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La saga di Scream tra passato e presente

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Torna Ghostface, il killer ubiquo della saga di Scream, con un quinto capitolo all'altezza dei suoi predecessori.

Per chi come me era adolescente negli anni ’90, ci sono poche cose iconiche come Scream. Parlando di cultura pop, magari i Nirvana, Friends e Beverly Hills 90210. Ma se entriamo nell’ambito dell’horror, a segnare il passaggio di quel decennio c’è proprio soltanto lei, la saga diretta da Wes Craven e scritta da Kevin Williamson.

 

Non si tratta nemmeno di stabilire quale sia il film migliore del periodo, ma il più influente. Scream ha lanciato un nuovo modo sia di fare il teen slasher, sia di portare il discorso meta-cinematografico nell’horror, qualcosa che da lì in avanti diventa un modello classico, destinato a tornare a più riprese.

La saga oggi è in sala con un nuovo capitolo, intitolato semplicemente Scream, anche se chiunque lo chiamerà Scream 5. Non lo ha scritto Williamson, che ne è produttore esecutivo. Al suo posto ci sono James Vanderbilt e Guy Busick. Intanto Craven è morto e il suo ruolo è andato al duo formato da Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, già registi dell’ottimo Ready or Not del 2019. Non sfugge l’ironia di una coppia di registi proprio per la saga di Scream, che è caratterizzata da un format narrativo in cui i killer agiscono in due.

RIGUARDANDO TUTTO SCREAM

In occasione di questo pezzo, ho fatto l’ennesimo rewatch del franchise. Non mi dovrebbe pesare, in teoria, eppure ho notato che a un certo punto mi affaticava. Scream funziona davvero come horror e come slasher, al punto da farmi sentire un po’ male.

 

Tendiamo a ricordarci gli aspetti più comici e gli scherzi meta, ma la saga è anche qualcosa di truce. Ha un killer ubiquo, Ghostface, che è soltanto un template indossabile da chiunque. Siamo alla serializzazione di massa del killer, con il costume che lo caratterizza fatto di plastica, acquistabile in ogni negozio del paese. È un assassino pervasivo e moltiplicabile.

È una maschera che si impossessa dell’omicida, alterandone la voce con un dispositivo e catalizzandone la ferocia sia nelle domande tormentose, sia nella pura violenza fisica. Come lo mettono in scena Craven e i suoi successori, evoca il potere della morte che non conosce limiti. Non c’è porta o muro che lo blocchi, Ghostface sembra riuscire ad accedere a qualsiasi anfratto della tua casa, del tuo garage, dell’università o del liceo.

SEQUEL, ANZI REBOOT, ANZI REMAKE

Già Scream 4 è stato un tentativo di rilancio della saga, purtroppo fallito nonostante il film del 2011 fosse eccellente. Questo nuovo Scream non ha il numero “5” nel titolo. Vuole inaugurare una nuova trilogia che si rifà esplicitamente alla precedente? Ce lo potremmo immaginare come uno “Scream 5/1”, e se le divinità del mercato lo consentiranno vedremo i suoi sequel, magari in dialogo diretto con gli altri capitoli degli anni ’90. Sarebbe un gioco di specchi infinito tipico di Scream, che al suo interno contiene anche un’autoparodia con la saga di Stab, tratta dalle disavventure della final girl Sidney Prescott.

Qui arriviamo alla prima grande differenza tra questo nuovo film e tutti i precedenti. Infatti, se in Scream 4 la protagonista era ancora Sidney, il film del 2022 fa di tutto per affermare l’autonomia del nuovo gruppo di personaggi, con due sorelle come eroine principali – e ancora una volta, notate l’ironia dello sdoppiamento.

 

Scream 5 contiene le riflessioni del caso sull’idea di reboot/sequel/remake tanto diffusa oggi. L’alter ego di Randy, il movie geek del primo film, ci spiega come funzionerà la faccenda inventando l’insopportabile termine “requel”. È una formula ibrida che abbiamo incontrato spesso negli ultimi anni – vi rimando a The Craft: Legacy. In essa ci sono trame in continuità col passato, nuovi personaggi supportati da quelli vecchi (legacy characters) e il ritorno all’impalcatura narrativa dell’originale. Sono al tempo stesso tutte e tre le cose, un reboot, un sequel e un remake. Questo è alla base delle regole del nuovo Scream. Ma è il caso di darvi un’allerta spoiler, per parlare con agilità dell’argomento senza girarci troppo intorno.

