Viaggio ai confini del Bonelliverso
Con questo terzo incontro tra Dylan Dog e Martin Mystere assume finalmente una forma più compiuta l'ambizioso tentativo di dare vita a un Bonelliverso.
Il terzo incontro tra Dylan e Martin, a 26 anni dall'ultimo team up, è l'albo-chiave dei nuovi crossover bonelliani. L'uscita è stata il 28 novembre 2018, in un mese che vede anche il primo incontro tra Dylan Dog e il Morgan Lost di Chiaverotti, e tra Zagor e Brad Barron (in attesa, per lo "Spirito con la scure", dell'incontro con Flash dell'universo DC).
La bella cover di Angelo Stano mette subito in gioco i vari elementi, con un afflato subito più mysteriano che dylaniato (nonostante si stia parlando del padre visuale di Dylan): nazisti, femme fatales, orde di monaci pseudomassonici incappucciati, i due eroi in una posa che rimarca il loro consueto dissidio, e sulla quarta di copertina un mad doctor nell'ombra, una damsell in distress e i due assistenti in comico smarrimento.
Umberto Eco ribadiva che a usare un solo stereotipo si fa cattiva letteratura, ma se li si mescola tutti insieme si fa arte: una teoria messa anche in pratica, soprattutto nel suo helzapoppin esoterico (ma rigorosissimo) del "Pendolo di Foucault" (1988).
Ecco: Alfredo Castelli è una sorta di Umberto Eco del fumetto (anzi, per il modello fumettistico - Mystere è del 1982 - anticipa l'Eco nazionale narratore esoterico), e fa sua propria - ben prima di questo albo, ovviamente - una tale posizione, che qui si ritrova pienamente applicata. Certo, nella postfazione Castelli minimizza il suo approccio con l'impagabile ironia del suo stile: e finisce così, chiaramente, per sottolinearlo con raffinatezza. Castelli è infatti l'autore che per primo ha favorito i team up storici del 1990-1992, anticipando i numerosi incontri - soprattutto mysteriani - degli anni seguenti.
Ma il culto del mash up è parte anche del bagaglio di Roberto Recchioni, il nuovo curatore dylaniato (nuovo si fa per dire, dato che viaggia sul centinaio di albi sotto la sua supervisione). Anche se nelle ultime cose dell'autore romano questo elemento si è asciugato, la sua posizione (in questo aspetto) è forse più vicina alla divertita affabilità di Castelli di quanto lo fossero i sublimi, sofferenti pastiches postmoderni di Sclavi: e in ogni caso, Recchioni ha introdotto numerosi stilemi "americani" in Dylan Dog, e di conseguenza in Bonelli: team up, crossover (tra cui il Dylan Dog Color Fest sul tema), continuity serrata, crossmedialità ove possibile. Questo albo quindi corona sia l'onda lunga castelliana, che il rush finale recchioniano verso l'Universo Bonelli.
Soggetto e sceneggiatura sono però ad opera di Carlo Recagno, storica firma mysteriana (a partire di una ottima doppia holmesiana del 1992), cosa che conferma la sensazione che prevalga quel clima rispetto alla "aria di Craven Road" (anche se i disegni sono di Giovanni Freghieri, veterano dylaniato d'alto livello, scelta quasi obbligata, dato che aveva firmato le tavole dei due team up precedenti).
Fin da subito scopriamo di trovarci in un Bonelliverso ben più ampio del semplice team up: fa subito una comparsata Jerry Drake, non ancora Mister No amazzonico (di cui è appena uscita una revisione per la collana "Audace"). Il team up principale inizia con numerosi riferimenti citazionistici a una continuity, vista in prospettiva, non così blanda: ma anche con altrettante riflessioni ironiche di taglio metanarrativo. Interessante tra le righe l'esplicitazione del tema dell'incontro tra personaggi Bonelli come "catalizzatore di forze oscure" di cui gli eroi sono consapevoli: al di là del livello "meta-", una giustificazione per la rarità di questi incroci, e della variazione qui introdotta rispetto alle attese: un "team up a distanza", dove apparentemente i due proseguono, inizialmente, indagini separate.
