

Bojack Horseman e il feticismo del disagio
Perché ci piace così tanto una storia piena di tristezza e momenti miserabili? Forse abbiamo sviluppato un certo gusto per la malinconia
Perché ci piace così tanto una storia piena di tristezza e momenti miserabili? Forse abbiamo sviluppato un certo gusto per la malinconia
Bjoack Horseman è oggi uno dei motivi più sensati per sottoscrivere un abbonamento a Netflix, è una storia scritta benissimo, ricca di dialoghi spettacolari, personaggi che hanno una propria evoluzione e riesce quasi sempre a mantenere un buon equilibrio tra la commedia e drama. I fan delle etichette lo definirebbero appunto un dramedy, drama+comedy.
Per chi fosse completamente a digiuno, parliamo di un cartone animato pensato per gli adulti ambientato in un mondo in cui uomini e animali antropomorfi convivo come se niente fosse, anche se i secondi conservano alcuni tratti della loro bestialità. Gli uccelli volano, i pesci vivono sott’acqua, un cane avrà un buon fiuto e una gatta-manager terrà sulla scrivania un tiragraffi e sarà affascinata da una pallina di carta.
Il protagonista è appunto Bokack Horseman, un attore-cavallo che ha vissuto il picco di fama negli anni ’90 nell’era delle sticom con le risate registrate. Oggi sopravvive tra una sbronza, una sveltina con una vecchia fan e la commiserazione, cercando di rimettere costantemente in piedi vita e carriera.
Nel corso delle varie puntate Bojack affronta temi pesantissimi come la depressione, l’autodistruzione, gli istinti suicidi, il bisogno di conferma attraverso gli altri, l’aborto, l’autocommiserazione, la fuga dalle responsabilità e questo solo per fare un elenco con le prime cose che mi vengono in mente.
Tanto per fare un esempio, nella quarta stagione è andata in onda una potentissima puntata che ha mostrato perfettamente come funziona la mente di un depresso, cosa ci dice quella vocina che alcuni di noi sentono dentro, quella che ti ricorda che fai schifo, che non ce la farai mai, che probabilmente sarebbe meglio per tutti se ti lanciassi da un cavalcavia, che sei capace solo di danneggiare gli altri.
Se non l’avete mai sentita buon per voi.
Guardare una puntata di Bojack Horseman dunque è una sorta di terapia di gruppo con personaggi immaginari in cui vengono messi sul piatto i lati peggiori del nostro carattere, delle nostre vite e del mondo che stiamo vivendo. Gli spettatori lo sanno e si aspettano esattamente questo dallo show, così come guardando Black Mirror ci si aspetta di assistere ai peggiori abusi a sfondo tecnologico e guardando un horror ci si aspetta di spaventarsi.
Il problema non sta nel fatto che milioni di persone lo guardino, lo commentino e lo giudichino un prodotto di valore dal punto di vista artistico. Il problema è che ci piace perché va a toccare una delle mode più deleterie degli ultimi anni: il feticismo del disagio.
Quante volte vi capita di leggere di gente che si lamenta, che parla di depressione, scarsa sopportabilità degli altri, la misantropia come valore, la noia come vanto, lo stare male come status? Bojack Horseman non fa altro che stuzzicare tutto ciò, lo guardiamo perché è deprimente, perché i suoi protagonisti passano da un’infelicità all’altra, da un’insoddisfazione all’altra con rari sprazzi di belle giornate, come noi. Ci piace perché in fondo ci piace vantarci di quanto la nostra vita sia un casino.
Intendiamoci, è bellissimo che alcuni temi come la depressione siano apertamente affrontati, perché una rappresentazione di ciò che senti ti fa sentire meno stupido e forse non è tutta colpa nostra se parliamo di “disagio” come se fosse un cocktail.
Il mondo in questi anni è diventato sempre più incasinato: è difficile trovare un lavoro che ti permetta di non arrivare con ansia a fine mese, è difficile relazionarsi con gli altri senza usare una chat, è tosta trovare il tempo per non stare tutto il tempo di fronte a uno schermo di qualunque tipo e quindi visto che non potevamo migliorare il mondo abbiamo scelto di rendere un valore le cose che non possiamo cambiare. Il bing watching è una medaglia al valore, isolarsi è da fighi, sputare su tutto ancora di più, non siamo egoisti, semplicemente ci difendiamo.
Non è colpa nostra, ce lo ripetiamo di continuo, come se lo ripete Bojack, solo che quando lo fai lui sappiamo che non è così.
E quindi lo guardiamo, condividiamo le sue frasi, condividiamo il suo stato d’animo, lo vediamo come parte di noi e un po’ ci fa piacere, quando invece dovremmo inorridire, ci piace la sua sofferenza, un po' perché è la nostra, un po' perché non siamo noi, per una volta. Il problema è che così facendo normalizziamo cioè non dovrebbe essere normale, rendiamo cool e accettabile ciò che non dovrebbe esserlo.
Bojack Horseman è un prodotto perfetto per questi tempi è giusto che ci piaccia, ma non è un bel segno.