SPOILER ALERT

La scena iniziale di questo nuovo Scream funge da recap e non solo da remake del primo film. Si riparte con l’abituale telefonata, la ragazza sola in casa perseguitata dall’assassino come Drew Barrymore nell’epocale apertura del 1996. Questa volta, la ragazzina del caso mette giù senza rispondere, perché siamo nel 2022 e quello è un telefono fisso che squilla, una cosa aliena. Quando alla fine prende la chiamata, lo scambio di battute ci fornisce la backstory dei primi film, perché è proprio su quello che il killer interroga la vittima.

LA SATIRA METACINEMATOGRAFICA DI SCREAM

Questa sequenza introduttiva ci dà anche un altro elemento fondamentale, tipico di Scream: il dibattito sul cinema horror del momento, qui rappresentato dalla posizione dell’adolescente, fan di The Babadook, The Witch e It Follows, ovvero di quello che definisce “horror elevato”, mentre Ghostface si oppone accusando lei e il sottofilone di fighetteria. Su questo argomento ha scritto come al solito delle cose molto interessanti Lucia Patrizi, sul suo blog Il giorno degli zombi.

 

Conclusasi da programma la lunga sequenza con l’accoltellamento selvaggio della ragazza, incontriamo nel giro di poche scene il primo grande twist di Scream 5: la vittima non è morta. Si tratta di Tara, interpretata da Jenna Ortega, sorella della “nuova Sidney” Sam (Melissa Barrera dall’ottima serie tv Vida). Insieme, formano un duo che è destinato a sostituire il solidissimo rapporto frenemy di Sidney con la giornalista Gale Weathers.

La nuova Randy è interpretata da Jasmin Savoy Brown (Yellowjackets, The Leftovers). Durante un siparietto meta tipico di Scream, è lei a spiegarci come oggi esista un fandom tossico dalle “infanzie rovinate”, pronto a scattare qualora si vada a mettere le mani attorno ai paradigmi dei loro film di culto. Non è solo meta-riflessione, ma una vera e propria anticipazione del movente. Il tema è contemporaneo, ma è anche figlio delle motivazioni della maggior parte dei killer dei film precedenti: fanatismo nerd, misoginia, voglia di fama.

ORRORE E PANICO MORALE

Alla fine quello di cui quasi tutti gli Scream parlano è la messa in scena di ciò che il satanic panic ipotizza sul metal, i giochi di ruolo, i videogame e i film dell’orrore: che possano indurre i giovani a commettere atti violenti e criminali. Negli Scream si moltiplicano gli schermi all’infinito in una spirale in cui i personaggi ammazzano per replicare i film, ma i loro delitti diventano a loro volta altri film dell’orrore che influenzeranno nuovi crimini.

La saga di Scream non è meta solo nella sua satira sull’horror, ma lo è anche nella sua satira dei media e del rapporto che con essi abbiamo. Nell’era dei social e delle vite in diretta, è importante ricordare come certe riflessioni non siano nate oggi, perché il mondo che viviamo non è apparso all’improvviso. La celebrity culture viene esplorata da Scream fin dai suoi albori. Riguardandolo, mi colpisce una battuta del secondo capitolo, del 1997. La pronuncia Mrs Loomis, una dei due killer, associatasi per l’occasione con lo studente di cinema “tarantiniano” Mickey.

UN MOVENTE MOLTO ANNI ’90

Gettata la maschera, Mrs Loomis dice a Sidney: «Mickey was a good boy, but my God! That whole "Blame-the-movies" motive? Did you buy that for one second?». E poi continua: «My motive isn't as 90's as Mickey's. Mine is just good, old-fashioned revenge». Quello che oggi può venire scambiato per un movente molto contemporaneo, è figlio del “movente molto anni ’90” dei giovani assassini dell’originale e dei suoi sequel, a cui faceva eccezione il movente fuori moda di Mrs Loomis.

