STAI LEGGENDO : The First Slam Dunk, canestro in tap-in

The First Slam Dunk, canestro in tap-in

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L'opera prima del mangaka Takehiko Inoue alla regia è un'ottima prova. Emozioni garantite per i fan. Ma c'è da lavorare sull'equilibrio.

Quando si concluse la storia di Slam Dunk, parecchi anni fa, chi scrive non può nascondere di aver provato una cocente delusione: eravamo arrivati a una fase cruciale del racconto, c'erano in ballo grandi prospettive per i protagonisti. E invece l'autore, Inoue Takeiko per dirlo alla nipponica, decise di prendere un'altra strada (iniziando a scrivere di Musashi Miyamoto, una figura leggendaria in Giappone: ma questa è letteralmente un'altra storia) e di lasciarci un po' tutti a bocca asciutta: fino a oggi.

Che cos'è Slam Dunk

Spiegare ai non-iniziati cosa abbia significato Slam Dunk per gli appassionati di basket (e non solo) è complicato: di fatto il manga di Takehiko Inoue è incontrovertibilmente il miglior scolastico-sportivo di sempre, capace di dare corpo a un'evoluzione del genere che ha finito per condizionare tutto quanto è seguito. Inoue, ormai la bellezza di 30 anni fa (era il 1990), ebbe l'intuizione di mescolare una sua profonda conoscenza dello sport della pallacanestro con una acuta sensibilità per le emozioni e la loro messa su carta: il risultato è un romanzo di formazione formidabile, solo tangenzialmente sporcato da un finale un po' tirato via per ragioni che sono completamente comprensibili.

Inoue non ha mai voluto trascinare la storia oltre un certo limite: aveva in testa qualcosa quando ha iniziato a mettere la matita sul foglio, ha percorso una parabola precisa e poi, quando ciò che aveva da dire era stato detto, ha chiuso il cerchio. Non vi svelerò come finisce Slam Dunk, perché se non l'avete mai letto vale senz'altro la pena di recuperarlo: ma il fatto stesso che tra i manga più venduti di sempre sia in top10, con un numero di volumi editi decisamente inferiore a quanti lo precedono e seguono, lascia intendere quanto la qualità del racconto sia stata distillata e centellinata in appena 31 tankobon.

In poche parole, l'incipit della storia è il seguente: il giovane Hanamichi Sakuragi, capelli rossi e appena iscritto al primo anno del Liceo Shohoku, incontra il primo giorno di scuola una sua coetanea per cui perde subito la testa. La classica cottarella da adolescente, che però lo condurrà a conoscere quella che invece diventerà una passione travolgente e duratura: il basket. Così, da studente teppista e totale principiante della pallacanestro, si troverà suo malgrado a misurarsi per la prima volta con l'età adulta: le responsabilità, la lealtà, il rispetto, la fiducia da ottenere e ripagare, la fatica del lavoro quotidiano. Per arrivare in campo dovrà scoprire questo e molto altro.

Tecnicamente, infine, il manga di Inoue è notevolissimo: l'autore giapponese riesce a rendere magistralmente il dinamismo delle partite grazie ad alcune ispirate trovate grafiche, all'utilizzo disinvolto di onomatopee che diventano parte stessa della tavola e del disegno stesso. A contribuire a questa sua capacità artistica è senz'altro la sua conoscenza dello sport: Inoue ha giocato a basket, ha guardato moltissime partite di basket, ha vissuto in prima persona l'ascesa di Michael Jordan e quella che è stata una dell'epoche d'oro della NBA, riversando tutta questa ricchezza nel manga. E tutto ciò, anche alla luce del successo planetario che negli ultimi 30 anni ha avuto la pallacanestro, viene messo ulteriormente a frutto nel nuovo film da lui diretto.

Che cos'è The First Slam Dunk

Siamo piuttosto avanti nella storia raccontata nel manga: Hanamichi e compagni stanno per misurarsi con uno degli avversari più tosti che incroceranno sulla loro strada, l'imbattibile Sannoh, e per superare questo scoglio dovranno andare ben oltre ciò che fino a quel punto hanno dimostrato di valere sul campo. I capitoli del manga che raccontano questa storia sono tra i più belli della saga: leggendoli e rileggendoli ti sembra quasi di sentire l'odore del sudore dei giocatori, della pelle cucita della palla, di vedere il colore delle divise e del parquet su un fumetto che tradizionalmente è sempre in bianco e nero. La stessa storia, al cinema, prende una piega molto diversa.

Il fatto stesso che sia proprio Inoue a dirigere e sceneggiare questo film ci offre una possibilità molto rara nel campo della narrazione: l'autore riprende in mano la propria opera, dopo che molti anni sono passati e che molto la sua visione si è evoluta, decidendo in modo organico e logico come andare a modificarne la trama per aggiungere o sottrarre piccoli particolari come grandi archi narrativi. Ed è esattamente ciò che è successo in questo caso: Inoue sceglie una nuova angolazione da cui mostrare la stessa storia, sposta il centro di gravità senza andare a snaturare però la natura familiare dei personaggi che conosciamo, arricchisce il racconto con un nuovo strato di informazioni che non conoscevamo e che ci fa capire meglio il carattere e le inclinazioni dei personaggi.

