Io vengo a seppellire Carlo Vanzina, non a lodarlo
I Vanzina sono sempre stati accomunati al peggior cinema d'intrattenimento italiano, ma solo perché erano bravissimi a leggere la società che avevano attorno
Sono convinto che Carlo Vanzina abbia avuto nel corso della sua carriera uno di quei momenti in stile Renè Ferretti in cui ti guardi indietro e pensi “Mamma mia la monnezza che ho fatto”, o forse non è successo mai, perché alla fine se riesci a surfare per così tanto tempo sulla cresta della commedia pop sviluppi inevitabilmente degli anticorpi.
D’altronde quando la critica ti schifa e il botteghino ti premia dopo un po’ la realtà tende a sfumare i suoi contorni per lasciare il passo a una scritta megalitica con una parola ben precisa: Sticazzi.
Negare che nella loro produzione ci sia tanta roba brutta, pensata, girata e recitata con sciatteria sarebbe miope e degno di quei coccodrilli provocatori che stanno uscendo a poche ore dalla morte. Allo stesso modo, disconoscere la capacità dei Vanzina di fotografare un certo tipo di Italia che oggi non c’è più (così come non c’è più quella fotografata dal padre e dai neorealisti) sarebbe miope.
Un errore che normalmente si fa con i Vanzina e confonderli con Neri Parenti. È una distinzione importante perché come confondere Predator con Predators. Parenti ha sempre fatto solo commedie di grana grossa, partendo dai seguiti sempre più imbarazzanti di Fantozzi (solo i primi due sono di Salce, e si vede) per puntare sempre più al ribasso. è lui quello delle gag sulla merda, del “mamma mia che dolore!”, della commedia slapstick, dei vari “Natale in…” ed è lui che ha lentamente trascinato sempre più in basso la produzione dei famigerati cinepanettoni, sempre più ridicoli, sempre uguali, ma quasi sempre campioni di incasso. Mentre i Vanzina puntavano sul gusto agrodolce di amori vacanzieri e coppie male assortite Parenti cercava nuove onomatopee per le scorregge.
I percorsi artistici dei Vanzina e di Parenti si sono spesso incrociati, a volte con risultati orribili, altre volte meno, e anche i Vanzina hanno girato e prodotto robaccia, ma la differenza c’è. Ci sarebbe anche da distinguere l’operato di Carlo Vanzina, regista, da quello del fratello sceneggiatore, ma in un sodalizio artistico di questo tipo è francamente difficile tracciare un confine.
Un errore che normalmente si fa con i Vanzina e confonderli con Neri Parenti.
Un altro errore comune è pensare che i Vanzina abbiano fatto solo film comici, basta analizzare anche solo sommariamente la loro carriera per capire che non è così. Senza dubbio la componente umoristica c’è, permette al duo di far decollare la propria carriera ed è preponderante, ma all’inizio tutto questo era un modo per seguire i passi del padre Steno: c’era la voglia di raccontare i vizi, le virtù, le furbizie e le idiosincrasie degli italiani, ridendone e facendoli ridere.
Tuttavia non mancano incursioni nel giallo, nel noir politico economico, nelle storie commedie romantiche. Pensiamo a Sotto il vestito niente, Tre Colonne in Cronaca, Miliardi, Amarsi un po’. Sono tentativi, alcune volte ammirevoli, altri meno, di scrollarsi di dosso l’aderenza al solo genere comico, tentativi che andranno avanti per tutta la carriera con prodotti tipo Squillo, Il pranzo della domenica, Squillo, Torno indietro e cambio vita, Questo piccolo grande amore. Tentativi che, a giudicare quanto il loro nome sia ancora associato solo ai cinepanettoni, non hanno funzionato molto.
Ecco forse proprio questa commedia romantica involontariamente trash con Raul Bova segna una linea di demarcazione del periodo peggiore dei Vanzina, quello che inizia coi primi anni ‘90 e vede il susseguirsi di prodotti comici sempre più stantii, beceri e vecchi (ma perfettamente funzionali alla logica del botteghino). Selvaggi, A Spasso nel tempo, Banzai, a cui si affianca nel 2000 un’operazione di recupero dei vecchi classici con i seguiti di Febbre da Cavallo, Sotto il vestito niente, Sapore di Mare, Eccezzziunale veramente, il Monnezza, Vacanze di Natale. Una fase nostalgica che anticipa con grande intelligenza la moda del ritorno che in questi anni si è fatta sempre più preponderante. Ma d'altronde il nostalgismo era già presente in Sapore di Mare, che si rifaceva il periodo mitico de La Capannina e degli anni '60.
