Tutto ciò che volevi sapere su Batman – Seconda Parte
Filosofia, capezzoli, dysfunctional kids, gorilla rosa, donne nel frigorifero, vendette generazionali e ancora capezzoli nel sequel del nostro Batman Special.
Nella prima parte di questo Bat-Special, abbiamo accennato al clamore attorno ai bat-nipples in Batman&Robin.
Forse non tanto marginale, questo dettaglio dei capezzoli.
George Clooney coprì l'inevitabile imbarazzo con umorismo, dicendo di aver "ucciso il franchise" e di aver intepretato un Batman omosessuale; anche se non gli era stato detto di farlo, lo aveva "recitato gay". In effetti, pensandolo come una commedia (quale è), Batman & Robin contiene degli elementi scioccamente divertenti e ammiccanti, ad esempio l'inquadratura sui sospensori e sul culo di Clooney, o la scena del gorilla rosa (furto/omaggio dichiarato a Blonde Venus), o i bat-nipples, certo.
Joel T. Schumacher, ad oggi 78 anni (come Batman), è un uomo mondano, ironico e rilassato. Parla apertamente dell'insuccesso, del lavoro duro che c'è stato comunque dietro, del fatto che doveva essere rivolto ad un pubblico molto giovane per vendere giocattoli, e che in generale ogni film è il compromesso di diverse menti ed urgenze.
Joel Schumacher mi appare come un sorprendente incrocio genetico tra Bill Nighy e George Christopher (il personaggio di Ted Danson in Bored to Death), quando leggo di come riflette malinconico sui suoi traguardi professionali mentre sta tagliando l'ennesimo nastro dell'ennesimo negozio, a Rio. Di come poi vola in Messico in vacanza, chiama i suoi capi e molla la Warner Bros. Di come racconta d'aver incontrato Alicia Silverstone a distanza di anni e di averla trovata bella e felice; lo fa con misurato paternalismo. Mi domando come potremmo disistimare un uomo che stava programmando di ingaggiare Nicolas Cage come Spaventapasseri per il film successivo, che non vide mai nemmeno lontanamente luce.
B&R ci sembra forse gaylish perché il suo regista non ha mai nascosto la sua omosessualità? Joel Schumacher dice di aver fatto anche molti film macho, ma gli spettatori vogliono leggere tra le righe quello che non c'è.
"Were you always openly gay?
I’ve never been closeted. White heterosexual men never have to be labeled. I find that interesting, don’t you?
Well, then we should start saying things like "straight white male director".
Wouldn’t that be fun?"
Possibile, dice Joel Schumacher, che si sia alzato questo polverone su dei capezzoli di gomma?
Possibile, domandate voi, che non ci sia dietro un'inconscia motivazione sessuologica?
Possibile, ribatto io, che quasi all'alba del nuovo secolo i capezzoli (maschili) fossero ancora un taboo? Voglio dire, di progressi ne abbiamo fatti, infatti oggidì posso mostrare liberamente i miei capezzoli su qualunque social network, purché io sia uomo.
Possibile, dice la scienza, che il 52% degli uomini si ecciti tramite la stimolazione dei capezzoli ma solo il 17% la domandi durante i rapporti?
Possibile, dice Batman, che io non possa portare i capezzoli sopra il costume altrimenti la mia immagine si disintegra nell'ideale di Superuomoeroe dei miei fan, mentre Batgirl non può portarli perché altrimenti si tratterebbe di deplorevole sexploitation?
Possibilissimo, sentenzia... boh, Joker?
Balla per il nostro divertimento, Bat-sgualdrina.
Torniamo ai film.
È pacifico che la direzione imboccata da Schumacher fosse in allontanamento rispetto alle attese dei fan e del pubblico in generale, oltre che rispetto agli standard della decenza cinematografica.
La strizzata commerciale del franchise non sarebbe stata possibile senza il credito accumulato con i precedenti, adorabili film di Timothy Walter Burton, che ispirarono poi fortemente la celebre serie animata di Timm & Radomsky, e che contengono però elementi di (perdonatemi) bat-straniamento.
Certo, siamo nel 1989, Burton e Batman stanno appunto per plasmarsi a vicenda ognuno l'estetica dell'altro nell'immaginario comune (riplasmarsi, nel caso di Batman), ma oggi che il Burtonism ha varcato la soglia della ridondanza, i primi due film della serie sembrano provenire da una realtà parallela in cui il personaggio è già stato ampiamente esplorato in ogni sua declinazione "ordinaria", e si decide quindi di affidarlo a qualcuno con uno stile marcato.
Siamo a 23 anni di distanza dal film con Adam West, e a 46 dal serial cinematografico, si tratta in pratica di un esordio al cinema. Si solleva una protesta epistolare contro l'ingaggio di Micheal Keaton.
Per non lasciare spazio alla seduzione degli innocenti, viene fatta una scelta precisa: assolutamente niente Robin.
