L'Impero del Sogno - recensione e intervista a Vanni Santoni
Una provincia desolata, un sogno che diventa realtà, un romanzo che mescola riferimenti geek e cultura alta in maniera perfetta
L’Impero del Sogno racconta la storia di Federico Melani, detto Mella e di come la sua vita sia cambiata, sconvolta, sotto sopra sia finita dopo aver iniziato a fare sogni più vividi della realtà, ma soprattutto molto più interessanti.
Mentre il mondo reale gli offre solo genitori pressanti, province noiose, partitelle di Magic, esami universitari da fingere e solitudine, nel sogno ci sono avventure, emozioni e l’affascinante prospettiva di essere qualcuno.
E quindi il Mella decide di sognare, sognare sempre di più, fino a distaccarsi dal mondo reale, confondere i piani dell’esistenza, mollare tutto e tutti per salvare l’umanità, anche se nessuno se ne rende conto, finché il sogno non trabocca nella realtà.
Un po’ a metà tra Ready Player One, Inception e un pomeriggio speso dentro una ludoteca, con L’Impero del Sogno Santoni non solo getta le basi della sua saga fantasy Terra Ignota, ma ci racconta l’incredibile potere della cultura pop nel costruire un senso di appartenenza e identità quando ciò che hai intorno non ti soddisfa. I personaggi di Santoni sono spesso specchio del suo odio per una provincia che non offre niente, che non regala niente, in cui un dado a 20 facce o un gamepad diventano portali verso qualcosa che senti tuo, anche se vivi nel Valdarno e non a Los Angeles.
Il personaggio del Mella porta alle estreme conseguenze questa voglia di escapismo, vivendo in un mondo parallelo fatto di ciò che la sua mente ha assorbito fino a quel momento: divinità etrusche e draghi d’oro, munacielli e streghe.
Un mondo interiore personale eppure condiviso in cui tutti ritroviamo qualcosa di noi, del nostro passato e presente, di quelle partite a Cyberpunk 2020, dei fumetti prestati agli amici e mai resi, di nozioni scolastiche che ritornano alla luce dopo anni e chissà perché.
Ma i sogni di Mella non sono un semplice catalogo per nerd in cui chi scopre più citazioni si sente il più ganzo, tutto scorre seguendo il filo di una storia che non vuole solo farci capire quanto l’autore ne sappia, che non si dimentica di regalarci un bel “viaggio dell’eroe” fatto di momenti tristi e felici, battute e serietà. In un’Italia del 1997 così lontana eppure così vicina, in cui c’è tempo anche citare Giulio Regeni e pensare che, forse, sarebbe stato meglio se fosse stato ucciso da un mostro uscito dai suoi sogni, piuttosto che da un pezzo di merda in uno scantinato egiziano.
Un romanzo che sentirete fortemente vostro non solo se vivete in Toscana, regione notoriamente refrattaria a qualunque cosa che non sia legato al turismo e alle cose passate, ma se avete vissuto sulla propria pelle il vuoto della provincia, la voglia di qualcosa di più, di un mondo che si spingesse oltre i confini della Casa del popolo, del circolino della chiesa o della piazzetta in cui si ritrovano tutti.
Con L’Impero del Sogno Vanni Santoni conferma l’impressione che avevo avuto leggendo La Stanza Profonda: al momento rappresenta un ottimo punto di equilibrio tra una cultura fatta di riferimenti geek e popolari, mescolata con una capacità di espressione, sintesi e scrittura superiore, sottolineata dal suo avvicinarsi al Premio Strega. Sarebbe piaciuto tanto a Umberto Eco, di sicuro piace moltissimo a me.
In fondo cosa sono giochi di ruolo, videogiochi e fumetti se non sogni in cui passeggiamo consapevolmente?
E ora l’intervista a Vanni Santoni, che ringrazio tantissimo per il tempo concesso.
Sia ne L'Impero del sogno che ne La Stanza Profonda c'è questo grande nemico che è la provincia, fatta di nulla, un luogo da cui fuggire per cercare di diventare qualcosa di più di uno che si fa una partitella a Magic tra una canna e una lezione saltata. Senti ancora molto questa voglia di fuggire?
