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The Boys: il dito medio di Ennis al supereroismo americano

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The Boys è l'attacco feroce di un uomo che vede l'umanità senza alcuna redenzione e ci mostra il lato più orribile di supereroi senza alcuna morale se non il successo

Che cos'è un supereroe? Questa è forse la domanda che che si pone al centro dell'analisi del racconto supereroistico sin dalla sua concezione, sin da quando il primo numero di Action Comics rivoluzionò il panorama del fumetto mondiale con l'arrivo di Superman e della sua indimenticabile copertina.

Come un moderno Sansone, come un Ercole americano, Superman svettava sulla sua prima cover attorniato da un'aura mitica, scolpito su quella carta nella posa plastica tipica di una scultura greca. Perché il supereroe, lo si è detto altrove, è questo: il susseguirsi ideale della favolizzazione, del mito epico che prevede in certe figure il connubio ideale tra l'uomo e il dio. E com'è un dio?

Un dio nell'immaginario comune è perfetto, e persino nelle sue debolezze, nelle sue mancanze, resta sempre e comunque superiore alla razza umana ed ai suoi patimenti. Certo, si potrebbe parlare per ore della figura del divino, della sua assoluta estraneità al sentimento umano, o della sua perspicace aderenza allo stesso, com'è stato poi per le figure del mito greco, mai fragili ma carnali, iraconde, finanche vendicative.

The Boys è la storia di un gruppo segreto (i Boys per l'appunto) che lavorando sotto una vaga direzione governativa (la CIA per la precisione) ha il compito di tenere sotto controllo i supereroi.

Il supereroe per antonomasia è un passo indietro rispetto a questa umanizzazione, perché è al di sopra dell'essere fallace, è al di sopra delle mancanze e, soprattutto, è al di sopra dei più bassi sentimenti che albergano invece nella razza umana. Non è un caso che una figura così piatta abbia ben presto stancato e già con la golden age si sia cominciato a rileggere pian piano la figura eroistica, arricchendo la filosofia dei “super” con nuovi risvolti squisitamente più umani.

In questa crescita dell'animo più cupo dei super, dei loro patimenti, del loro carattere più oscuro, diversi autori hanno segnato il cammino di un'evoluzione continua che ha portato, col tempo, al progressivo avvicinamento tra uomo e dio. Miller, McFarlane ma anche Cleremont, sono solo alcuni dei nomi che hanno apportato le dovute rivoluzioni alla figura supereroistica tingendola, di volta in volta, di diverse tonalità di grigio e nero.

E poi c'è Garth Ennis. Ennis si fa conoscere per Preacher, pubblicato per l'etichetta Vertigo della DC, ed è subito un successo. Lo stile di Ennis è schietto, violento, feroce e si fa beffe di qualunque forma di costume e buon senso. Ha un gusto spregiudicato per la violenza e riesce a scrivere racconti che sono sempre sopra le righe nonostante contengano, al loro interno, una qualche forma di insegnamento o, se vogliamo, una filosofia. Preacher è un successo, un'opera che, pur perdendo molti colpi nelle battute finali, resta ancora oggi godibilissima (e va letta), ma non è un caso che di Ennis si ricordi con forse ancor più piacere il suo lavoro sul Punitore, un personaggio che proprio come Ennis sembra non avere alcun vincolo morale.

Il Punitore di Ennis, riletto oggi, è però una sorta di grande lavoro di preparazione. La scoperta di quello che sarà l'approccio che l'autore scozzere adotterà per quella che è, ad oggi, la sua opera più bella e complessa: The Boys, per grazia di chissà quale dio prossima anche ad arrivare in tv.

The Boys è la storia di un gruppo segreto (i Boys per l'appunto) che lavorando sotto una vaga direzione governativa (la CIA per la precisione) ha il compito di tenere sotto controllo i supereroi.

I super di The Boys sono infatti meschini, spesso spietati, e si comportano come degli enormi bambinoni, dando sfogo ad ogni desiderio in modo spesso molto distruttivo. Tra i vari gruppi, ognuno pensato per rifarsi, almeno idealmente, ai più popolari supergruppi dei fumetti Marvel e DC (X-men, Vendicatori, Justice League e via discorrendo), quello dei “I Sette” è il più potente, rispettato e temuto del pianeta, e riunisce in sé i supereroi più potenti ed in grado di macinare più denaro grazie alla loro popolarità. Proprio questi sono inoltre il pallino principale del leader dei Boys, Butcher, un uomo che nutre un gran risentimento verso il leader dei Sette, il Patriota, reo di aver commesso un qualcosa che ha risvegliato in Butcher un insormontabile desiderio di vendetta.

Ad accompagnare Butcher ci sono poi altri quattro vigilanti: il saggio e fortissimo “Latte Materno”, lo sconclusionato e sostanzialmente pazzo “Francese”, la letale e muta “Femmina della specie” e l'ultimo arrivato, Hughie, anche noto come “il piccolo Hughie”, coinvolto suo malgrado nei disegni di Butcher dopo aver visto morire, a causa di un super, la sua fidanzata.

Siamo dalle parti della filosofia adottata da Alan Moore per il suo Watchmen, ma le due opere, vi sia chiaro, non c'entrano nulla l'una con l'altra. The Boys risponde ad una domanda per certi versi più semplice e basilare: che cosa succederebbe se un uomo non avesse freni?

