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Il segreto di Liberato - Dove l'oggettività va a morire

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Il segreto di Liberato è il film che porta al cinema la storia dell'artista napoletano che ha rivoluzionato la scena della musica italiana, tra origin story, documentario e anime.

Liberato lo incontro musicalmente all’indomani di Tu t’è scurdat' 'e me.

Erano anni in cui la musica indi italiana acquisiva, per me, una consapevolezza maggiore: la maturità generazionale che incontrava i canali di comunicazione che poi sarebbero divenuti tipici, un retroterra comune in cui far attecchire un dialogo tra autore e ascoltatore, insomma qualcosa che non avremmo faticato a definire “nostro” completamente differente dalla musica dei nostri padri.

Non posso mai ricordare che anno fosse, romanticamente facciamo risalire tutto al 2017, nonostante fosse poco prima o poco dopo, alla fine è davvero importante ai fini del racconto? No.

Ecco, c’erano Calcutta, Carl Brave, Franco126, che restano sempre i miei favoriti che mi hanno tirato dentro quella scena lì e sono le esperienze che accumulo intorno al 2018 che mi portano definitivamente lì, in quel luogo dell’anima dove non sei solo ad ascoltare qualcuno che parla di qualcosa, ma siete in molti a condividere la banalità delle esperienze, dei gesti, delle emozioni, trasportate in musica. Niente di straordinario, musicalmente, ma generazionale, quello sì. Voglio essere chiaro su questo, quella preparata musicalmente è mia sorella.

E poi c’è Liberato, che era quella cosa là, però diversa.

All’epoca, non frequentavo tantissimo Napoli.

Una volta finito il liceo, le mie escursioni per il sistema universitario mi avevano deluso molto. Nel 2009 Napoli non era così, il centro storico non era come è adesso, ma nemmeno come era 3 anni fa, prima del terzo scudetto.
La questione del tempo, la questione dei luoghi che cambiano e che forse restano un po’ uguali, da qualche parte, è fondamentale.
C’era una volta Nennella nei quartieri, che era il ristorante degli studenti fuori sede. Di poco a lato c’era una signora che spacciava, o meglio, un paniere che veniva calato da una finestra che fungeva da avveniristico distributore automatico di sostanze.

Sui tavoli traballanti di Nennella un gruppo di ragazzi ad un tavolo di fianco chiudeva una canna facendo cadere le ciospe sul piatto di pasta e patate. Il nostro tavolo invece traballava talmente tanto da rovesciare la bottiglia di vino rosso, rigorosamente no name, della casa.

Ora Nennella è un franchising acchiappaturisti. Io non ci sono più andato da allora. Ma se dovessi ricordare quanto tempo fa fosse “allora”, non lo so dire, ma sono certo che le ciospe, il vino della casa, la pasta e patete sono migrate al di là del nome che diventa brand.

Altre cose sono cambiate, a Napoli.

Qualcuno potrebbe tirare in mezzo la gentrificazione, la turistificazione, la cucina fusion, i ragazzi che sono diversi da come eravamo ragazzi noi. Il Napoli che vince lo scudetto e la sua inesorabile caduta dalla grazia… Ma sarebbe essere ingiusti e imparziali,

Napoli è un luogo che ha una memoria che persiste incollata ai muri e le cose non sono poi tanto cambiate, o almeno, restano le stesse come fantasmi che infestano una casa, alcuni che da bambini ci fanno paura, altri che ci fanno paura da adulti. Ecco, crescendo, più che cambiare, questi si invertono.

Liberato quindi “arriva” quando deve arrivare. È una manifestazione dello spirito del tempo che unisce e sintetizza queste anime che vivono sospese tra il vecchio e il nuovo, della musica popolare e dell’elettronica, è un flusso che attraversa il tempo, più che lo spazio. Esiste da sempre ma si incarna in un frangente specifico quando il mondo è disposto ad accoglierlo.

