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Lego vs Playmobil come Apple vs Microsoft

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Perché Lego è cult anche per gli adulti e Playmobil no In queste ore Playmobil ha lanciato la propria linea dedicata a Ghostbusters che comprende la stazione dei pompieri, la Ecto-1, l’omino dei marshmallow, i cagnacci di Gozer e altre scene del film. Il prezzo dei vari set è piuttosto conveniente, il più caro, la ... Lego vs Playmobil come Apple vs Microsoft

Perché Lego è cult anche per gli adulti e Playmobil no

In queste ore Playmobil ha lanciato la propria linea dedicata a Ghostbusters che comprende la stazione dei pompieri, la Ecto-1, l’omino dei marshmallow, i cagnacci di Gozer e altre scene del film. Il prezzo dei vari set è piuttosto conveniente, il più caro, la caserma, costa circa 70 euro.

Una cifra onesta per un uomo che guadagna duramente il proprio stipendio scrivendo di videogiochi, film e maschere di Optimus Prime, per questo la freccetta del mouse è andata sicura verso l’ordine di Amazon. Prima di completare l’ordine però mi sono fermato, c’era qualcosa che non quadrava.

Non era tanto lo spazio nè tantomeno lo stigma sociale, anzi, parte della mia bacheca Facebook mi incitava all’acquisto. Ho realizzato che se lo stesso oggetto fosse stato della Lego lo avrei comprato senza indugi. Dopotutto, l’unica cosa che mi impedisce di comprare i set Lego più grandi, tipo la caserma o la Morte Nera, non è tanto il fatto che non saprei dove metterlo e che Giulia mi soffocherebbe nel sonno con un cuscino, ma il prezzo.


E allora perché non compravo a cuor leggero il set Playmobil? Perché l’altra parte della mia bacheca Facebook incitava Lego con fare da zelota?

Perché Lego è riuscita a sdoganarsi come oggetto cult anche presso gli “adulti” (con tutte le virgolette del caso) mentre Playmobil è visto come un giocattolo o al massimo un oggetto di modernariato?

Perchè tra Lego e Playmobil scorre più sangue che tra Apple e Microsoft?

Entrambe reinterpretano con il proprio stile grafico situazioni reali, fantasiose e legate a determinati universi narrativi. Città, castelli medievali, astronavi, c’è un set per tutto.

Il paragone tra Lego e Apple però è più sensato di quanto si possa immaginare, dato che entrambe riescono a vendere prodotti estremamente costosi non tanto per il loro effettivo valore, quanto per l’emozione che danno comprandoli. Microsoft e Playmobil sono meno affascinanti e seppur paradossalmente più sensate e pragmatiche, sono meno brave a raccontarsi.

Al di là del fatto che i mattoncini sono un simbolo di libertà creativa, di infinite possibilità nascoste nella nostra testa e degli spettacolari progetti amatoriali, la maggior parte degli appassionati Lego acquista set precostituiti e segue scrupolosamente le istruzioni, collezionando tutto ciò che gli piace.


Dunque, Lego è talmente furba che ci vende giocattoli che noi dobbiamo montare riciclando più o meno sempre gli stessi pezzi di plastica, esclusi alcune varianti speciali. Il grosso del costo per l’azienda sono le licenze e la progettazione, il resto è tutto margine. Inoltre, tutta la parte dell’assemblaggio è a carico dell’acquirente, che è ben felice di farlo, anzi, è parte stessa del divertimento.

Quale altra azienda può dire altrettanto?

Quelle di modellismo” direte voi, ma non è proprio così. Per montare un set Lego non è richiesta nessuna particolare abilità, non bisogna essere bravi a pitturare, incollare, fissare o modellare. Sono puzzle tridimensionali abbastanza semplici, esercizi zen che prevedono l’esborso di centinaia di euro per pezzi di plastica con cui tra l’altro è anche difficile giocare, perché tutto potrebbe andare in pezzi al primo urto.