Tim Burton si mostrò emotivamente distante dal successo dei suoi due film, per motivi che includevano anche il suicidio dello scenografo Anton Furst (Oscar proprio per Batman '89); le parole con cui il regista confessò, a più riprese, di non essere un gran lettore di fumetti sono ben note ed eloquenti.
In particolare, ci prospetta il suo background come farebbe per uno dei suoi dysfunctional kid: affetto da dislessia (o disturbo simile, dice lui), conserva con amore il ricordo del primo fumetto che riuscì a decifrare, The Killing Joke. Opera famosa quanto discussa, anche per controversie legate al Privilegio, ovvero al fatto che Barbara Gordon finisce sulla sedia a rotelle e ci rimane, al contrario di Bruce, il quale si ristabilisce totalmente dopo che Bane gli spezza la schiena in Knightfall (1993/4), passato un periodo di riposo in cui cede il mantello a Dick (come Achille lascia l'armatura a Patroclo, durante l'assedio di Troia).
"Cripple the bitch."
Il giovane Burton probabilmente apprezza The Killing Joke perché molto visiva e con poco ma incisivo testo, quasi uno storyboard. Profetico momento di genesi drammatica.
Non mancarono anche al tempo critiche di poca aderenza al fumetto, eppure Burton riuscì a centrare alcuni motivi chiave. Ne dico uno, anche se è tra quelli superflui da nominare: in molte delle sue storie migliori, Batman è protagonista solo formalmente e per riflesso.
Parlando quindi dell'immenso Jon Joseph aka Jack Nicholson, trovo che la sua interpretazione sia perfetta, anche nel senso manieristico del termine, e tanto eideticamente appropriata da non lasciare margine al fascino dell'ignoto, complici anche le origine svelate del personaggio. In una nota intervista riguardo a The Dark Knight e Heath Ledger, il vecchio interprete del Principe Pagliaccio si mostrò apertamente piccato per la sua esclusione dal progetto, come attore o quantomeno come consulente. Sembra proprio brama di rivalsa per una performace che egli stesso considera ormai appassita in un ruolo che sente appartenergli intrinsecamente.
Passano gli anni. Arriva Schumacher.
Dopo di lui, bisogna far scorrere il tempo necessario a cancellare l'imbarazzo, simile a quello suscitato da un estroverso figlioccio che fa coming out. Passano altri 8 anni (che sono tanti, nel mondo del cinema).
Ulteriore metafora: dopo i viziosi eccessi della Babilonia di neon, gioco d'azzardo e gorilla rosa c'era bisogno che qualcuno ristabilisse l'ordine e la serietà in maniera autoritaria, quasi dittatoriale. In maniera fascista, potremmo dire.
Entri Chistopher Nolan.
Riguardo all'avvincente trilogia del Cavaliere Oscuro, rimane squisitamente precisa l'analisi di Nanni Cobretti su i400calci, che parla di Effetto Bocelli (alzare "l'asticella intellettuale dell'intrattenimento", declassando una "seriosissima, adulta epica criminale" con "contentini per bambini").
Bane torna come dotto terrorista 2.0 a calpestare il doloroso ricordo di Jeep Swenson, il wrester dagli incredibili bicipiti che interpretò Flagello.
Piccola parentesi su Swenson: morì per un attacco di cuore a soli due mesi dalla prima del film con cui si fece odiare. Da wrestler, dovette modificare il suo ring name, The Final Solution, in seguito alle proteste della comunità ebraica. Swenson sostenne di non essere al corrente delle implicazioni di quel nome. Un vero Dumb Muscle Heel.
Torniamo su Chistopher Nolan: è stato detto abbastanza anche sul fanatismo attorno alla presuntuosa retorica della sua pur splendida saga, soprattutto quando tutti noi White Cis Male & Co. dovremmo invece abbracciare il fanatismo attorno agli aspetti (superflui da menzionare, ovvio) che rendono Batman nostro supertizio preferito e che Nolan ha deliberatamente marginalizzato, con l'esclusione dell'indiscutibile protagonismo di Joker in The Dark Knight. Il regista stesso sostiene che l'attenzione torni sull'eroe soltanto negli ultimi minuti di film. Un Joker dalle origini misteriose: game, set, match.
Se i film di Burton sono bat-stranianti, quelli di Nolan sono bat-nichilisti. Il compromesso tra il tentativo di razionalizzazione estrema e la necessità di preservare gli elementi minimi di riconoscibilità genera delle frizioni goffe, a tratti fastidiose.
Schumacher, interrogato sul suo successore, gli fa i complimenti e allude al fatto che i loro diversi approcci sono una rappresentazione perfetta di come è cambiato il pubblico; Warner Bros è passata dal maxi-spot per giocattoli alle lezioni di divulgazione filosofica, in 8 anni. Che se ci pensate sono pochi, nel mondo reale. Pochi, ma abbastanza perché si crei un pubblico di giovani adulti che conserva con intimo rancore il ricordo dei Bat-capezzoli e brama vendetta.
Chiusa anche questa seconda parte, vi aspetto per il gran finale, in cui parleremo del vero capolavoro: LEGO Batman!