Personalmente l’ho sempre soddisfatta: anche se l’unico vero trasferimento permanente che ho fatto è stato quello dal Valdarno a Firenze, avvenuto quando ero piuttosto giovane, in un modo o nell’altro ho sempre vissuto per periodi anche lunghi in altre città italiane, europee e non solo – quest’anno ho passato il grosso del mio tempo a Tel Aviv; l’anno scorso a Parigi; due anni fa a Pisa, che si è rivelata molto più interessante di quanto la si disegni da Firenze; in passato ho trascorso periodi in posti come Stoccolma, Berlino, Londra o Delhi –, ma l’aria di provincia, quella uno la sente e la rifugge sempre, come ben sa chiunque sia cresciuto in un piccolo centro.
I videogiochi, i giochi di ruolo, i fumetti sono il modo che abbiamo oggi per sfuggire alla realtà, sono l'unico modo per avere un sogno vivido come quello del Mella?
Non mi piace la spiegazione escapista. I videogiochi, i giochi di ruolo, i fumetti, anche i rave che ho raccontato in Muro di casse o le droghe al centro di Gli interessi in comune, non sono mai fuga. Sono creazione di senso, tentativi di condensazione di significato, in una realtà che di significato ne offre sempre meno.
Derubricare i giochi o i fumetti a escapismo è la tattica di base di chi vuole sminuirli culturalmente; i primi a parlare di “sballo” o “fuga dalla realtà” quando si parla di sostanze sono quei proibizionisti che con le loro posizioni alimentano mafia, spaccio e criminalizzazione dei giovani. Là dove si creano scenari nuovi, si aggiunge complessità al mondo, sempre.
Anche se è tutto ambientato vent'anni fa (stavo per scrivere dieci, poi m'è presa male) i rimandi sono molto attuali, mi riferisco a Regeni, all'intuizione del protagonista della mancanza di prospettive che sarebbe esplosa poco dopo, trasformandoci tutti in precari. Inserendoli hai cercato di mescolare escapismo e voglia di lanciare un messaggio?
Quella della mancanza di prospettive non è una presa di posizione politica, è una semplice applicazione di un parametro di realismo. La seconda metà degli anni ’90 è quella in cui una generazione, e poi le successive, ha cominciato a trovarsi in un presente cristallizzato, in cui “diventare qualcosa” – non dico neanche qualcuno – sarebbe stato sempre più difficile, in un contesto per di più di criminalizzazione dei giovani e erosione della classe media.
Per quanto riguarda il parallelo tra Sofia Tonini e Giulio Regeni, non è che un piccolo tributo, un modo per continuare a parlare di una questione che mi ha colpito e ferito molto. Come dice il Mella stesso nel libro, “sarebbe in qualche modo più rassicurante un mondo in cui Sofia è stata uccisa da Dei o Mostri invece che da dei figli di puttana di sbirri o agenti dei servizi”, e affermare questo serve anche a ricordarci che il male, nel mondo reale, non solo esiste, ma è anche un’entità complessa, mai scindibile da riflessioni strutturate sul sistema che lo genera.
Ambientare il tutto in un mondo meno informatizzato e informato come quello del '97 ti è stato congeniale per il racconto o è solo un modo per calarsi di più nella nostalgia?
La scelta della seconda metà degli anni ‘90 è stata automatica perché per quanto riguarda il momento videoludico era un’epoca d’oro ma anche di transizione: in quel momento i giochi per PC vivevano la loro stagione più bella a livello creativa, le console preparavano la loro invasione delle case di tutto l’Occidente,
Ti ho sentito definire un po' l'Ernst Cline italiano, per la tua capacità di mescolare narrativa di qualità, mondi fantastici e riferimenti geek, pensi sia calzante come definizione?
Sicuramente Ready player one è un punto di riferimento, così come lo è la produzione di Gaiman, in particolare la storyline A game of you in Sandman, prima ancora di American Gods, ma citerei anche Scott Pilgrim per il suo tentativo di portare alcune grammatiche e alcuni dispositivi propri dei videogiochi in un’opera narrativa, in quel caso a fumetti. Ma L’impero del sogno vuole anche fare altro, ovvero ibridare “alto” e “basso”, Borges e Final Fight, Fallout e Kafka: questa aspirazione è simboleggiata dalla carta di Magic “Sogni del mondo sotterraneo”, pluricitata nel testo, che riportava in epigrafe una poesia del poeta Nobel indiano Rabindranath Tagore: più crossover di così…
Cosa ti aspetti dal videogioco di Cyberpunk?
Ce l’ho già il videogioco di cyberpunk. Si chiama Syndicate, è degli anni ’90.