Dall’altra parte Playmobil offre un giocattolo altrettanto carino, che non ha bisogno di essere montato, salvo qualche adesivo, e decisamente più solido da utilizzare.


Cerchiamo di analizzare la cosa con piglio vagamente scientifico. Dal punto di vista creativo i mattoncini Lego permettono molte combinazioni e il fatto di essere giocattoli “creativi” è stato per anni il cavallo di Troia per convincere anche i genitori più restii.

Tuttavia è inutile girarci intorno, il successo moderno di Lego è legato all’acquisizione continua e mirata di marchi che piacciono molto ai geek, una categoria di persone a loro agio con il proprio lato più “infantile”.

Non compriamo un giocattolo, stiamo comprando un modellino di Tie Fighter piacevole da montare, esteticamente gradevole da mettere in un salotto “a tema” e soprattutto con un valore economico. Non è una roba infantile, ma l’affermazione di una passione che travalica l’età. Lego questo lo sa benissimo, tanto che certi set e modellini non sono assolutamente pensati per i bambini, se non quelli interiori.

Lo stesso vale per i set cittadini: non è una roba per ragazzini, mi sto divertendo a costruire una città, assemblando le varie parti e mantenendo tutto in ordine, proprio come un modellista. Per non parlare dei set dedicati agli architetti. Lego ha saputo parlare agli adulti senza perdere l’anima, perché era facile rinchiuderla in un mattoncino.

Così come mi comprerei una testa di Alien, l’orologio di James Bond, il modellino del Falcon, una statuetta di Godzilla, una spada laser o un’action figure di He-Man, magari d’epoca. Sono tempi in cui essere a proprio agio col proprio lato pop non è soltanto normale, ma quasi obbligatorio.

Invece, la roba della Playmobil mi piace, mi rendo conto che il set dei Ghostbusters è pensato per me però… mi riporta indietro a quando ero bambino in maniera differente. Non con nostalgia, ma infantilismo, non c’è collezionismo, è più un giocattolo. Una volta comprato non può diventare altro, non posso andare in un sito di appassionati e trasformare il castello di quando ero bambino in una replica di Battlestar Galactica. I Lego sono acqua, per dirla come Bruce Lee, i Playmobil sono rigidità.


Ecco la mossa Kansas City che è riuscita a Lego e che forse Playmobil sta facendo fuori tempo massimo: è passato dall’essere un giocattolo a oggetto pop senza tempo, ha acquisito i diritti d’immagine di saghe cult immortali nel momento esatto in cui la maturità ha smesso di coincidere con serietà. Tra Lego e Playmobil percepiamo la stessa differenza che passa tra Keith Haring e il disegno di un bambino.

Non dimentichiamo poi un dettaglio importante, negli ultimi anni, spinta dalla nostalgia, da Minecraft e dai videogiochi indipendenti, si è imposta un’estetica 8-bit che si sposa perfettamente con Lego, che non ha caso ha dedicato proprio un set al titolo di Mojang.

L’unica altra spiegazione che sono riuscito a fornirmi è che la fragilità dei Lego fa parte del loro fascino. Più un giocattolo è solido più è chiaramente pensato per un bambino, più ci sentiremo dei bambini ad acquistarlo.

L’attenzione e la cura con cui bisogna costruire e mantenere i set Lego più belli e costosi gli dona un’aura speciale, la stessa di un trenino, un galeone, un cristallo di Swarosky. Non li percepiamo come oggetti per bambini, perché un bambino li romperebbe o li userebbe in maniera differente, spesso priva delle regole che li rendono un passatempo adulto.

La forza di Lego non è solo fatta di tempismo e licenze, ma anche della fragilità trasformata in un valore.

P.S.

L’infiammato dibattito Lego VS Playmobil è continuato in un post su Facebook di Roberto Recchioni ricco di spunti interessanti.

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