Insomma, i Vanzina erano più avanti di Stranger Things.
https://www.youtube.com/watch?v=HRUcJJTC5eg
Un altro punto in cui sono stati assolutamente visionari e l’utilizzo di talenti comici lontani dalla televisione che poi diventavano vere e proprie star. Quando nel 1980 girano “Arrivano i Gatti” lanciano sul grande schermo i Gatti di Vicolo Miracoli, ovvero Gianandrea Gazzola, Spray Mallaby, Umberto Smaila, Nini Salerno, Jerry Calà e Franco Oppini (a cui spesso si aggiungerà un talentuoso tecnico delle luci chiamato Diego Abatantuono). Questo tipo di operazione altro non è che la versione anni ‘80 di quando oggi un gruppo di talenti o un personaggio della rete, tipo i The Jackal, i The Pills o Frank Matano diventa protagonista di un film comico.
Al netto della qualità i Vanzina hanno sempre avuto un fortissimo intuito nel capire le persone, le potenzialità e il loro pubblico. Fin dalle prime produzioni la loro cifra stilistica si è sempre basata su alcuni punti fermi fondamentali che poi hanno fatto scuola: il racconto della borghesia rampante degli anni ‘80/’90, Nord vs Sud, polentoni vs terroni, padri contro i figli, famiglie complicate, il lusso come obiettivo, la furbizia come mezzo. Ma sopratutto la vacanza come genere narrativo tipico degli italiani, perennemente divisi tra Ferragosti e Settimane Bianche, In maniera molto meno raffinata i Vanzina non facevano altro che proseguire la tradizione tutta italiana di ridere amaramente dei nostri difetti, ma con una leggerezza decisamente maggiore, figlia dei tempi.
Sarebbe eccessivo e francamente fin troppo apocalittico accusare i Vanzina di un eventuale declino culturale, visto che non sono una onlus e nessuno obbligava il pubblico a riempire le sale, ma è indubbia la loro capacità di anticipare, seguire e influenzare la società italiana.
Una dote che forse si spiega con il loro essere squisitamente pop, intesa proprio come Pop Art. Se analizziamo i loro film, soprattutto la produzione iniziale, lo stile registico è quello di un videoclip, le canzoni sono e saranno sempre quelle in cima alle classifiche del momento (ancora mi rimbalza in testa Scatman usato nell’apertura di Selvaggi), i marchi sono ostentati, le inquadrature super patinate, soprattutto se si racconta la Milano da Bere.
Erano incredibilmente contemporanei e questo è anche il motivo per cui rivedere oggi i loro film è una sfida abbastanza tosta, tutto appare estremamente datato, salvo alcuni innegabili tocchi di classe, come il finale di Sapore di Mare o le battute di Guido Nicheli.
Così come la società consumistica degli anni ‘50 faceva sia da cornice che da musa per tutti gli artisti della Pop Art, i quali riuscirono a trasformare in arte ogni singolo aspetto di quel mondo che, quotidianamente, veniva sempre più invaso dai mass media che sarebbero diventati padroni incontrastati della società contemporanea, così i Vanzina guardavano, elaboravano e producevano ciò che li circondava tra gli '80 e i '90. Ma come spesso accade lo scambio era duplice, perché inquadravano nel tormetone e nel personaggio vizi e virtù che si amplificavano e diventavano maschere proprio grazie a loro.
Carlo lo ha fatto nel suo debutto, Luna di Miele in tre del 1976, in cui cavalcando la liberazione sessuale si parlava di riviste per soli uomini come PlayMen e compariva persino un pornoattore, e ha continuato a farlo fino agli ultimi film che parlano di crisi, vecchi amici che si ritrovano, politici corrotti e ovviamente le vacanze, possibilmente nel passato, la versione vanziniana di un universo ormai mitico, arcadico e idealizzato in cui il loro spettatore tipo, invecchiato con loro, ritrova sé stesso.