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Run N' Gun, Contra e l'Inglese

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Un bellissimo libro di Bitmap Books dedicato al genere principe della sala giochi, ma anche dopo, e un inevitabile aneddoto personale.

Mi piacciono i libri di storia dei videogiochi perché mi riaprono vecchie cantine della mente, sfoltiscono i rami dei sentieri che collegano le memorie e ogni tanto ti permettono di recuperare quell’immagine che avevi sepolta in testa che porta ad altre immagini, ad altri ricordi.

Pensavo questo sfogliando Run 'N’ Gun, l’ennesimo ottimo libro edito da Bitmap Books, casa editrice che ormai da qualche anno fa un incredibile lavoro di catalogazione per piattaforme e generi, con alcune spettacolari monografie, tipo quella dedicata a Metal Slug.

Run N’ Gun parla, ovviamente, di questo genere che ha dominato per anni le sale giochi, assieme, e forse molto di più, dei picchiaduro a scorrimento e non e degli shoot em’up.

Un genere le cui origini affondano nel primo gioco in cui si spara a un essere umano, Gunfight, e che passando per nomi fondamentali come Turrican o Metal Slug e arrivano fino a oggi con Hotline Miami, Cuphead e tutto il fronte di titoli che citano apertamente gli anni ’80 e ’90.

Un genere spesso punitivo, data la sua natura ferale di materiale da sala giochi e da macchina per farti spendere, ma anche capace di piegarsi al giocatore che sa leggere tra le sue mosse. Dopo aver speso una cifra considerevole, ovvio.

In un settore in cui i generi e le mode nascono e muoiono e ciò che oggi sembra fondamentale domani è soltanto materia di licenziamento degli staff i Run 'N’ Gun sono un po’ gli insetti che accompagnano la vita sulla Terra fin dai suoi albori e, di evoluzione in evoluzione, sono ancora qua.

Anche questo libro come gli altri ripercorre le varie epoche con una serie di schede più o meno dettagliate in base all’importanza storica del gioco o la sua popolarità. In questi casi mi piace aprire a caso la pagina e vedere se e cosa mi ricorda ciò che vedo. Una sorta di pesca a strascico nella memoria.

È stato un attimo dunque rimbalzare sulla pagina di Contra, forse uno dei titoli principe del genere che anche nelle sue incarnazioni successive ha saputo conservare quella crudele intransigenza matrigna che rende ogni successo qualcosa di unico.

Non starò qua a farvi una masterclass su Contra, sappiate solo che fece per il genere ciò che Final Fight ha fatto per i picchiaduro a scorrimento: li portò a un livello successivo come level design, controllo, fluidità e un'ambientazione, saccheggiando lo spirito del tempo e diventando una sorta di “Rambo (e Commando) vs Alien” che ancora oggi tiene banco. Fu anche uno di quei casi in cui la versione da bar forse era peggio di quella casalinga (soprattutto quella per Nes).

Ed è qua che si apre la finestra di cui parlavo all’inizio. Perché al parlare di Contra io piombo in un imprecisato momento di molti anni fa, fine anni ’80? Primi anni ’90? Boh. Però vedo una piscina con l’acqua giallastra che grida “salmonellosi” di fronte a un motel in California al confine col Messico. Di fronte una struttura giallastra, in muratura, con intonaco giallo e un piccolo porticato, da un lato la segreteria del motel, dall'altra un cabinato tutto solo.

Una di quelle scene che fotografate bene potrebbero entrare in qualche libro della Taschen. Di li a poco saremmo andati a vedere Tijuana dove la visione di coetanei poverissimi mi traumatizzò per gli anni a venire.

In quel viaggio in ogni campeggio, motel, città, piazzola o bar io controllavo due cose: la piscina e che videogiochi c’erano. Erano anni in cui non esisteva posto che non avesse almeno un cabinato, alcuni campeggi anche di più, non importava se eri a Firenze, Los Angeles o Tunisi. Se andava bene erano entrambi ok, se andava male la piscina faceva schifo, se andava malissimo facevano schifo pure i giochi.

In quel caso il videogioco era Contra, quindi m’era anche andata bene, ma lo conoscevo poco. Erano anni in cui andavo giù pesante con Rolling Thunder, che era sempre dello stesso genere ma u n po' più datato. Mi facevano impazzire i nemici coi cappucci, non so perché. In ogni caso, ciao Contra, piacere di conoscerti, per fortuna avvevo sempre con me dei quarti di dollaro quindi ne metto uno e muoio subito. Ne metto due e muoio due metri dopo. Finiti i quarti. Benissimo.

Vado da mio padre e lui decide che è il momento di una lezione di vita.

“Mi cambi i gettoni?”

“Oggi li cambi tu, vai dai signori del motel e chiedi quarters please, così te li danno”

“Ma non puoi andare tu?”

“Vuoi giocare? Allora vai e dici, ancora meglio, Can I have some quarters, please?

Ricordo la banconota da un dollaro stretta nel pugno, i passi pesanti per arrivare dal tizio del motel che mi saluta e io…

qrtrsples?” Mentre agito la banconota.

Il tizio sorride, esita.

Panico.

Chenai ev *respirone* sam quarters pliss?

Ride, capisce, mi dà i quarti di dollari, torno trionfante dal cabinato. Li fumo, ovviamente, in neanche dieci minuti, ma avevo parlato inglese per la prima volta. Ma soprattutto avevo capito per la prima volta che per le cose mie, come i videogiochi, ero disposto a superare ogni ostacolo, anche una timidezza feroce.

Il prossimo passo sarebbe stato chiedere “Two players?” ai bambini con cui non volevo fare il doppio.

Grazie Contra, grazie Bitmap Books e grazie tizio del motel per non avermi scacciato malamente. Il libro è bellissimo, ve l'ho già detto, comprarlo è un atto dovuto se amate la storia dei videogiochi.

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