Per farlo, però, Inoue deve cambiare il suo stile narrativo: se prima, nel manga, i flashback sono pochi e circoscritti, in questo film da 2 ore invece costituiscono uno dei principali espedienti narrativi. La storia, più che in campo, è tutta in questi ricordi che affiorano: sono i momenti che precedono e seguono la partita a costituire il vero cuore della vicenda, finendo però per spezzare la tensione del match con una frequenza forse eccessiva. In un certo senso è come se la ricetta fosse giusta, gli ingredienti genuini, ma le proporzioni tra le dosi sbagliate: il risultato è ottimo senza dubbio, un bel manicaretto, ma non era ciò che ti saresti aspettato di mangiare quando ti sei seduto a tavola e hai letto il menu.

In poco più di 124 minuti assistiamo quindi a una (bella) partita di basket, alla maturazione dei 5 giocatori in campo, al racconto di come sono arrivati a calcare quel campo e del perché per loro quella è la partita della vita. Tutto molto bello: peccato che, se non avete letto il manga vi perderete senz'altro parecchie sfumature e strizzatine d'occhio che impreziosiscono l'esperienza. Senza contare che sarà difficile inquadrare i diversi personaggi e il rapporto che hanno gli uni con gli altri.

Com'è The First Slam Dunk

Scrivere questa recensione senza rovinare il gusto della visione con qualche spoiler non è semplice. Diciamo innanzi tutto che lo stile registico di Takehiko Inoue è molto interessante e a tratti anche originale: utilizza ad esempio la musica, i suoni e i rumori (o l'assenza di suoni e rumori), in modo tale da costruire pathos ed empatia nello spettatore. D'altra parte, però, la scelta di interrompere la linearità del racconto con continui avanti-indietro tra passato e presente, alla lunga, costituisce un limite: se stai attraversando un'azione decisiva nel pitturato e, di colpo, ti ritrovi nel passato dei protagonisti, puoi rimanerci spiazzato. Si esagera un po' con questo continuo viavai.

L'intenzione che si deduce da queste scelte è legata senz'altro al desiderio di prendersi tutto il tempo per parlare di emozioni: c'è basket in campo, ma ci sono soprattutto sentimenti e stati d'animo fuori da comprendere per capire davvero cosa passa nel cuore dei personaggi. Intento lodevole, l'impianto non è sicuramente condizionato dall'adrenalico cinema sportivo hollywoodiano, ma si percepisce comunque un po' di immaturità nelle qualità registiche di Inoue: il quale resta pur sempre un debuttante.

Tecnicamente, proprio come nel manga, ci sono soluzioni molto interessanti: il tratto 2D per i personaggi che si muovono anche grazie alla tecnica del cell shading, mescolato ad ambienti 3D generati al computer, finisce per generare un effetto realistico nei movimenti che premia ancora una volta le intuizioni di Inoue. Molto azzeccata è anche la fotografia, sia in termini di inquadrature che di cromia: non ci sono punti di vista scontati o stereotipati, l'emozione trasmessa dal colore si sposa benissimo con il messaggio che ciascuna sequenza punta a offrire allo spettatore.

La storia, poi, è in perfetto stile Inoue: è ottima, scopriamo nuovi dettagli sulla vicenda umana e il carattere di tutto il quintetto base che scende in campo. L'autore non rinnega il passato, non cambia tutto come per esempio è successo con Evangelion, bensì decide di espandere il racconto: senza per questo neppure peccare nella costruzione a posteriori di spiegoni posticci. I momenti più iconici del manga tornano anche sul grande schermo, inoltre, e risultano di fatto parecchio efficaci. Nel complesso il film va promosso a pieni voti, sebbene davvero non capisco come possa essere digerito da chi non ha letto il manga (troppi i puntelli che gli mancheranno nell'attraversare la storia).

Il prossimo Slam Dunk

Che a questo punto Inoue ci possa prendere gusto è comunque il nostro augurio: nonostante tutto ci sono ancora storie che varrebbe la pena raccontare nel mondo di Slam Dunk, ci sono altri personaggi che potrebbero meritare maggiore spazio, c'è la crescita di Hanamichi che un po' tutti noi appassionati del manga vorremmo tanto veder portata a pieno compimento. Il successo al botteghino potrebbe essere uno sprone a proseguire come a fermarsi, dovremo insomma capire quanta benzina sia rimasta nel serbatoio dell'autore e sperare che non debbano passare altri 30 anni per andare avanti.

Un plauso va fatto anche ai produttori che hanno creduto in Inoue e nel suo approccio: gli hanno permesso anche di sfruttare le nuove tecniche di animazione in una modalità sotto certi aspetti inedita, con un risultato senza ombra di dubbio più che valido. Seguendo questo approccio potrebbe nascere una nuova generazione di film d'animazione giapponese come non ne vedevamo da anni: un merito in più per The First Slam Dunk che, nonostante i suoi difetti, è un film che non potete lasciarvi scappare al cinema nei pochissimi giorni in cui sarà programmato.

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