

Kenji Eno, un passo avanti a tutti
Il ricordo di uno dei personaggi più singolari della scena videoludica giapponese, tra horror bizzarri e giochi accessibili ai non vedenti.
Dagli albori dell’industria, il medium videoludico ha potuto (e speriamo continui) pregiarsi di personalità che hanno gettato le basi per una continua e costante evoluzione: Roberta Williams, il duo Romero-Carmack, Hideo Kojima solo per nominarne alcuni tra i più famosi. Altre personalità, invece, non hanno goduto di una notorietà planetaria. Intendiamoci: non gente caduta nel dimenticatoio e costretta nel peggiore dei casi ad abbandonare l’industria videoludica per riuscire a guadagnarsi la pagnotta, ma personaggi che grazie al loro estro e alla loro, personalissima, concezione di videogioco sono entrati nel cuore di una ristretta fetta di pubblico, esattamente come i più classici giocatori di culto della Serie A degli anni 90. Uno dei miei preferiti è Kenji Eno.

Eno nasce come compositore di musiche per i videogiochi (curiosamente porta lo stesso cognome di un altro musicista e personale mito adolescenziale, Brian Eno) ma non disdegna il ruolo di Game Designer, contribuendo al delirante ‘’Panic Restaurant’’ per NES.
Nel 1994 arriva una svolta: decide di fondare una sua Software House, la WARP.
Nel giro di pochi anni, la WARP svilupperà la trilogia Survival Horror “D” : “D”,“Enemy Zero” e ‘’D2’’, tutti e 3 usciti sulle console di casa Sega, il Saturn e il Dreamcast. (solo il primo “D” fece un’apparizione anche su 3DO e Ps1).
Tre giochi bizzarri, a cominciare dalle rispettive trame: nel primo “D” la nostra protagonista, Laura Harris, andrà alla ricerca del padre, che in un momento di follia ha sterminato un intero ospedale e si nascosto dentro un lugubre castello.
In “Enemy Zero”, Laura Lewis deve sopravvivere all’interno di una Nave spaziale invasa da dei nemici invisibili, individuabili solo attraverso i suoni che emettono.
Infine, in “D2” (questa trama è la preferita di chi scrive) Laura Parton sopravvive a un incidente aereo, orchestrato da una specie di Aum Shinrikyō. Risvegliatasi in mezzo alla neve e isolata dal mondo, Laura dovrà scoprire perché gli altri sopravvissuti all’incidente aereo si stanno trasformando in mostri che ricordano delle piante.

I tre giochi, nonostante siano una trilogia, non presentano alcuna correlazione, eccetto per il personaggio di Laura.
Laura non è nemmeno lo stesso personaggio posto in epoche diverse(chi ha giocato o conosce la trilogia di Echo Night potrebbe aver compreso) bensì la stessa “attrice digitale”. Esattamente come nel cinema, dove ogni attore interpreta sempre ruoli diversi ma rimanendo “riconoscibile” al pubblico, Eno fece la stessa cosa con “Laura”: stesso volto, stesse caratteristiche ma ogni volta in ambienti differenti.
Lo stesso fattore cinematografico fu estremamente rilevante nelle produzioni di Eno. Tutti e tre i giochi, infatti, presentano un gameplay ridotto all’osso, preferendogli uno stile che predilige gli FMV e il racconto della storia.
Un’evoluzione del genere “Visual Novel”, che in Giappone è assai diffuso, mentre da noi è praticamente semi-sconosciuto(la trilogia stessa, infatti, godrà di un buon successo in Giappone). Una delle più famose e influenti del genere Visual Novel è ‘’Kamaitachi no Yoru’’, arrivata da noi con il titolo di ‘’Banshee's Last Cry’’

Kenji Eno fu pionieristico anche nel concetto stesso di accessibilità del medium videoludico.
Tra “Enemy Zero” che è del 1996, e “D2” che è del 1999, Eno venne a sapere che alcuni suoi fan non vedenti avevano apprezzato tantissimo i suoi giochi. Incuriosito da ciò, Eno visitò alcuni di questi fan e rimase colpito dall’impegno che ci mettevano nel giocare, nonostante tutto.
Parafrasando la splendida intervista che rilasciò a 1UP nel 2008, Eno decise di creare un gioco che fosse apprezzabile da tutti, a prescindere da ciò che appare sullo schermo. Di conseguenza nel 1997 uscì, per il Sega Saturn, “Real Sound: Kaze no Regret”. Prima ho citato il genere delle “Visual Novel”: il genere pone parecchia enfasi sui dialoghi e sul racconto, mentre sullo schermo si alternano fondali che fanno riferimento agli avvenimenti del gioco.
Eno tolse quest’ultimo aspetto del genere, scegliendo come fondali delle immagini assolutamente non inerenti alla storia. Forse, più che di “Visual Novel” si dovrebbe parlare “Audio-Drama Game”.

Una schiera di giochi interessanti, come interessanti, quasi mitologici, sono gli aneddoti che lo riguardano: si dice che abbia ideato lui il logo del Dreamcast ma soprattutto si racconta che fu l’autore di uno dei più grandi “scherzi” mai fatti alla Sony.
Torniamo per un momento alla trilogia “D”. Come ho già specificato, solo il primo capitolo approdò sulla prima Playstation. Ma nei piani iniziali, anche Enemy Zero doveva sbarcare sulla console di casa Sony, ma Eno decise di no. Il “come” è stratosferico.
Nel 1996 circa, il trailer di “Enemy Zero” viene mostrato durante una presentazione della Sony. Il trailer finisce. Appare il logo della Playstation. Tempo 3 secondi, il logo cambia forma, trasformandosi in quello del Sega Saturn. La stampa giapponese rimane di stucco. Un silenzio glaciale viene interrotto solo da Kenji Eno, che inizia a sfottere la Sony.
Un gesto del genere, paragonabile forse solo a Messi che segna il gol vittoria all’ultimo secondo al Bernabeu mostrando la maglia ai tifosi del Real Madrid, fu una conseguenza per la pessima produzione che Sony riservò alla versione ps1 di “D”.
Un gesto così punk che fa sorgere dei dubbi sull’autenticità. Ma autentici sono i rapporti che Eno aveva con altre personalità del settore. Ebbe modo di lavorare con un giovane Fumito Ueda(che lavorò come animatore per Enemy Zero) e c’è anche una meravigliosa foto che lo ritrae in compagnia di Hideo Kojima.

In un universo alternativo, questi due hanno rilasciato una console propria, realizzato almeno 5 videogiochi di successo, fatto vincere un Mondiale al Giappone e salvato il genere umano dall’arrivo di Cthulhu.
Chissà cosa si dissero, se si sono confrontati sulle rispettive opere oppure se si sono scambiati consigli reciproci. Non lo sapremo mai, come non sapremo mai il suo pensiero riguardo le nuove tecnologie che il videogioco non smette mai di mostrarci. Purtroppo Kenji Eno si spense il 20 Febbraio 2013, lasciandoci in eredità un’attitudine punk che meriterebbe di essere riscoperta.