Sex Education: successo e fortune di un midcult necessario
La recensione in cui analizziamo pregi e difetti di Sex Education, una delle serie Netflix più popolari e apprezzate del panorama televisivo attuale.
Sex Education è una delle serie Netflix più popolari e apprezzate del panorama televisivo attuale. Appartiene, non a caso, al set dei prodotti esclusivi dell'azienda che fanno da magnete ai vecchi e ai nuovi abbonati, in costante top 10 della classifica dei prodotti più visti nei giorni successivi al rilascio di ogni nuova stagione.
Una trend series volendo usare un gergo più social che fa l'occhiolino a tutti i target ma fa breccia soprattutto fra i giovani visto il genere di riferimento – un “manualistico” teen drama.
Un prodotto che accetta con orgoglio l’appellativo di serie innovativa per le tematiche trattate, queste rappresentate apertamente e senza imbarazzi, e da una forte spinta e identità pedagogica dichiarata che - faccio ecco ad altri esimi colleghi - "spiega il sesso ai giovani" con l'obiettivo non solo di rappresentarlo, ma sdoganare ogni astro del firmamento sessuale.
In definitiva, si tratta di un prodotto inclusivo, politicamente perfetto più che corretto, una sentiment analysis filmizzata più che una realistica e romanzata lente d’ingrandimento sull’universo che vuole raccontare.
Ok, dopo aver inquadrato e sparato con il pallottoliere tutte le suddette etichette osserviamo quali sono i motivi del suo grande successo: televisivamente, l’affermazione di Sex Education è stata determinata dalla capacità di sviluppare e dare dignità a una moltitudine gli archi narrativi attingendo da un parco personaggi ben caratterizzato che diventa sempre più folto di stagione in stagione non rendendo nessuno di questi inutile o privo di interesse .
Sul piano commerciale, è un prodotto di marketing che si serve di alcune furbe intuizioni sul piano puramente estetico che gli permettono di fare istantaneamente breccia nello spettatore medio come la somiglianza tra il look della prima stagione di Maeve (Emma Mackey) e l'Harley Queen di Margot Robbie; oppure, la scelta del titolo con la parola SEX che attira l’occhio e solletica una delle morbose e piacevoli ossessioni quotidiane umane. Tutte scelte che sono tutt’altro che casuali ma figlie di uno studio fatto a tavolino da chi vuole vendere un prodotto utilizzando un trigger point come direbbero quelli bravi nel marketing.
Infine, per sfruttare la captatio benevolentiae e accattivarsi le simpatie del pubblico (captatio benevolentiae significa proprio “simpatia del pubblico” ma volevo sfoderare il latinismo) si veste di un tono sapientemente esplorativo e mai paternalistico che ha il compito di mostrare garbatamente tutte le realtà e i dilemmi che possono affliggere giovani o adulti su dei temi fino a oggi ieri tabù.
Configurazione quella appena enucleata che la consacra come un midcult dei nostri tempi.
Ovvero un prodotto estremamente fruibile per il pubblico tramite alcuni espedienti da laboratorio televisivo come – ribadiamolo - la Maeve che ricorda nel look una delle icone contemporanee, l’estetizzazione della nerd culture o, ancora, la messinscena che rievoca e ricostruisce un’ambientazione degli anni ‘90 pur essendo ambientata, di fatto, nel presente.
Ma è anche un prodotto - e qua faccio luce sul suo lato avanguardistico – che conferisce uno spazio inedito ad alcune tematiche legate all’intimità, aspetto mai esplorato veramente nelle altre produzioni (pop allo spettatore è concesso osservare furtivamente come dallo spioncino di una porta).
In Sex Education, au contraire, il sesso non viene osservato ma spiegato, razionalizzato.
A pensarci, in tanti avrebbero potuto realizzare uno show qualificando il sesso come nucleo narrativo delle vicende. D’altronde esso è un aspetto centrale della vita di tutti, ci si pensa giorno e notte mentre si è letteralmente bombardati di messaggi sessuali espliciti e meno espliciti. Ebbene, loro l’hanno fatto per primi. Brava mamma Netflix.
Ecco ora è il momento della stangata, di far arrabbiare gli ortodossi, quelli del “se non elogi Sex Education sei tu che non hai capito un cazzo”, ovvero parlare dei difetti.
Perché, sorpresa, lo show ideato da Laurie Nunn non ne è di certo scevro di alcune criticità. Come abbiamo fatto intuire, esso è il frutto prodigioso di un laboratorio televisivo e che, proprio per questo motivo, manca di un’onestà artistica che non gli permette di avere una credibile sensibilità sul presente dei giovani che racconta.
A volte, invero, la serie diviene una vetrina dove vengono esposte tutte le tematiche sessuali possibili senza mai approfondirle per davvero (un esempio è la storyline di Cal e del mondo queer, mai davvero sviscerata) che tradisce più un tentativo di strizzata d’occhio alla categoria che un reale intento narrativo. Questo, rimanendo esclusivamente sul lato tematico.
Sull’aspetto cinematografico, come visto sopra, ne abbiamo tessuto le lodi per l'abilità di dare spazio a tutti i protagonisti portando avanti una plenitudine di archi narrativi.
Con egual piglio, ahinoi, dobbiamo sottolineare che quegli stessi archi narrativi mancano di vere articolazioni e che, anzi, questi si sviluppano distaccatamente senza incontrarsi mai - se non per gag estemporanee o per un rapido passaggio di consegne dalla situazione A alla situazione B.
In altre parole: ogni storyline in Sex Education procede in maniera binaria, seguendo lo sviluppo dei rapporti di coppia (che siano di amore o amicizia) e che difficilmente vanno oltre.
In questo modo i Jules & Jim e i momenti corali, sono trascurati (pensiamo al triangolo appena accennato Maeve-Otis-Ruby o Isaac-Maeve-Otis, tornando qualche stagione indietro, a quello Eric-Adam-Rahim) e diventano dei puri riempitivi (basta guardare l’evoluzione della storyline della preside Hope contro la “scuola del sesso”) privi di un qualunque fluidità, vitalità e tensione narrativa.
Non a caso, tutte le parentesi collettive si risolvono in poche sequenze con la serie che freme per tornare al suo equilibrio fatto, essenzialmente, di rapporti diadici con la loro nascita, la loro vita e il loro accantonamento.
Altro punto di debolezza è una scelta (legittima, per carità) fatta a monte, ovvero quello di optare per un filone che ha una data di scadenza sull’etichetta: il teen drama e la relativa ambientazione nella high school.
Sex Education, infatti, è un prodotto debitore di una serie di dinamiche che si innescano a partire da quei corridoi. Senza la Moordale non avremmo Sex Education, ovvero il contesto in cui quelle dinamiche vengono rivestite di senso.
Contesto che per esigenze di scrittura e credibilità verrà meno se il prodotto continuerà ad andare avanti insieme all’anagrafica dei protagonisti (già un tantino inappropriati a dire il vero). Sarà peggiore la serie senza il contesto? Non è detto, ma sicuramente sarà altro.
In definitiva, Sex Education è una serie rivoluzionaria fino a un certo punto, ma che cavalca sapientemente la tigre con un’estetica e degli accorgimenti stilistici centrati e studiati.
Una serie da buttare? Un grande bluff? Macché! In un catalogo povero di produzioni ben scritte e in un panorama televisivo di serie tutt’altro che originali, Sex Education rimane una piccola isola felice.
Un’isola, artificiale, costruita, ma pur sempre felice.