La guerra dei Tom
Da un lato Tom King, un ex agente CIA con l'ossessione per la psicanalisi e l'elaborazione del PTSD; dall'altro Tom Taylor, australiano pacioccone under tutto cuore, mazzate ed esplosioni: chi vincerà?
Hai presente quel cliché del tizio che si ritrova sulle spalle un angelo e un diavolo, pronti a darsele di santa ragione pur di conquistare il favore del malcapitato? Ecco, quello sono io quando leggo i fumetti. Solo che ultimamente al posto dell’angelo e del diavolo ci sono due tizi bianchi caucasici, sulla quarantina, pochi capelli e giusto un po’ di barbetta. Entrambi dicono di chiamarsi Tom, ed entrambi dicono che quello lì, quell’altro Tom, di fumetti non ci capisce una beneamata mazza. Ma il vero problema è che secondo me hanno ragione tutti e due.
Sì perché ormai Tom King e Tom Taylor sono due autori imprescindibili del fumetto americano, adulati e corteggiati sia dalla Marvel che dalla DC per la loro capacità di reinterpretare, con copiosa arguzia, personaggi ormai noti e arcinoti. Il primo ha firmato degli instant classic contemporanei, dalla maxiserie su Visione, parte delle fondamenta anche della serie tv WandaVision, fino alla run di Batman nell’epoca Rebirth della DC, passando per un rischiosissimo ritorno su Rorschach, anche lì con una maxiserie.
Il secondo è il demiurgo di operazioni come Injustice, un colossale what-if in salsa DC legato al gioco di mazzate firmato Ed Boon (aka Mr. Mortal Kombat), DCeased, tipo Marvel Zombies ma molto più figa, e la run su All-New Wolverine, con X-23 che entra ufficialmente nei panni di papà Logan. Insomma, spesso si sono mossi negli stessi recinti, ma con risultati e sensibilità che mai potrebbero essere più agli antipodi. E a guardar bene, si capisce anche il perché.
Partiamo da Tom King, born in the USA, uno che ha fatto lo stagista sia alla DC che alla Marvel, uno che ha fatto l’assistente di Chris Claremont e che dopo l’11 settembre si infila nei ranghi della CIA come agente dell’unità di intelligence per il controterrorismo, con tanto di missioni sul campo in Iraq. Una carriera interrotta dal suo romanzo, A Once Crowded Sky, che racconta di un mondo in cui tutti i supereroi restano senza poteri, costretti a reinventarsi una vita da normali e fallibili esseri umani.
Un romanzo che chiaramente è un fumetto senza disegni, pensato quasi come un biglietto da visita da mostrare ai capoccioni dell’editoria fumettara ammeregana e dire: look on my works, ye mighty, and despair! Alla DC lo prendono abbastanza in parola, e gli affidano un lavoro su misura, ovvero gestire il passaggio di Dick Grayson da Nightwing ad agente segreto per la Spyral, una serie che ha cementato la classe di un artista come Mikel Janin resa ancora più credibile proprio dal background di King come ex-spia. Vita vera che si è fatta strada anche in The Sheriff of Baghdad, dove l’autore celebra un altro grande sodalizio artistico, quello con Mitch Gerads.
Appena un anno dopo, nel 2016, sia Janin che Gerads si ritrovano ad essere le colonne portanti della sua run di Batman, affidatagli da DC Comics per il rilancio editoriale di Rinascita. E poi ancora, Lanterna Verde con gli Omega Men, Mister Miracle, Heroes in Crisis, Strange Adventures, Rorschach e il recente The Human Target.
Ad accomunare questo pout-pourri di personaggi e situazioni, in un viaggio continuo tra realtà e finzione, tra esperienze personali e pura fantasia, c’è la ferma volontà di fare psicoanalisi. E attenzione, lo dico con lo stesso tono dell’immenso Remo Remotti-Freud in Sogni D’Oro di Nanni Moretti, quando parlando al telefono con Jung esclama: “Qui si fa autoanalisi, Gustav, AU-TO-A-NA-LI-SI!”. Una analisi che scava nel profondo per elaborare il trauma e le sue conseguenze, elementi che nel King-verso sono il motore che move il sole e l’altre stelle.
Trauma che, per carità, è alla base della genesi di molti dei personaggi incappucciati che tanto amiamo. Ma che in molti casi è poco più di un topos, perché in fondo è difficile trovare motivi validi per salvare il mondo se prima di tutto non cerchi di salvare te stesso.
Ecco allora che Batman mica deve fare i conti solo con la morte dei genitori. Ma anche col pensiero che fin da piccolo lo tormenta, l’aver sfiorato il suicidio, la ricerca quotidiana di una motivazione valida per andare avanti con la sua crociata anziché farla finita una volta per tutte.
Ecco che Mister Miracle, bizzarro personaggio come i tanti partoriti da Jack Kirby nel suo Quarto Mondo, diventa una dolorosa storia di lotta alla depressione, che qui prende il nome e la forma del terrificante Darkseid. Ecco che in Heroes in Crisis anche i supereroi hanno bisogno di un luogo sicuro, Sanctuary di nome e di fatto, dove elaborare quei traumi così pesanti che un normale essere umano sarebbe stato facilmente spazzato via dal dolore.
