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Manga Essentials - Pluto di Naoki Urasawa

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Naoki Urasawa celebra il "Leonardo da Vinci del Manga" Osamu Tezuka riscrivendo "Il più grande robot del mondo", uno dei momenti di massima popolarità della serie animata di Astro Boy.

Nello scegliere il titolo dell'articolo per amore di sintesi ho dovuto annotare solo Urasawa tra gli autori del manga ma, in realtà, la storia è molto più complessa di così.

In Giappone è raro che un autore non lavori su personaggi e su storie sue. Il lavoro “su commissione”, come la “raccolta” di un’eredità sono avvenimenti rari perché i manga vivono molto di più delle esperienze dei propri autori rispetto al fumetto seriale americano con i personaggi che vengono passati di mano in mano.

Come se ogni volta che si parla di Spider-Man dovessimo annoverare tra gli autori del personaggio sempre Lee e Dikto, quest’ultimo tra l'altro criminalmente dimenticato dalla storia dei comics.

Questo necessario preambolo per non mancare di rispetto all’autore originale di questa storia e di questi personaggi, quell’Osamu Tezuka che ha invento Tetsuwan Atomu (Astro Boy) e che gente come Go Nagai e Yoshiyuki Tomino chiamavano maestro, il “Leonardo Da Vinci del manga” arriveranno a chiamarlo altri, per capire un attimo la statura del personaggio.

Per capire in che rapporto Urasawa si pone nei confronti dell’opera di un maestro assoluto dobbiamo riprendere in mano l’esempio di Spider-Man. Se Atom è “lo Spider-Man” di Tezuka, allora Pluto è la sua versione “Ultimate”.

Dietro Atom c’è una storia tragica: geniale scienziato perde figlio e ne costruisce uno nuovo, ma incapace di amare questo simulacro lo vende ad un circo. In questo semplicissimo incipit c’è tutto il mondo drammatico del dopoguerra Giapponese, di famiglie dilaniate, di armi di distruzione di massa, di odio verso la guerra come di una cicatrice che le generazioni successive devono scongiurare a tutti i costi. Atom si erge in difesa di una razza umana che non comprende i robot e li teme, perché non si sa bene fino a che punto possono “comprendere” le emozioni e, soprattutto, perché ognuno è potenzialmente un’arma di distruzione di massa che cammina.

Al culmine della popolarità di Atom, durante la messa in onda della serie televisiva omonima, animata dallo studio fondato da Tezuka stesso, va in onda uno speciale di più puntate collegate, quasi ad anticipare quella che sarà la moda degli OAV, “Il più grande robot del mondo”, una saga che vedeva la morte e la resurrezione con relativo potenziamento di Atom. Puntate che non convinsero mai troppo Tezuka, che ripensando a quel periodo giunse alla conclusione che la sua opera si era svenduta, diventando commerciale.

Su questo specifico arco interviene Urasawa con la sua “nuova visione” e, dopo momenti di titubanza e indecisione che legittimamente prova un mangaka a rimettere mano all’opera di un gigante, affonda le mani nella materia offerta per creare qualcosa che, allo stesso tempo, è sia un rispettoso omaggio, sia un’opera estremamente autoriale che risuana delle tematiche care ad Urasawa, un dialogo artistico tra autori che hanno 20 anni di differenza.

Urasawa veniva da 20th Century Boys, il manga che lo consacra come uno degli autori più forti della sua generazione. La scelta dell’editor (anche lui accreditato come coautore) Takashi Nagasaki di rivolgersi a Urasawa per omaggiare Tezuka scaturisce proprio dal racconto umano di fondo della storia di 20th Century Boys: i protagonisti, in pratica coetanei dell’autore, erano esattamente il pubblico di riferimento, i lettori tipo di Atom e la visione del tempo, la stratificazione complessa degli eventi, la sovrapposizione delle storie a creare tessuto narrativo dove nulla è inutile o banale perché brillante di umanità era il valore che si voleva aggiungere nel raccontare di nuovo Il robot più grande del mondo.

Qualcuno sta uccidendo i più grandi robot del mondo

Su una parte relativamente piccola della saga ben più lunga di Atom, Urasawa intreccia la “sua” storia, e lo fa con la solita, ottima, scatola degli attrezzi.

