Rebootare il tempo, Terminator e il futuro passato
Un piccolo ripasso della saga di Terminator e dei suoi paradossi temporali, in attesa del sesto capitolo, che potrà contare su Linda Hamilton e Schwarzy
E se il tempo fosse una macchina? Un meccanismo perfetto, circolare, impossibile da modificare se non con interventi radicali sul suo tessuto stesso, che comunque tende a riadattarsi e a chiudere il cerchio facendo in modo che le cose vadano comunque come devono andare? È la teoria – nota in materia di viaggi temporali – della censura cosmica. Il corso del tempo non è modificabile, dunque, e qualsiasi tentativo di alterarlo con un paradosso non può che portare alla realizzazione del corso del tempo stesso, in un’infinito e inintaccabile circolo di azione e predestinazione.
E’ questo il concetto alla base del primo Terminator, quello originale del 1984. Non si può cambiare il futuro, si può solo combattere e morire nel tentativo di farlo.
L’epica sta tutta lì. Quello che conta non è quello che avverrà, ma la nostra percezione di quello che avverrà. Il futuro è uno spettro minaccioso e inarrestabile proprio come il T-800 che dà la caccia a Sarah Connor, novella Cassandra con il dono della precognizione che le viene non dagli dei ma dall’incontro con il soldato Kyle Reese, giunto dall’anno 2029 per salvare lei e il figlio che avrà presto in grembo. E di cui sarà lui stesso padre. C’è da perderci la testa, ma Kyle fa di più: insegna a Sarah – una semplice cameriera che nemmeno sembra tanto sveglia – ad essere indipendente e a combattere.
Ai due sarà concesso amarsi una sola notte, ma sarà una notte destinata a restare nella Storia. Il viaggio nel tempo, nel primo capitolo della saga, è un’esperienza unica e irripetibile. Lo dice Kyle trattenuto dagli agenti di polizia: “Hanno distrutto la macchina del tempo. Nessun altro verrà qui. Siamo soltanto lui e me”, riferendosi all’avversario robotico. Kyle fa il salto non solo per compiere la missione, ma perché conosce Sarah dai racconti di suo figlio, John Connor, che è il capo della resistenza contro le macchine nel futuro e che gli regala una foto di sua madre. Forse proprio per farlo innamorare. Perché John sa che Kyle è destinato ad essere suo padre, ma Kyle no.
Lo condanna anche a morire, ma Kyle non ha paura. Ama Sarah ed è disposto ad attraversare ‘lo spazio e la luce’, come direbbe Battiato, per trovarla. Predestinazione, irripetibilità dell’esperienza, una catastrofe imminente, amore intenso e alla fine il sacrificio dell’eroe per permettere all’eroina di salvare sé stessa e proseguire da sola. Sono temi cari a Cameron, tanto che li ritroviamo con uno schema molto simile anche in Titanic.
Anche se in pochissimi se ne accorgono, le similitudini tra i due film sono molteplici. Perfino nell’indicare attenzione nell’uso della tecnologia, che trovare un iceberg fuori posto, o un sistema di rete che diventa autocosciente, è un attimo. Ad ogni modo, anche lì, non si può evitare che la nave affondi, si può solo combattere nel tentativo di sopravvivere al momento, o morire facendolo.
Ma dicevamo del tempo come macchinario, e dunque ogni tentativo di modificare o riscrivere la storia, intervenendo sul passato, è come un reboot. Che, ricordiamo, è un termine di origine informatica: indica, di base, proprio l’atto di ripristinare un sistema riavviandolo da zero o da un certo punto della sua esistenza in poi (pensiamo ai classici ‘punti di ripristino’ di Windows). Skynet prova a farlo con la Storia. Manda indietro il primo T-800 a uccidere Sarah prima che dia alla luce il suo acerrimo nemico. Va da sé, per Skynet il male, il virus da eliminare, è l’umanità. Skynet stesso però è cosciente di quanto sia pericolosa questa pratica, e infatti la usa solo come ultima spiaggia, quando John Connor sembra ormai invincibile se non in altro modo.
Terminator, il primo film, è un meccanismo perfetto lui stesso, e tentare di dargli un seguito, per quanto bene si possa volere a Terminator 2, è già una forzatura.
Una forzatura che tutti accettiamo di buon grado, si intende, dato il valore di questo seguito in particolare. Sorvoliamo facilmente sull’arrivo di due nuovi robot killer dal futuro (saranno partiti prima che la macchina venisse distrutta, immaginiamo, e una risposta in questo senso la dava la novelization del film a opera di Randall Frakes, che raccontava una parte interessantissima delle ‘Future Wars’ poi tagliata dalla versione finale del film per problemi di budget) e, nella versione teathrical, la soluzione finale adottata per salvare il costrutto della trama appare elegante. Sarah, John e il nuovo T-800 – che stavolta è dalla parte degli umani – sono convinti di aver cancellato il Giorno del Giudizio eliminando ogni possibile traccia di tecnologia futura, con la commovente scena del cyborg che si fonde nella fornace per cancellare anche sé stesso, evitando che qualcuno lo ‘usi’ per scopi sbagliati.
Il film si chiude con Sarah che si dice di nuovo speranzosa, guidando verso un futuro che ora può finalmente considerare ignoto. Che però la cancellazione sia veramente avvenuta, non viene mai esplicitato. Il che ben si sposa con un errore di sceneggiatura che forse tanto "errore" non è (diciamo un involontario lapsus che il mito opera su sé stesso per coordinarsi): in effetti, il T-800 ha perso un braccio nella lotta contro il temibile T-1000, e questo braccio resta incagliato nel rullo dove era rimasto, senza che nessuno si preoccupi di distruggerlo. Si può immaginare che la Cyberdine sia ripartita da quello per costruire Skynet, e del resto ha senso, perché se il Giorno del Giudizio fosse stato cancellato, nessuno avrebbe mai mandato Kyle nel passato, dunque John Connor non sarebbe nato non dando mai a Skynet il motivo di iniziare la cronoguerra.
