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Parthenope - La legge di gravitazione universale

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Parthenope è il nuovo film di Paolo Sorrentino, una storia di formazione che parla di gioventù, di tempo e di memoria.

Provare a spiegare Parthenope a chi non l’ha visto è un atto ingiusto e scorretto nei confronti del film e dello spettatore.

Le parole sono una sintesi ingiusta, una spiegazione labile, e un’interpretazione miserabile, quindi inizierò snocciolando alcuni dati oggettivi, a mio avviso gli unici, quando si parla di un film in generale e di un film così autoriale in particolare.

Parthenope è il nuovo film di Paolo Sorrentino. Quello de La grande bellezza, quello di Loro, quello della serie col papa, di È stata la mano di Dio, volendo considerare solo la memoria a breve termine. Aggiungiamo anche Le conseguenze dell’amore e Il divo, se vogliamo fare gli studiati che postano l’immagine “mai sottovalutare le conseguenze dell’amore” per trombare parlare con tipe del DAMS e finire su Il cinefilo dell’era di internet. This must be the place e Youth se invece vogliamo fare gli internazionalisti e il cinema troppo italiano, o peggio, troppo napoletano, non ci piace.

Parthenope è un racconto di formazione, è un film sull’arco di un personaggio ed è un film sulla gioventù.

Parthenope è diretto da un Sorrentino in stato di grazia, illuminato meravigliosamente da Daria D’Antonio che fa splendere di lucente meraviglia qualsiasi superficie, ritmato come un metronomo da immagini e battute brillanti, troppo belle per essere vere e quindi perfettamente adeguate al tono che il film si premette come obiettivo.

E queste sono tutte le cose che dovete sapere se volete una descrizione oggettiva sul film, adesso potreste accomiatarvi da questo testo, scendere e andare al cinema e tornare per leggere il seguito.

Parthenope si muove in un territorio incerto.
La scoperta del mondo segue delle fasi che non sono prescritte, non seguono una logica e non hanno un ordine. Non devono, perché la vita, come la natura, è caotica, ma non casuale.

Parthenope potremmo dire che tratta della forza di gravità.
I personaggi secondari ruotano intorno alla protagonista in orbite, e come le orbite dei pianeti hanno un afelio e un perielio. Le forze attrattive che muovono i personaggi non sono indolori: stravolgimenti, rivoluzioni, ad ogni giro lo stesso pianeta è un po’ più diverso da sé stesso. Ed essendo Parthenope un film sul tempo è inevitabile che sia anche un film sulla gravità.

Parthenope è attraente, nel senso gravitazionale del termine.
Chiunque la intercetti non può non sottostare alla sua legge di gravitazione universale, deforma lo spazio intorno a sè, facendo scaturire il moto, che è la vita, che poi è anche perché il film funziona.
Paolo Sorrentino è stato incredibilmente bravo a dare corpo alla sua idea nella persona di Celeste Della Porta, attrice protagonista. Il nostro punto di vista non è il suo punto di vista della protagonista. Noi siamo spettatori che assistono allo svolgimento di una parte della sua vita, anche noi attratti, ineluttabilmente.

Lo sguardo del regista esplora la figura della sua protagonista senza morbosità, nella scena del “biliardo” questa assenza di morbo prende forma per contrasto.

Le inquadrature strettissime sul volto e sul corpo di Della Porta non sono fini a se stesse, hanno una volontà di creare istantanea intimità con un personaggio che sfugge a definizioni nette e cerca come soluzione ultima per definirla lo sguardo dello spettatore: Parthenope è così.

"Vedere è l’ultima cosa che si impara", dice il personaggio di Silvio Orlando ad un certo punto del film, ed è vero.

Nell’universo, la forza di gravità è in eccesso: pare non ci siano abbastanza corpi celesti per giustificare la quantità di forza di gravità. Gli scienziati a questo punto hanno inventato un modello fisico per giustificarla, la materia oscura, tutta la materia che non emettendo radiazioni elettromagnetiche sfugge allo sguardo e la si definisce solo come attraverso i suoi effetti. La materia oscuro è un effetto senza causa. È una domanda senza risposta.
Così Parthenope è definita non dalle risposte, ma dalle domande, tra la truffa e il mistero: è quasi una ricerca formale dell’indefinibile, questa volta per bocca di Tesorone, uno straordinario Peppe Lanzetta.

Parthenope è il doppio oscuro di È stata la mano di Dio.

Mentre il film precedente racconta di un ricordo di gioventù, un’autobiografia poetica, se vogliamo, Parthenope è il ricordo di una gioventù che non ha vissuto, ma nel meccanismo di idealizzazione estetizzante, del racconto di questa gioventù bellissima, dell’estate perfetta, c’è il baratro della disperazione spalancato sotto i protagonisti. È la vita, ed è indefinibile, e crudele, è bellissima e tutto insieme quando hai il privilegio di guardare tutto insieme, da una certa distanza, e quella distanza è la felicità.

Parthenope è un film bellissimo e commovente, luminoso e oscuro, passa dalla luce all’ombra con una naturalezza disarmante, non giudica e non chiede di giudicare, non promette risposte ma fa tante domande e alla fine questo dovrebbe essere il compito dell’arte, suscitare emozioni, credere che quei personaggi inventati esistano, che quelli che somigliano a qualcuno siano effettivamente così, perché la verità è sopravvalutata e non è mai interessante da raccontare, e soccombe sempre di fronte alla bellezza, all'emozione e al ricordo.

Parthenope merita di essere visto per farsi riempire gli occhi di bellezza e di luce e di oscurità e di disperazione, per sentirsi ancora una volta giovani, ancora una volta vivi.

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