Il team up prosegue frequenti e puntuali intersezioni tra i due mondi narrativi: non solo Dylan, ma anche i suoi comprimari interagiscono con quelli mysteriani, e viceversa: come nei vecchi incontri, da un lato, ma in modo più sistematico. Quasi ogni pagina contiene un'intersezione da annotare, con tanto di possibili futuri sviluppi lasciati intendere. Il contrasto tra Dee e Kelly da un lato e Groucho dall'altro, tra cabaret e umorismo surreale, è ad esempio notevole (e condotto non come semplice siparietto, ma elemento integrato nella storia).
Il colpo di scena (p.77) giunge lievemente attenuato dai fattori interni ed esterni all'albo che avevano già introdotto il concetto di Bonelliverso: tuttavia l'incastro tra mondi bonelliani è molto ben congegnato e risulta estremamente gustoso da seguire. Il rimando al mondo di Zagor non si limita alla boutade del colpo di scena, ma si interseca a un passato convergente dei vari universi narrativi, dove "Altrove" esisteva già nell'800 zagoriano. Del resto, vi era già stato un incontro "a distanza" con Dylan Dog, sul numero 666 di Zagor, con i due eroi uniti dal grande antagonista dylaniano. Non manca nemmeno una comparsata per la "nuova serie" del fantastico, "Creepy Past", che aveva già aveva avuto un team up dylaniato. Come vediamo, questo team up non è innovativo tanto perché introduce qualcosa di nuovo: ma perché dà struttura a una rete sottile già tessuta negli ultimi anni.
Sul finale, poi, due splendide tavole (182-183) ci collegano potenzialmente a molti personaggi: un mondo narrativo per vignetta. Su ogni vignetta c'è da dir qualcosa: Dampyr, il primo, con Dylan ha già avuto anche lui un fortunato incontro; Dragonero è promettente, come pure Gea - ideate entrambe da Luca Enoch - attualmente chiusa ma molto promettente, in quanto tutta incentrata sul tema dei varchi tra universi.
Ma, parlando di serie "chiuse", colpisce ancora di più il rimando al Piccolo Ranger (storica testata bonelliana del 1958), a Occhio Cupo (1948) e a - presumo - il poco iconico ma seminale Fulvio Almirante (1941). Appare quindi una volontà di tornare davvero fino alle origini dell'editrice, creando un continuum unico che - va sottolineato - è prezioso anche nell'interfacciarsi con la DC: rivendicando proprietà intellettuali altrettanto antiche. Non si inserisce invece il "pezzo da novanta" risalendo a quegli anni, ovvero Tex: quello più delicato da usare, e quello che forse interessa meno rilanciare (non avendone particolare bisogno).
Insomma, Recagno dà qui una indiscussa prova di bravura, mettendo in campo una scrittura brillante adeguata a Dylan, e intessendo una complessa rete di interazioni senza appesantire eccessivamente la trama, che resta giocata sul registro divertito degli speciali mysteriani (ma, in sottofondo, il messaggio dell'"inferno di Hellingen" riesce ad essere anche potente su un registro "serio", senza cadere nella retorica). Altrettanto può dirsi di Freghieri, chiamato a dare coerenza visiva a questo assemblaggio affollato, in modo da far riuscire quell'equilibrio per accumulazione di cui parlava l'Eco che citavamo all'inizio. Sullo sfondo, si intuisce una sapiente regia di Castelli e Recchioni, specie per le parti - e sono molte - che potrebbero avere rilievi sulle molte continuity che qui si incrociano. Proprio Recchioni, tra l'altro, ha chiarito su Facebook che in ogni caso, almeno per ora, non è in programma che la continuity dell'universo bonelliano unificato diventi più stretta di così: resterà quindi, probabilmente, l'occasione di intersezioni "speciali", in grado di valorizzare incontri interessanti.
Non ci resta che attendere quindi le prossime mosse su uno scacchiere di gioco che, ormai, è piuttosto affollato, come abbiamo accennato nel corso di questo articolo. A questo punto, mi aspetto grandi cose da Occhio Cupo: tetre storie di pirati degli anni '40, su cui puntava la Bonelli delle origini, che però creò poi un universo narrativo dominato da un genere unitario, il western (mentre in USA spopolavano, invece, i supereroi). Giocandosela bene, la Bonelli potrebbe aver trovato la sua Tales from the Black Freighter. Disegnata magari, perché no? proprio da Freghieri, che ci starebbe bene non solo per assonanza.