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6 Underground - Michael Bay chiude in derapata il cerchio del Contemporaneo

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Cosa hanno in comune Brunelleschi, Michael Bay e Netflix? Analizziamo l'ultimo film del regista statunitense e il rapporto tra le sue riprese e l'architettura rinascimentale toscana.

Quando sulla scena fiorentina si abbatté la figura di Brunelleschi la città non fu più la stessa.

Provate ad immaginare l’impatto culturale che ebbe, sulla città prima e su tutta l’architettura occidentale poi, il suo progetto per la cupola di Santa Maria del Fiore.  Nel 1471, l’anno della conclusione dei lavori con l’apposizione della Lanterna, era la cupola più grande della cristianità e l’opera architettonica più imponente d’occidente. 

L’altezza totale dell’intera struttura è di 114 metri, un diametro esterno di circa 55 metri e un peso totale di 37.000 tonnellate.

Eppure, ricordare Brunelleschi solo per il suo elemento più noto sarebbe ingiusto nei confronti di uno dei primi veri uomini di ingegno rinascimentali.

 Quando inizia a lavorare Brunelleschi è in atto uno dei passaggi più importanti per la storia dell’umanità. Il medioevo è agli sgoccioli ma non si può immaginare che esista una data X, un momento ben preciso, dove gli uomini escono da quel  periodo e comincia il Rinascimento. Le date, i periodi, gli stili, sono semplificazioni necessarie, ma puramente convenzionali. 

Filippo Brunelleschi è considerato uno dei primi artisti rinascimentali perché è da lui che iniziò il cambio di paradigma, ma non con la cupola, che quella venne dopo, ma già a partire dalle piccole intuizione che lui mise in atto lungo tutta la sua opera.

Cosa ci fa distinguere un’opera medioevale da una rinascimentale?

Nella pittura, la disposizione dei personaggi è un ottimo punto di partenza, la completa assenza di prospettiva, le figure sul fondo sono più piccole perché più lontane ma non seguono nessuna regola geometrica.

L’arte medioevale è complanare, quindi tutte le figure sono rappresentate sullo stesso livello, manca la profondità.

C’era architettura, c’è sempre stata, quello che mancava era la figura dell’architetto come ordinatore dello spazio perché il concetto di spazio è venuto dopo. Tutto era in mano alle maestranze locali: tutte le chiese come tutte le case nello stesso posto sono simili perché fatte sostanzialmente dalle stesse maestranze o con le stesse tecniche che insistevano in quel dato luogo.

Brunelleschi dal canto suo lo si può considerare come il primo architetto per le sue intuizioni nel campo della terza dimensione. Sembra una banalità ma codificare la profondità significa uscire dalla dimensione piana e prendere in considerazione lo spazio.

Prima della Cupola c’è un’altra opera famosa a Firenze: il porticato dell’Ospedale degli Innocenti innesca questo cambio di paradigma nel modo di concepire lo spazio.
Brunelleschi non realizza gli archi del portico secondo una concezione classica lineare come sostegno e come ritmo di scansione della facciata ma attraverso la loro rotazione a 90° li fa diventare generatori dello spazio voltato coperto del portico.

Michael Bay è un autore divisivo.

Molto spesso i suoi detrattori hanno ragione: “i suoi film non hanno storia”; “non si capisce un cazzo di quello che sto vedendo”; “fa saltare tutto per aria”.
In realtà tutte discutibili opinioni di persone aride che guardano il dito mentre lui fa saltare in aria la Luna.

Chiedersi quale sia la trama di 6 Underground è un po’ come chiedersi quale sia la trama della Banana di Cattelan. E stavolta si è anche sforzato a costruire un film intorno alle 3 scene d’azione che voleva fortissimamente realizzare. Per venire incontro ad un pubblico che non lo capisce piazza anche la voce fuoricampo di Ryan Reynolds a spiegare quello che sta succedendo.

In realtà Michael Bay è un fine esteta e un cineasta dal talento purissimo, è un uomo con una visione che cerca costantemente di realizzare con i mezzi che ha quello che immagina.

Lo sa chi ha visto la prima mezz’ora di 6 Underground che per tutta la poetica bayana rappresenta il punto di arrivo di un discorso iniziato con Bad Boys.

Un auto sfreccia per Firenze scappando da altre auto.
Questo è ciò che una persona con una scarsa sensibilità artistica può vedere.
Il punto non è mai il COSA ma il COME.

Partiamo dal presupposto che è la realizzazione dell’impensabile.
Firenze, città bomboniera, completamente trasformata in un set per auto che corrono, si ribaltano, esplodono.
Se non bastasse tutta l’azione è ripresa “alla maniera di Bay” con movimenti che spostano la macchina da presa secondo traiettorie inusuali, quasi mai lineari.
Bay penetra lo spazio, accarezza le costruzioni con angoli visuali tangenti, la camera gira su se stessa, stacca, riattacca.

In questa specifica sequenza l’auto è trasfigurata nel concetto stesso di “velocità”.

Il Corridoio Vasariano ridotto ad alternanza di archi concentrici, la velocità che tramuta la luce tra gli archi in un flash.

La città che vibra e si contorce ma rallenta solo in funzione di macchie di colore decontestualizzate.

La derapata a 270° davanti al Portico dell’ormai ex Ospedale degli Incurabili è un’affermazione identitaria fortissima, un cortocircuito cognitivo fatto di avvolgimenti e traiettorie concentriche che coinvolge la curva dell’auto e, in coda, della camera da presa facendola idealmente coincidere con il movimento degli archi del portico che nella rotazione smettono di essere facciata per tornare a disvelare la loro originaria natura di generatori di spazio.

Bay diventa padrone dello spazio attraverso il movimento della camera come Brunelleschi si appropria dello spazio attraverso la forma dell’arco.

Il cortocircuito cognitivo diventa completo con l’auto.
Nell’immaginario del cinema di genere italiano degli anni ’70, la Giulia era l’auto delle Guardie, della polizia, degli sbirri. La scelta cromatica che può sembrare una squarcionata americana (e quindi cafona) in realtà è funzionale ad imprimere con il colore il movimento dell’auto sulla retina aiutata dal forte contrasto con l’ambiente circostante, ma comunque in linea con le altre scelte cromatiche azzardate di colori supersaturi.

Tutto ciò fa parte del flusso del Contemporaneo, lo stile del tempo presente nato in assenza o nel fallimento di tutti i futuri che abbiamo immaginato.
Un tempo e uno stile dove convivono all’unisono epoche diverse compresse in singoli elementi che, in questo caso, la velocità cementa insieme.

Non c’è davvero nulla di originale nel contemporaneo, la macchina è un rifacimento di un modello degli anni ’70, il porticato del Brunelleschi è del 1419… È il regista che con il suo occhio appropriandosi di elementi distanti secoli e mettendoli insieme crea qualcosa di nuovo e il risultato è estetizzante come riescono ad essere solo le opere d’arte, con il merito aggiuntivo di essere allo stesso tempo un prodotto di grande intrattenimento e la cosa più bella, ardita e folle che avete visto su Netflix nel 2019.

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