Manga essentials - 20th century boys di Naoki Urasawa
Se anche voi avete tanto sentito parlare di questa cosa nuova che sono i "manga" ma non sapete da che parte iniziare per fare parte del tempo presente, un consiglio spassionato da uno che ha iniziato da poco a leggere con metodo i fumetti giapponesi.
Durante l’ultimo Napoli Comicon è emersa concreta e in forma impossibile da nascondere una rinnovata attenzione per l’estremo oriente.
Tra i premi consegnati spicca, con mia somma gioia, quello per la miglior serie ad Asadora! ultima opera del mangaka Naoki Urasawa.
Non sono mai stato un grande lettore di manga, possiamo semplicemente dire che sono vissuto in uno di quei corsi storici di opposizione al tema, durante il quale reperire materiale non è immediato come adesso, che una certa ostilità familiare (e il mio pressante bisogno di approvazione) me ne abbiano tenuto lontano. Sta di fatto che, arrivando grandicello ad incuriosirmi alla materia (Devilman l’ho letto nel 2018 ed è stato il primo manga che ho letto da cima a fondo, puta caso proprio mentre ero fuori casa), ho per necessità bypassato una serie di step fondamentali della cultura nipponica: l’indifferenza al classico battle shonen (à la Dragonball, per capirci) e una fase di osservazione incostante dei fenomeni editoriali da lontano, almeno fino al momento che mi è stato consigliato di leggere 20th century boys.
Desiderio di fine
La scoperta di Naoki Urasawa avviene praticamente per caso, in un momento dove di nomi di manga, tra una chiacchiera e l’altra, ne giravano parecchi, in più accusavo una certa stanchezza per la serializzazione americana e il suo dilapidarsi come foglie al vento con accavallamenti, scavallamenti, scappellamenti e sinistra, pacchi, doppi pacchi e contropaccotti.
Arriva un momento in cui uno c’avrà anche bisogno di una conclusione, di mettere un punto, una storia con un suo arco concluso che risolve i personaggi e li saluta alla fine in modo appagante.
Questo desiderio non trova riscontro nel comic book classico, può funzionare nelle serie limitate, ma comunque presenta personaggi che sono il riflesso o una visione alternativa di eroi (icone) già visti. Batman sarà sempre Batman o il suo opposto ma non sarà mai un Batman completamente discordante dalla sua icona.
È una specie di trappola e le nuove generazioni l’hanno percepita questa sostanziale inconcludenza preferendogli altri tipi di storie, in un altro forma, altri personaggi che sì, ancora una volta sono riproposizione di archetipi che seguono percorsi simili (monomitici sic.) ma che ad una certa chiudono la loro storia.
Chiaramente, non so se è davvero questo il motivo che ha portato i manga ad essere trainanti per il settore dell’editoria, ma personalmente, la interpreto in questo modo, filtrando un sentimento collettivo attraverso di me.
Ma dicevo, 20th century boys mi fu consigliato da persone di cui stimo il parere, e da sempre ciò mi ha portato tra le mani e davanti agli occhi una buona dose di narrativa, film, serie tv e videogiochi. Ancor prima di una spompa narrazione istituzionale da sito specializzato di settore, nella modalità informale del passaparola. Non c’è niente di più bello di avere un amico che ti dice “guarda, sta roba è una figata”. E per quanto sia uno stanco di voti, di proclami, di influencer, un messaggio del genere è ancora qualcosa che, secondo me, vale la pena di stare a sentire, perché 20th century boys lo è stato davvero una figata.
I ragazzi del xx secolo
Qualcuno più studiato di me direbbe sicuramente che 20th century boys è un “seinen”, termine utilizzato per indicare un uomo adulto non ancora indipendente o non ancora integrato nel mondo del lavoro, solitamente utilizzato per giovani uomini e universitari (categoria che evidentemente mi calza a pennello) e che associata ai manga ne indica un target specifico (esattamente come shonen indica i manga per ragazzi in età scolare).
Ma io che tutte queste cose le ho solo sentite e le sto ripetendo preferisco procedere per analogia.
Il primo riferimento che prenderei a modello è quello di It: una storia che racconta gli stessi personaggi su un lungo lasso di tempo e che li mette a confronto con le conseguenze delle proprie azioni e il loro rapporto col tempo, i desideri, le aspirazioni e i compromessi che hanno fatto per andare avanti, la distanza netta tra ciò che sono e ciò che avrebbero voluto essere. È una storia stratificata che per quanto ci presenti un protagonista all’inizio della vicenda, il punto di osservazione si sposta su tutti i componenti di un gruppo minuziosamente caratterizzato sia graficamente che caratterialmente. Ogni personaggio ha sogni e ambizioni che lo rendono unico, proprio come i ragazzi del club dei perdenti di King.
Ma appunto, non è solo il numero di personaggio ma dove gli stacchi temporali li portano di volta in volta e cosa li fanno diventare a caratterizzare l’intreccio dei racconti che diventano inscindibili gli uni dagli altri, concatenando flashback e flashforward in un flusso coerente e costante di approfondimento psicologico, azione e colpi di scena.
Mi accorgo solo ora di non aver detto nulla sulla trama.
I meno giovani di voi ricorderanno quel momento pazzo della storia del Giappone nel quale gli attentati non avvenivano per mezzo di aerei e non avevano matrice islamica. Il 20 marzo 1995 la metropolitana di Tokyo subì un attentato terroristico commesso dalla setta religiosa Aum Shinrikyo su mandante del suo fondatore Shoko Asahara con l’impiego di gas sarin, tutt’oggi considerato il più grave attacco terroristico verificatosi in Giappone dalla fine della seconda guerra mondiale.