Un esercizio di stile, potrebbe dire qualcuno, che non sempre risulta facilmente digeribile, non certo a una prima lettura.
Mi è personalmente capitato con Mister Miracle, che ha richiesto lentezza e diversi ripassi, così come con la run di Batman, che al primo approccio mi aveva sinceramente confuso le idee. Il perché è ovvio: quello che scrive Tom King non è roba da fast-food e il payoff, se e quando c’è, arriva a tempo debito e colpisce sempre come una martellata in petto.
In fondo uno che è uscito vivo dall’Iraq, che sa cosa sia il PTSD, che probabilmente ha vissuto sulla sua pelle molti di quei demoni, non poteva fare altrimenti. E scegliere di farlo attraverso il fumetto, utilizzando calzamaglie e mascherine come cavallo di Troia, ci avvicina ancora di più questi uomini e queste donne apparentemente invincibili ma in fondo fragili forse anche più di noi.
Ma magari questa roba non vi interessa. Magari volete le mazzate, le esplosioni, le punchline epiche.
Ed è per questo che esiste l’altro Tom, il signor Taylor. Che per carità, nella land down under dalla quale proviene ci sono ragni di 17 metri in grado di ucciderti con lo sguardo, ma che non è certo stato al fronte. E che con quella sua coppola infeltrita e la faccia pacioccona lo capisci subito che è uno che si diverte. E vuole far divertire. Riuscendo prima di tutto a dare potere e potenza a quelle storie che di norma avremmo tutti guardato con un po’ di sufficienza.
Prendiamo Injustice: Gods Among Us, videogioco firmato da quel matto scriteriato di Ed Boon che vede gli eroi e i cattivoni DC darsele di santa ragione, in una terra parallela in cui Superman, ingannato dal Joker, ha sbroccato di brutto e si è autoeletto leader di una dispotica dittatura planetaria. Un videogioco a cui fa da prequel (e non solo) il fumettone scritto proprio da Taylor, che da prodotto digital-only è poi passato alla carta, diventando un’opera di culto. Non c’è da urlare al miracolo sul comparto artistico, affidato forse a troppe mani, ma in termini di identità la storia è gustosamente esagerata, in grado di rispondere agli infiniti “what if” dei fan della DC Comics, con un design dei personaggi ben distinguibili dalle altre mille interpretazioni di questi eroi.
E poi, ancora DCeased, che a prima vista potrebbe sembrare un clone di Marvel Zombies e invece è un ottovolante che viaggia a tremila orari, con Taylor che anche qui si diverte a sconvolgere e pervertire i personaggi che conosciamo, invitandoci a leggere tutto d’un fiato con un bel po’ di pop-corn a portata di mano.
Attenzione: se è vero che Tom Taylor ama divertirsi, spingendo l’acceleratore sull’autostrada del bombastico, questo non fa certo di lui un autore di maniera. Anzi, dietro questa esplosività si cela un grandissimo cuore, emerso via via nei lavori che la DC ha poi deciso di affidargli.
Prendiamo ad esempio la Suicide Squad che Taylor ha tirato su con le fantastiche matite di Bruno Redondo. Si tratta di un team che rappresenta il mondo che ci circonda, diverso nel senso di diversity, certo, ma anche in termini di caratterizzazione, con anti-eroi empatici e spinti da pulsioni che vanno ben oltre la semplice “cattiveria”, anche e soprattutto quando si tratta di commettere azioni immorali. Il tutto mescolando alla perfezione le giuste dosi di azione e risate. Mica cotica.
“Le persone spesso dimenticano il potere dei fumetti - ha detto in un’intervista al Sydney Morning Herald -. Spesso mi capita di piangere: sono lì che scrivo e a volte le lacrime mi cascano sulla pagina”. Un cuore che oggi lo ha portato a scrivere un Nightwing in stato di grazia, sempre con Bruno Redondo, a una miniserie su Batman con le matite di sua maestà Andy Kubert e a Dark Knights of Steel, che strizza l’occhio al fantasy medioevale con un elseword da smascello.
E a prendere anche le redini del nuovo Superman, Jon Kent, battezzato volutamente come “Il Superuomo del 21esimo secolo”, in virtù anche della sua bisessualità, che come prevedibile ha scandalizzato i soliti (pochi) noti, ma anche delle sua partecipazione a battaglie come quella sul cambiamento climatico, contro la quale anche un kryptoniano può fare ben poco da solo.
Insomma, l’avrete capito: tra i due Tom la guerra è solo negli occhi di chi vuole attaccare briga. E non bisogna davvero scegliere, perché in questo meraviglioso mondo di mutandoni rossi e orecchie appuntite c’è spazio per tutti, c’è un tempo per esorcizzare i traumi e un tempo per far saltare tutto in aria, ridendo di gusto. E forse le due cose sono molto più legate tra loro di quanto si possa pensare.
Mantelli è un progetto nato per amore dei supereroi e delle loro mitologie.
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