Non un supereroe, ma un uomo dotato di uno straordinario pacchetto di superpoteri. I super di The Boys infatti si mascherano di bontà per meri fini commerciali, commettendo nel privato atti osceni al di la di qualunque taboo. Ennis non si fa mancare nulla: stupro, infanticidio, necrofilia, zoofilia (e molti altri disturbi che finiscono i “filia”), pornografia, abuso di droghe e violenza. La violenza nelle sue due forme più pure: quella dedita alla vendetta e quella dedita alla catarsi.
The Boys tinteggia un mondo in cui non esiste una demarcazione netta tra bene e male, esiste solo quello che c'è nel mezzo. Al di la di qualunque divisione manichea, i Boys possono fare quello che fanno (ovvero controllare, frenare e finanche uccidere i super più problematici) perché vogliono farlo, possono farlo e si divertono a farlo. In tal senso la differenza tra loro e le minacce che devono affrontare è solo ideologica, perchè ambo le fazioni si macchiano continuamente di atti osceni e ben oltre l'indecenza.

Non meraviglia che Vertigo avesse abbandonato sin da subito il progetto, lasciando The Boys in un limbo che è stato poi, per fortuna, arginato da Dynamite che infischiandosene del cinismo e del ritratto ben poco lusinghiero offerto ai supereroi in generale, ha dato seguito alla storia di Ennis sino alla sua naturale conclusione.

 

Ennis sceneggia, in sostanza, un fumetto che critica in tutto e per tutto il supereroismo e la sua glorificazione, e distrugge non solo la figura dei super, ma anche quella del sistema fumettistico in sé, qui rappresentato dall'etichetta della Victory Comics, le cui avventure a fumetti ricordificano e glorificano le figure dei sueperoi anche quando questi si perdono nelle troppe cazzate del loro tronfio quotidiano.

L'errore sarebbe ritenere che tutto questo sia nulla più che uno spettacolo in nome di uno smodato bisogno di violenza. Nel suo disintegrare il canone del supereroe, e nel decostruire tutto il reticolo che lo tiene in piedi (dalla canonizzazione dei suoi poteri, allo scontro bene/male), Ennis attacca ferocemente la società moderna, contestandone quella patina che tenta di “rabbonire” o se vogliamo “distrarre” da tutto il marcio che si annida tra le sue pieghe.

Più in particolare è lo star system a ricevere la più aspra critica, modellato com'è da personaggi che attraverso la pubblicità, i social e le riviste presentano una facciata di sé stessi che non può essere che irrealistica rispetto a quelli che saranno i pruriti, i desideri ed i bisogni che derivano direttamente della loro umanità. Certo Ennis non ci va per il sottile, per lui l'umanità è in tutto e per tutto gretta, ma lancia al lettore un'ancora di salvataggio ideale, creata con il protagonista vero e proprio dell'opera, Piccolo Hughie, personaggio inizialmente molle e scazzato, che ha per altro le fattezze dell'attore Simon Pegg (Shawn of the Dead, avete presente?).

Hughie è l'unico che tiene banco alla corruzione del mondo tinteggiato da Ennies, eppure persino l'eroe, alla fine del racconto, risente di tutto quello che è successo ed ha vissuto, vivendo attraverso il dolore, la perdita e la sofferenza una sorta di contorto e quasi paradossale percorso di crescita e auto-miglioramento.

Hughie è in buona sostanza l'unico personaggio positivo dell'intera vicenda, l'unico che non ha dei veri e propri scheletri nell'armadio, e che proprio per questo finisce per essere l'unico appiglio per il lettore affinché la visione o, se vogliamo, la “spiegazione” di ciò che accade possa essere in qualche modo codificata.

Hughie è la personificazione del lettore, laddove invece Butcher è la personificazione di Ennis, che da sempre ci ricorda (anche con la sua run su Frank Castle) il suo “odio” per i supereroi tipicamente intesi, ed il suo sostanziale rifiuto di mantelli e calzamaglie.

Allo stesso tempo The Boys è una lettura ricca di azione, colpi di scena e momenti di più placida scoperta dei risvolti che i supereroi hanno avuto sia sulla storia, che sul sistema politici ed economico del pianeta, deviando sovente dal racconto principale per offrici una prospettiva a 360° di ciò che circonda i personaggi. È un qualcosa agli antipodi, ad esempio, di quanto visto in Preacher, in cui la dimensione è tutta a misura del racconto di Jesse Custer.

The Boys, per quanto forse in certi frangenti sia meno profondo della ricerca “spirituale” del Reverendo Jesse, ha però il pregio di essere più ricco e complesso dal punto di vista della costruzione del mondo e delle sue dinamiche, stuzzicandoci per altro, e di continuo, con i più curiosi risvolti sulla vita privata dei Sette, la cui scoperta delle più oscure nefandezze è ovviamente nodo cruciale di gran parte della vicenda.

Ennis, in sintesi, ha preso il mondo dei supereroi e “ne ha fatto la sua puttana” (Romero docet), destrutturandolo in ogni sua formula, persino nel rifiuto, spesso perpetrato, di soluzioni anticlimatiche a situazioni che, convenzionalmente, richiederebbero il tipico “showdown” dei fumetti. Ora che siamo così vicini all'uscita di una serie tv, il dubbio è che non si possa avere “lo stomaco” per mettere in televisione tutto quello che i The Boys sono e rappresentano.

Significherebbe produrre, quasi certamente, un programma che violerebbe ogni pretesa di buon costume, e pertanto facilmente vittima di una critica forsennatamente perbenista (la qual cosa, in effetti, è già successa proprio con Preacher). E dunque prima di rimanere scontenti, correte a recuperarvi questa vera e propria anti-bibbia del supereroismo. Qualcuno vi dirà che non è all'altezza del miglior Ennis di sempre, voi lasciateli parlare e godete.

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