20th century boys, mettendosi in scia a questo evento drammatico, rielabora la questione delle sette mettendo al centro degli eventi il misterioso Amico, carismatico leader di un gruppo pseudo-religioso che pare capace di compiere veri miracoli, manipolando l’opinione pubblica tramite attentati terroristici e omicidi politici.
Tra i talenti di Urasawa c’è anche quello di riuscire a gestire una storia che ad ogni passaggio amplia notevolmente il respiro lasciando comunque il nucleo della vicenda umana ed intimo.
Periodi storici diversi, generazioni a confronto per scongiurare la fine del mondo, legami familiari, amicizia, amore e una sconfinata ambizione.
Possiamo serenamente dire che 20th century boys è un manga totale, appunto per il suo viaggiare al di fuori di un genere vero e proprio per piegarsi di volta in volta al momento che sta raccontando e Urasawa, riuscendo nel suo intento, si classifica non solo come un mangaka geniale, ma come uno dei migliori fumettisti della sua generazione serenamente degno di sedere al fianco di persone come Moore e Miller.
Inoltre, nel caso vi fosse passato di mente, è anche autore di tutti i disegni al netto dei credits riportati di tutti gli assistenti che come sappiamo concorrono alla creazione di un manga.
Parlarne mi mette un po’ in difficoltà perché, appunto, non essendo un esperto di manga credo mi mancano sia gli strumenti e le parole per spiegarmi al meglio.
Il tratto è sottile, affilato, delicatissimo, gentilmente descrittivo e “realistico” per quanto lo conceda il genere, i volti appaiono caricati senza scadere nel grottesco, non ci sono anatomie distorte e, per un lettore abituato ad una decodifica di prodotti occidentali, è facilissimo entrare in sintonia con il suo stile estremamente leggibile che non si sofferma mai eccessivamente su grafismi pesanti (giusto qualche linea cinetica) e retini minimi. È quasi miyazakiano, sotto un certo punto di vista, o almeno, è al lavoro di Miyazaki e dello Studio Ghibli che mi viene da pensare quando vede i disegni.
Tirando le somme
Nel mio approcciare al mondo del fumetto giapponese, come in tutte le cose nelle quali ho mosso i primi passi, ho chiacchierato in giro, confrontato pareri e, per quanto i gusti dei miei amici siano spesso diversi per generi e temi trattati, su 20th century boys il parere è compatto.
Se proprio devo muovergli una critica (giusto una) soffra il difetto della struttura che qualcuno potrebbe trovare tipica del manga, sulla gestione del Big Bad della storia, che arrivato ad un certo punto del racconto pare risolversi per “stanchezza” e chiudersi anzitempo, se non fosse che è invece, è una consapevole gestione del ritmo tipico del manga, solo che funziona senza sapere di riciclo di idee e quindi annoiare.
La produzione di Urasawa non è sconfinata, questo rende il recupero delle sue opere sensibilmente agile, specie nel contesto attuale, ambiente favorevole alla pubblicazione e alla lettura di manga anche non recentissimi. Planet Manga sta ripubblicando 20th century boys in formato figo (ha sicuramente un nome specifico giapponese, ma onestamente non ho voglia di cercarlo su wikipedia per tenere queste considerazioni il più pure e incontaminate possibili), dopo aver pubblicato già in suddetto formato tutto Monster, il thriller che ha reso famoso il nome di Urasawa nel giro di quelli che ne sanno di manga.
Tutto questo l’ho visto mentre passavo per la solita libreria nel centro commerciale che visito quando vado al cinema. E sì, se vi sembra l’estratto di una di quelle storie di provincia è perché probabilmente lo è.
Comunque la solita libreria, ma sarebbe più corretto utilizzare la formula da loro adottata di “store”, ha letteralmente spianato un quarto dello spazio commerciale per adibirlo a “fumetteria” e di questo quarto di superficie utile il 90% è occupato da manga.
Vederli lì davanti, tutti belli ed in fila, sapendo anche un po’ come muovermi, mi ha procurato non poche difficoltà nel trattenermi da insani acquisti compulsivi. Vale la pena segnalare gli ammiccanti sguardi che ho scoccato alle meravigliose edizioni di Tomie e Uzumaki di Junji Ito, ma mi sono trattenuto perché il non trovare immediatamente il prezzo mi ha indotto alla calma.
Con mia somma delusione il terzo volume di Asadora! era assente, la solita sfiga, scatenando in me il solito brivido inappagato dell’ossessivo compulsivo quando vede un pezzo che ci deve essere e che invece manca. Per tamponare questo crescente disagio ho colmato il vuoto con una riedizione (anch’essa molto figa dal punto di vista grafico) de Le Tre Stimmate di Palmer Eldritch (che coi manga non hanno niente a che spartire, ma per dovere di cronaca segnalo), non senza una punta di amarezza. Ritornerò. Ma soprattutto, dato che sono preso bene, non è da escludere che occuperò di nuovo questo spazio per scrivere nuovamente di Naoki Urasawa se (ma sarebbe più corretto dire quanto, ahimè, scusami portafoglio, perdoname madre por mi vida loca) riuscirò a mettere le mani su altri suoi volumi.