Matrix Resurrections: divisi a meta
Un film che ha scatenato dibattiti, feroci critiche e cocenti delusioni ma che ha senza dubbio qualcosa da raccontare, e oggi non è poco.
Potremmo definire un buon film il risultato di alcuni fattori tra cui una buona regia con soluzioni interessanti, una sceneggiatura stimolante, belle prove attoriali… ci siamo? Può andare? Aggiungiamo qualcosa che ci emozioni, che ci colpisca o che provochi sensazioni coerenti col genere di riferimento. Un horror ci dovrà spaventare, un film d’azione stupire con momenti fuori di testa… vi torna? Magari qualcosa che sia l’effettivo compimento di tutte quelle teorie che hanno accompagnato l’opera dalla prima notizia che la riguarda fino all’uscita in sala o nelle piattaforme di streaming.
La qualità di un film oggi sembra indirizzata su due binari non sempre affiancati: soluzioni formalmente corrette e la capacità di dare al pubblico ciò che il pubblico si aspetta e vuole.
Anzi, permettetemi due passi nel boomerismo: oggi un film sembra valere più per quanto riesce a essere emozionante e consapevole dei social, per quanto lo YouTuber di turno riesce a fare facce esagerate quando lo vede, per quanto abbraccia il pubblico, che per la qualità o la sua capacità di portare il messaggio di chi lo ha concepito.
Ecco, Matrix Resurrections in questo non è un film adattissimo al periodo corrente, perché se ne frega delle reazioni social, se ne frega (anzi, irride) le aspettative di buona parte del pubblico e si preoccupa solo di dire ciò che vuole dire.
E cosa vuole dire Matrix Resurrections? Tante cose, e a volte, come chi ha tanto da dire, si mangia un po' le parole. La prima è che la morte dei propri parenti è una brutta cosa e se Warner Bros pensa di defibrillare la cosa che ti ha reso nota agli occhi del mondo allora tanto vale provare a usarla per superare il lutto e prendersi gioco, nel frattempo, delle writing room che creano prodotti col bilancino e i sondaggi.
La seconda è che per una persona trans vedere un branco di incel e di maschilisti appropriarsi della simbologia che ruota attorno alla pillola rossa non è il massimo della vita, quindi è meglio riappropriarsene, la terza è cercare di renderne ancora più evidente i sottotesti legati al concetto di transizione, parlando nel frattempo di un mondo che dal 1999 è cambiato parecchio.
Matrix Resurrections non nasce perché Lana Wachowski voleva darci più bullet time, gente in latex e combattimenti fichi, nasce perché una persona messa alle strette invece che riscaldare la minestra ha deciso di renderla un piatto completamente diverso.
Non penso di dire niente di particolarmente originale sostenendo che Matrix Resurrections è un prodotto profondamente metatestuale, antinostalgico e anticlimatico, lo è praticamente in ogni sua parte e le Wachowski non sono famose per andare sul sottile con le metafore. Nelle prime battute vediamo Bugs che riguarda la scena iniziale di Trinity come se fosse me alla ricerca di vecchie pubblicità di giocattoli su YouTube, nel mondo reale ci sono i fanboy di Neo e il secondo incontro col nuovo Morpheus si svolge in un teatro dove si proiettano le immagini del primo film.
Tutta la prima metà parla del film stesso, della scarsa voglia di tornarci su e del dito medio fatto da Lana a chi voleva renderlo un giocattolone di metafore plastificate e buzzword, anzi, è una dichiarazione d’intenti sulla successiva in cui ci viene chiaramente detto “Se vi aspettate bulle time e tutte quelle altre robe preparatevi a una delusione”.
Se nel 1999 Matrix cavalcava il senso di liberazione portato da un World Wide Web che si apriva al mondo con un ventaglio di possibilità e il miraggio di una conoscenza globale e diffusa che ci avrebbe reso migliori, grazie anche all’etica hacker della condivisione di informazioni, oggi, tutto quell’entusiasmo è morto o si è trasformato in altro.
La rete fatta di scambio di conoscenze è sparita, sostituita da quella fatta di algoritmi e seo che decidono cosa è meglio per noi, ci siamo volontariamente reclusi in sistemi recintati dove ogni link che ci fa uscire è penalizzato e dove regnano la paura di perdere ciò che abbiamo e l’insoddisfazione per quello che gli altri hanno e noi no, i nostri dati personali sono venduti al miglior offerente e tutto il messaggio di Matrix si è perso.
Cosa è rimasto di noi? Il Merovingio incazzato nero che blatera insulti, Thomas Anderson che con i suoi videogiochi di successo “ha fatto divertire qualche ragazzino” come Lana ha fatto divertire qualche ragazzino nel 1999 ma poi il mercato, i mercati, le paure e tutte le altre cose si sono mangiate il futuro.
E quindi?
E quindi vaffanculo la storia la giro come voglio io, metto ancora più al centro l’amore e sposto l’asse dall’eletto al duetto, dal maschile a due anime che si supportano e si difendono a vicenda, dal concetto binario di scelta alla scelta inevitabile che facciamo facendo finta che ci sia un’alternativa, quando invece l’alternativa Lana non ce l’ha avuta perché lei voleva essere quello che è, punto.
E quindi dopo l’inizio disilluso seguiamo Bugs, letteralmente soprannominata come un coniglio, dentro la tana dell’autodeterminazione di Trinity e se volevate altro beh, ci spiace.
Quindi tutto bene? No, perché Matrix Resurrections è un film con qualcosa da dire ma non di certo un film perfetto, anzi.
Pur prendendo per buona la spiegazione meta sui combattimenti poco memorabili di un Neo imbolsito e imbottito di pillole, le scene d’azione, per quanto girate di cristo, non offro nessun momento particolarmente interessante, il personaggio del nuovo Morpheus è abbastanza inutile, l’heist movie verso la fine abbastanza farraginoso e la parte della città di IO tutto sommato è un grande spiegone di retcon e poco più.
C'è una prima parte molto forte e una seconda che sembra arrivare molto stanca, come se la rabbia dell'incipit si acquietasse nel desiderio di compiacere la Warner e chiudere questa storia (tuttavia lasciandola aperta, come il primo film).
Ma, e qua arriviamo al cuore del tutto per me, riesco a passarci sopra perché vedo in Matrix Resurrection la voglia di dirmi qualcosa, e ogni volta che ne parlo o ci torno si aggiunge un pezzo. È il desiderio di star bene di una persona che ha perso i genitori e punta alla resurrezione degli affetti, almeno qua, raccontandomi nel frattempo una favola antinostalgica che non tornerà buona per le reactions, per lo spaccio di emozioni facili e per gli OMG moments in stile MCU.
È un film a modo suo sofisiticato che racconta la storia di sé stesso e una lotta impossibile contro l’industria dell’intrattenimento e contro la programmazione che l'educazione ci impone. Se volevate solo capriole, latex, occhiali fighi (quelli ci sono però) e bullet time la vostra delusione sarà cocente e posso anche capire se questo vi ha fatto incazzare: non c’è ciò che volevamo noi, ma ciò che voleva Lana per andare avanti.
Che poi in fondo è uno dei tanti messaggi che Matrix ha sempre portato con sé: la nostra comfort zone fatta di ripetizioni, ansie e sguardi al passato non ci permette mai di staccare il cordone ombelicale dalla macchina di consumo che ci vuole impauriti ed emozionati, così da farci produrre meglio ciò di cui ha bisogno. Invece dovremmo renderci conto che il passato non torna e c’è un futuro da scrivere sì, magari assieme a chi amiamo, anche se chi amiamo siamo noi in una forma differente.