L’anonimato di Liberato favorisce questa condizione di apparizione. Senza un nome a cui collegarlo prima della sua manifestazione, Liberato non esiste. Liberato sceglie, consapevolmente, quando venire al mondo. Il suo cappuccio è come il velo di Maya che separa gli individui (che ascoltano) dalla conoscenza della realtà (l'identità del cantante) attraverso una manifestazione ed è conoscibile attraverso i sensi, relegando la musica e le performance ad una condizione di controllo estremo da parte dell'autore che così diventa "fenomeno", letteralmente "fainòmenon" "che appare" e che non è legato all'oggettività.

Per questo Liberato è un discorso che è inevitabilmente musicale, ma di cui la musica è solo un aspetto, il che mi permette di parlarne anche a me, che di musica capisco un cazzo.

Liberato esiste sul piano musicale, tanto sul piano della comunicazione, quanto sul piano mitologico, metatestuale e cinematografico, adesso, ennesimo strumento col quale sceglie di manifestare se stesso al mondo. Tramite l’occhio di Francesco Lettieri, ancora una volta, e i disegni di LRNZ, splendidi, in chat da me definito come “lo studio Trigger italiano” anche se va più in là, specie per il gusto propriamente suo di fusione dei colori, nei panneggi dei cieli, nella rappresentazione di un naturale discordante dall’artificiale, pur parlando lo stesso linguaggio di sintesi, nel contrapporre linee curve e dritte, e il solito gusto squisito nella dimensione fisica della luce.

Il film mi è piaciuto tantissimo.

Ma lo avreste dovuto capire perché, in pratica, non scrivo più se non di cose che mi piacciono moltissimo o mi toccano particolarmente. La vita è così avara di tempo che non vale la pena di comunicare qualcosa che sia diverso dall’amore.

Il segreto di Liberato unisce documentario e animazione in montaggio alternato dove si incontrano due piani temporali, il “presente” documentaristico allo stesso modo è l’ulteriore montaggio del backstage degli eventi dell’ultimo tour del 2023 culminato con le date di Piazza Plebiscito ad una retrospettiva che mette in sequenza gli eventi della sua ascesa al livello di fenomeno di culto.

La parte animata invece è un più classico racconto di formazione se non per l'intuizione di accostare lo stile "anime" sviluppato da LRNZ nel corso della sua carriera (quando lo facciamo uscire questo secondo volume di Geist Maschine?) a Napoli, accentuando il valore della città di essere crocevia di tempi e luoghi lontanissimi.

Entrambe le linee del film hanno la funzione di raccontare una "origin story" per il personaggio Liberato.

Potrebbe essere tutto vero o tutto falso, ma allo stato attuale è davvero così importante? Come la questione dell’anonimato, no, certo che non è importante. Il film è l’ennesimo strumento scelto dall’artista per raccontare se stesso e riesce con una naturalezza sconvolgente nel formato del documentario, come se la commissione di finzione e realtà è tale al punto da non voler sapere dove inizia una e finisce l’altra e diventa "canone": se accettiamo che il mondo sensibile che percepiamo è vero allora Liberato e la storia raccontata dal film sono vere, soprattutto perché le sensazioni che ci provoca lo sono.

Francesco Lettieri presta il suo occhio dal talento cristallino nel dare una forma corporea, tangibile, al talento di Liberato: il valore non è tanto nel fatto che a schermo potrebbe esserci davvero lui, ma che potrebbe totalmente non esserci, ma assume valore di verità nel momento in cui credi che quello che vedi sia vero.

E attraverso Liberato contribuire alla ricostruzione del Mito del Mediterraneo attraverso le facce delle persone, le facciata dei palazzi che costituiscono i muri della città; Lettieri è un maestro nella composizione dell’immagine, nel raccontare di un mondo sospeso.

Il segreto di Liberato è una collezione di immagini potentissime a cui per me è impossibile non cedere.

È la struggente bellezza dell’imperfezione di un mondo caotico che è possibile ed esiste solo in virtù delle sue contrapposizioni: giovani e vecchi, nuovo e antico, bello e brutto, il Napoli del 22/23 e il Napoli del 23/24.
Liberato tiene dentro tutto perché parla a tutti, comunica a livello subliminale, è emozionale più che musicale, proprio in virtù di quella regola secondo la quale la vera opera d'arte è quella cosa che non agisce sul mondo fisico ma interviene sulla sensibilità dell'individuo, classificandolo come il più grande artista napoletano vivente.

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