Scream parlava di influencer culture quando non si chiamava ancora così. Ne è un esempio l'intero quarto capitolo, ma anche la storia di Cotton, sviluppata soprattutto nel secondo: la celebrità è l’unica ricompensa possibile per essere stato condannato ingiustamente per il primo omicidio della serie, quello della madre di Sidney. C’è poi Gale a rappresentare i media, disposti a tutto per portare la cronaca diretta del massacro in corso. D’altra parte, gli anni ’90 sono quelli in cui potevamo assistere all’inseguimento di O.J. Simpson live in televisione.

 

Ma ci sono anche diversi ragazzini con le videocamere in mano, sparsi per i film della saga, tant’è che è quasi una scelta di rottura non darne una ai killer del 2022. D’altra parte, rifacendosi al primo, questo film a esso rimane aderente anche nei particolari – Billy e Stu non filmavano nulla. L’aggiunta contemporanea è quella del personaggio da culture war su internet, il maschio bianco cis-etero che vuole “rettificare” tutto quello che secondo lui va contro i valori con cui è cresciuto. Ma in fondo è l’aggiornamento di Billy e Stu, come sarebbero se fossero nati vent’anni più tardi.

IL WHODUNIT DI SCREAM

La nuova Randy ci dice che «Stab movies are meta slasher whodunit», e non c’è davvero niente da aggiungere. Meta in ogni modo possibile, slasher senza ombra di dubbio, sono anche dei gialli (whodunit) il cui meccanismo di continuo depistaggio, creazione e ribaltamento delle aspettative è uno degli aspetti più significativi del divertimento.

L’identità dell’assassino ha sempre fatto parte del gioco meta dei film, con un primo capitolo in cui Randy e il montaggio stesso non hanno fatto altro che indicare Billy Loomis come il killer, in una maniera talmente insistita che il colpo di scena è che sia per davvero lui. Questo meccanismo viene in parte ricalcato nel nuovo Scream, che infatti si avvicina a essere un remake del primo per la precisione con cui ne segue i passaggi conclusivi.

BENVENUTI NEL TERZO ATTO

La scelta dell’accoppiata di killer è però il punto più debole del giallo nel nuovo Scream, perché il collegamento tra i due è talmente nascosto da farli risultare male assortiti al momento della rivelazione. È il prezzo da pagare per non farceli scoprire subito. Infatti, solo a Billy e Stu è stato concesso il privilegio di essere pubblicamente affiatatissimi, quando ancora non conoscevamo il format a due killer dell’intera saga (con un asterisco sul terzo capitolo).

 

I nuovi colpevoli sono il rifacimento esatto di Stu e Billy, ma questa volta si tratta apertamente di una coppia romantica; un sottotesto che è stato ipotizzato nel caso degli assassini originali, ma mai reso esplicito.

Mentre in Scream 4 le vere protagoniste erano ancora Sidney e Gale, in Scream 5 sono soltanto dei camei ambulanti. Non si può dire lo stesso per quanto riguarda Dewey (Linus in italiano), che in questo capitolo ci lascia definitivamente le penne. È il sacrificio umano per consacrare la nuova saga, e fa supporre che la stessa sorte potrebbe attendere almeno Gale, se non la stessa Sidney.

IPOTESI PER IL FUTURO

Se ci sarà un sequel, me lo immagino molto “Meet the Parents”, i grandi assenti di questo capitolo. Più volte menzionati, sono la madre alcolista delle due ragazze e il loro padre scomparso alla scoperta della terribile verità sulla genealogia di Sam (ma sarà vivo?).

 

Lo snodo di Sam offre spunti ancora da esplorare: la nuova Sidney è la figlia di Billy, nonché la nipote di Mrs Loomis. Discende da una dinastia di serial killer, e su questo la saga potrà a lungo giocare. Sam è psicotica, vede Billy riflesso negli specchi in CGI e compie uno degli omicidi più belli nel massacro finale.

La giovane Tara esce da questo film traumatizzata nel corpo e nello spirito. Le due sorelle non solo hanno davanti a loro un lungo percorso di emancipazione da quello che hanno subito, ma sono entrambe passibili di cedere al lato oscuro della forza di Scream, cioè la furia omicida. Saranno ottime sospettate nei sequel.

 

Gli Scream sono in larga parte la storia del trauma delle sue eroine, e queste nuove protagoniste ne dovranno elaborarne una quantità mostruosa nei prossimi capitoli – sperando che ci siano davvero.

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