Nella Director’s cut, però, Cameron stesso decide di sfondare l’anello, dichiarando in maniera aperta che un paradosso può cambiare la linea del tempo. Nel finale – piuttosto posticcio, in verità, e chi scrive non nasconde di preferire la versione ‘classica’ – si vedono infatti una Sarah invecchiata e un John diventato adulto in un mondo in pace e armonia, dichiarando pure, scherzosamente, che Michael Jackson ha compiuto quarant’anni. Non c’è niente da fare, dai paradossi temporali non si esce incolumi. Mai.
E infatti non lo fa nemmeno la saga di Terminator, che dal terzo capitolo in poi - a parte tutta una serie di altre problematiche di cui qui preferiamo non occuparci – comincia ad avvertire l’esigenza di ‘spostarsi’ cronologicamente in avanti, dato che il futuro diventa meno futuro man mano che il presente del mondo reale gli si avvicina. Nella concezione originaria di Cameron – il primo film, lo abbiamo detto, è del 1984, Terminator 2 è del ’91, ma si ambienta nel 1995 – il Giorno del Giudizio è datato 29 agosto 1997. È inevitabile e nemmeno spostabile.
In Terminator 3 – Le macchine ribelli, di Jonathan Mostow (2003) questa concezione viene nuovamente rivista. Il Giorno del Giudizio è inevitabile, sì (lo dichiara stentoreamente il nuovo T-850, un numero di serie diverso per giustificare l’età più avanzata di Schwarzenegger) ma grazie alle azioni di Sarah e John nel film precedente è ora stato spostato al 2004 (rivelazione finale drammatica, inaspettata e memorabile, dopo un film intero costruito per lo più su toni fortemente autoironici e parodistici). Nella serie tv The Sarah Connor’s Cronichles (2008), che utilizza ancora una timeline alternativa, il Giorno del Giudizio è il 21 aprile 2011.
Terminator Salvation (2009) è l’unico film della serie dove non ci sono tecnicamente ‘viaggi nel tempo’ (il protagonista, uomo degli anni 2000 reso immortale da un esperimento, si risveglia comunque nel futuro post-apocalittico, ma tecnicamente non balza in avanti, resta solo incosciente per tutto il tempo che lo separa da quel futuro) e la data fatidica resta quella del film precedente, 25 luglio 2004. Terminator Genisys (2015), forse il più confuso di tutti, rimescola ancora le carte in tavola, cadendo vittima proprio di questo gioco al paradosso (e al massacro). Rivelando infatti all’inizio che Skynet ha in realtà in mano John Connor, tanto da trasformarlo a sua volta in un Terminator, fa cadere tutto l’asse per cui la saga esiste: se Skynet ha già catturato il suo nemico mortale, non c’è infatti alcun bisogno di instaurare la cronoguerra rischiando ogni volta di essere cancellati dall’esistenza.
Si è dimenticato, in sostanza, il punto di partenza. Viaggio nel tempo, sì. Ma come arma finale e disperata, e una volta sola. Due al massimo. Mentre dal terzo capitolo in poi, si usa il viaggio nel tempo come se fosse una pratica quotidiana (senza contare quanto raccontato in libri e fumetti, perché sì. Anche se non conosciutissimo, anche il franchise di Terminator ha un ricco e variegato ‘Universo Espanso’).
Ora siamo in attesa del sesto episodio, Tim Miller è al timone – solo a noi fa ridere che il regista di un film su Terminator abbia un nome che in italiano assona con T-1000? – James Cameron, a cui sono rientrati i diritti, supervisiona. Ci sarà anche Schwarzenegger, e le foto di Linda Hamilton nella tenuta militare di Sarah sono già realtà. Soprattutto, è fatto chiaro che il film ignorerà tutti i seguiti dopo Terminator 2, ripartendo da lì.
Ci chiediamo, allora, se il Giorno del Giudizio tornerà ad essere fissato al 29 agosto 1997. Un futuro che ormai è passato, tanto per parafrasare il titolo di uno dei film più amati della saga degli X-Men e che tanto deve (oltre che, ovviamente, al fumetto a cui si ispira) proprio alle atmosfere di Terminator. E mica ci dispiacerebbe, vedere queste benedette Future Wars in versione estesa – magari violenta e crepuscterolare, con la fotografia notturna virata al blu, proprio come avrebbe fatto Cameron – e non solo tramite qualche sprazzo scarno di flashback (o forward, che con i paradossi non sai mai quale termine usare).
Perché in fondo ormai non è più il futuro a farci paura, dato come corre il tempo dietro alle nuove tecnologie. Ma l’ansia di "aver perso il momento" e di esserci lasciati dietro qualcosa, nostalgici come ci ritroviamo ad essere. E immaginiamo che il film potrebbe essere ambientato proprio nel 2018. Oggi. Non l’oggi "reale", ma quello che sarebbe stato se quel fatidico 29 agosto 1997 Skynet fosse diventato autocosciente sterminando buona parte dell’umanità. Un Thanos ante-litteram, verrebbe da dire (sì, anche considerati i fumetti, dato che ‘Thanos Quest’ è del 1990). In fondo, basta trovare il pezzo giusto da sostituire perché una macchina ancora in ottimo stato riprenda a funzionare come deve.