Atom non è il protagonista, o almeno, non lo è quasi mai. Di contro, tutti gli altri personaggi che normalmente sarebbero secondari, hanno tutti un arco, un percorso di crescita e cambiamento che la storia incontra “in media res”; altro marchio tipico dell’opera di Urasawa è “la minaccia dal passato” che rischia di stravolgere e sovvertire un ordine apparentemente pacifico. Torna anche il tema dell’indescrivibile, avvertire una presenza tramite i suoi effetti, lavorando di sottrazione fino all’inevitabile visualizzazione. Inoltre, tutti i personaggi sono sacrificabili: Urasawa non vuole coglierti di sorpresa, non ne ha bisogno, la morte è una sua compagna di scrittura ma, nonostante ciò, non si vergogna di scrivere momenti che sono l’equivalente dello sbirro seccato in un vicolo un giorno prima della pensione, eppure per quanto possa sembrare un colpo basso riesce, in maniera inspiegabile, a far funzionare il trucco più vecchio del mondo e a emozionare il lettore fino al luccicone, attraverso una sapiente costruzione del personaggio e una regia mirata a scolpire momenti genuinamente emozionanti.

A questo punto immagino vi starete chiedendo di cosa parla Pluto, giustamente.

4 anni dopo la più sanguinosa guerra che ha coinvolto umani e robot e ha visto contrapporsi i blocchi della Federazione Tracia e Persia, qualcuno ha iniziato ad uccidere i Robot più forti del mondo che furono coinvolti nel conflitto per neutralizzare la minaccia persiana. L’unico indizio lasciato dall’assassino, sul loro corpo smembrato, piantate nel terreno, un paio di corna. Contemporaneamente vengono ritrovati uccisi misteriosamente gli scienziati coinvolti nella Commissione di ricerca Bora, mandata dalle Nazioni Unite ad indagare sull’effettiva pericolosità dell’armata robot persiana, anche loro ritrovati fatti a pezzi e come unico indizio due corna simboliche. Ad indagare su questa misteriosa serie di omicidi, il miglior detective dell’Interpol, Gesicht, proprio uno del gruppo di sette robot più avanzati del mondo sotto attacco.

Con questo pretesto narrativo Urasawa esplora nuovamente il mondo immaginato da Tezuka con la sua lente, opta per un realismo che rende i robot ancora più indistinguibili dagli esseri umani, perturbanti, fragili e, insospettabilmente, emotivi, ognuno con qualcosa per cui combattere e per la quale darebbe la vita, all’indomani del conflitto che ha stravolto il mondo, e inevitabilmente anche loro, le macchine più perfezionate dell’ingegno umano.

La vicenda rimbalza tra un cast di personaggi indimenticabili, ognuno dei quali aggiunge un pezzo al mosaico tracciato da Urasawa muovendosi tra passato e presente, tra guerra e segreti, tra leggi della robotica e gruppi che vogliono annullare i diritti dei robot, intelligenze che, forse, non sanno di essere artificiali e “uno squilibrio unilaterale su sei miliardi di personalità” fino al finale, dove verrà stabilito chi è “il più grande robot del mondo”.

Pluto è un’opera splendida e commovente, compatta nella durata, che non arriva mai a stancare, con un ritmo incalzante, eppure concisa ed efficace come 20th Century Boys, a causa della sua durata, non poteva essere. In più, dettaglio che si dà quasi per scontato, è disegnata da padreterno, forse proprio a causa del confronto con la materia originale, forse proprio per il numero “limitato” di albi, Pluto è semplicemente uno spettacolo da vedere, che sposta un po’ più in là il realismo di Urasawa che ridisegna personaggi che il lettore di Atom già conosce nel suo stile mai caricaturale e inoltre, quel mondo gli permette di disegnare cose che, altrimenti, non avrebbe avuto modo di fare, macchine sconfinate, città del futuro che si perdono nell’orizzonte ma che al loro interno conservano comunque una base di quello che erano in passato.

Se 20th Century Boys era l’opera migliore di Urasawa, questa ne è la sua naturale prosecuzione ideologica ed evoluzione stilistica.

Avevo approcciato Pluto in un momento di vuoto, mentre languivo nell’attesa del nuovo numero di Asadora! (che ancora latita dagli scaffali delle fumetterie), eppure per colmare quel vuoto ho trovato, quasi per caso, un’opera meravigliosa. Mentre vi scrivo, mi addentro sempre di più nella “materia asiatica” però sono tutti svagati divertissement se dovessimo paragonarli a Pluto, che mi ha fatto ancora di più innamorare della profonda umanità di Urasawa e, indirettamente, mi ha fatto scoprire l’apporto fondamentale di Tezuka non solo al mondo del fumetto, ma dell’arte tutta.

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