaneamente alla serie, sia in sviluppo anche un videogame e che gli autori abbiano dichiarato di avere idee per la trama fino alla quinta stagione.
Con l’augurio di mantenere questo ritmo, perché altri cinque mesi senza il Principe dei Draghi si possono ingannare solo con l’uscita dell’ultima stagione del Trono di Spade (e magari di Winds of Winter, ma questo non si dice).