La quarta stagione non è solo la migliore dai tempi della prima ma offre alcuni spunti che mescolano l'horror con temi molto attuali legati alla depressione, al suicidio e ai demoni interiori che possono divorarci
ATTENZIONE: ci sono spoiler della quarta puntata di Stranger Things 4, proseguite se l’avete vista.
Un buon horror è fatto da buoni mostri e i buoni mostri sono spesso quelli che ci portiamo dentro. I Fratelli Duffer questo lo sanno bene e attorno ai traumi e alle difficoltà del crescere ci hanno sempre giocato attorno ma la quarta stagione di Stranger Things tira finalmente le reti in barca raccogliendo quanto fatto nelle stagioni precedenti, che di sicuro non arrivano alla sua altezza.
Deciso definitivamente che sì, questa è una storia horror e la parte nostalgica le interessa fino a un certo punto, perché se c’è chi è in grado di capire quando una moda sta finendo è chi l’ha lanciata, questa quarta stagione tiene tutte le sue chicche per la Generazione X al minimo.
Sì, ok musica, abbigliamento, poster e il Satanic Panic (il panico sociale che negli USA infiammò il dibattito anche attorno ai giochi di ruolo, ritenuti veicolo di sette sataniche, tanto che indagò anche l’FBI) ma il cuore della storia qua non risiede nel rimpiangere i bei tempi andati, nel citazionismo e signora mia quando si poteva andare in bici e le sale giochi erano piene di emozioni, ma in un bouquet di temi molto più interessanti: la depressione giovanile, l’incomunicabilità e i rimorsi che sì, possono arrivare anche quando si è giovani.
Temi che in qualche modo facevano parte anche dei due principali affluenti che gonfiano il flusso narrativo di questa quarta stagione, almeno per quanto riguarda la parte sul suolo americano: Nightmare e IT. Pur essendo creature con obiettivi, storie e metodi differenti puntano su vittime, spesso giovani, che vengono isolate dal proprio contesto, ingannate e a volte poste di fronte a qualcosa che le attira o le disgusta particolarmente, con varie trasformazioni, fino all’inevitabile fine.
Vecna agisce nello stesso campo da gioco: è un’entità sovrannaturale connessa con questo piano in grado di sfruttare visioni, incubi e informazioni personali per predare ragazzini isolandoli dagli altri per poi massacrarli, deformarli e portarli nel proprio regno.
E se Freddy cercava di colpire i figli di chi lo aveva arso vivo, Vecna va invece a caccia di persone che hanno profondi rimorsi, che covano dei segreti e nascondono agli altri i loro turbamenti.
Qualcosa di simile allo stile di Pennywise, che fa leva sulle paure che i ragazzini ereditavano dal contesto parentale o dalle esperienze di bullismo, solo che le visioni di Pennywise sono visibili anche agli altri membri del Club dei Perdenti mentre l’attacco di Vecna isola la vittima in un incubo tutto suo da cui può uscire soltanto in modo, connettendosi con gli altri e appellandosi al potere salvifico della musica.
Potrà sembrare una metafora sottolineata col pennarello grosso, ma considerato l’approccio estremamente mainstream di Stranger Things è comunque bello e interessante vedere quello che si concretizza in quella che forse è la puntata cardine di questa stagione: la numero 4.
In questa puntata l’obiettivo si concentra su Max, personaggio introdotto nella seconda precedente per fare “l’amica di” Undici e la sorella del principale antagonista nella terza. Un'aggiunta tutto sommato marginale che in questa stagione fatica a trovare uno spazio al di là del sarcasmo finché non diventa vittima designata di Vecna.
A quel punto lentamente vengono fuori i sensi di colpa per la morte del fratello, la sua chiusura progressiva, la rottura col suo ragazzo e il muro sarcastico che ha lentamente eretto attorno a sé per difendersi e per non apparire vulnerabile. Un muro che nessuno ha visto arrivare ma che l’ha lentamente isolata e quindi resa vittima potenziale di Vecna ma, tra le righe, vittima anche di sé stessa, esattamente come la cheerleader e il giornalista.
Ecco che Max improvvisamente non è più soltanto l'amica di qualcuno ma quell'amica che magari dai per scontata e tratti male perché è scontrosa, senza chiederti perché, senza sapere come prenderla. Quello di Max è un dialogo interiore fortissimo e con la proprio ombra, quella di non aver salvato il fratello, anche se è chiaro agli occhi di tutti che ogni salvezza era impossibile. Il trauma di Max supera la logica, come spesso accade.
Possiamo quasi azzardare che Vecna sia in un certo senso allegoria del suicidio giovanile, un comportamento che dall’esterno appare inspiegabile perché tutti i segni, benché evidenti, sembrano celati a compagni e amici finché non è troppo tardi, finché la persona non è là, di fronte a tutti, a tre metri da terra, a un passo dalla morte.
Perché la depressione e la voglia di suicidio non sono un marchio che portiamo in fronte, ma un orologio che ticchetta dentro di noi, anche se stiamo sorridendo e che spesso gli altri non vedono. Max rende ancora più forte questo parallelismo preparando già delle lettere di addio, l'ultima delle quali viene consegnata sulla tomba del fratello, come ultimo gesto di riconciliazione.
Adesso Max è pronta per essere vittima, accetta il suo ruolo come inevitabile, pronta a diventare anche lei qualcosa di contorto, privo di occhi e, quindi, per certi versi, priva di identità e anima.
Ma come accade, o come dovrebbe accadere se vivessimo in una serie tv, quando siamo nel nostro momento peggiore la salvezza può arrivare dalla consapevolezza di chi ci sta attorno, dal messaggio giusto al momento giusto, dalla vicinanza, da quel pezzo che invece che farci stare male ci tira fuori dal buco nero.
Max si salva anche perché improvvisamente le persone attorno a lei non la danno più per scontata, ma si curano del suo benessere.
Un messaggio che si concretizza di Running up that hill pezzo di Kate Bush che parla proprio di incomunicabilità e di quanto sarebbe bello essere nei panni gli uni degli altri per capirsi meglio. Un patto con Dio che purtroppo non possiamo fare, quindi non ci resta altro da fare che starci vicini, parlarci, abbattere i muri, per non trovarci soli e sole contro i mostri.