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Hawkeye, anteprima della serie tv sul lato umano degli Avengers

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Un po' buddy cop, un po' film di Natale, Hawkeye arriva su Disney + con tutta la dimensione umana di un supereroe che non ha più voglia di esserlo

Se è vero che ogni storia del Marvel Cinematic Universe è la stessa storia declinata in base a un genere di riferimento, Hawkeye si posiziona a metà tra il film natalizio e un buddy movie in cui si mescolano il rapporto discepolo, anzi, discepola-maestro e il bisogno di tramandare qualcosa cercando di comprendere il portato delle proprie azioni.

 

Il tutto è ispirato in maniera più o meno palese al bellissimo e premiatissimo lavoro fatto da Matt Fraction e David Aja sul volume "Vita normale" che porta lo stesso nome e che mi sento di consigliarvi se, una volta finita la serie, volete che il racconto e le sue atmosfere restino con voi un altro po’ di tempo. Da queste storie arrivano alcuni degli antagonisti, qualche scena e ovviamente Pizza Dog, ovvero il cane che accompagna Clint Barton e Kate Bishop.

Hwakeye arriva probabilmente al momento giusto se tutto questo ribollire di multiversi e possibilità iniziava a mettervi un po’ d’ansia o ad annoiarvi perché rispetto alle atmosfere fuori dall’ordinario di Loki, alla scala galattica degli Eterni e agli intrecci di Spider-Man: No Way Home è un racconto molto più intimo e raccolto che se ne frega abbastanza di tutto il resto, un po’ come faceva anche The Falcon and The Winter Soldier ma senza il carico di doversi confrontare con la figura di Steve Rogers.

 

Per adesso ho visto solo due puntate, quindi prendete queste parole come una sorta di anteprima lunga, ma quanto visto mi ha soddisfatto, nel senso che avrei serenamente voluto guardare altre puntate e il merito è senza dubbio di Jeremy Renner e Hailee Steinfeld e del rapporto che sono in grado di creare. Tuttavia, sarei ingiusto se negassi il fatto che dal mio punto di vista l’aspetto più interessante dell’operazione è Renner e le sue capacità umane.

Hawkeye è un supereroe un po’ strano, perché di fatto è un essere umano tra semidei. Certo, lo è anche Vedova Nera, ma le sue capacità spionistiche e la maggiore versatilità la posizionano in qualche modo una tacca sopra, se non altro nell’MCU, dove invece Clint Barton è visto come un uomo di famiglia particolarmente bravo con l’arco, ma soprattutto un uomo.

 

Questa sensazione è amplificata nella serie, in cui Barton mostra tutte le cicatrici e le menomazioni, sia interiori che esteriori, di una vita passata a combattere minacce ultraterrene. Allo stesso tempo però ci viene finalmente restituita anche la sua dimensione più supereroistica, collocandolo nell’archetipo del tizio tranquillo a cui non devi cacare il cazzo che anche nelle situazioni più disperate sembra sempre nel pieno controllo della situazione, un po’come James Bond.

Che, insomma, Barton è stato anche Ronin, mica solo un padre di famiglia.

Tutto questo è possibile solo grazie alle espressioni e all’empatia generata da Renner, che riesce in un attimo a passare da quello che abbassa gli occhi ricordando la paura di affrontare gente come Thanos all’inchiodarti con uno sguardo di ghiaccio perché hai superato il confine.

 

Gli fa da contraltare una Kate Bishop pensata, come nel fumetto, per esserne un po’ il suo specchio. Là dove Clint è un eroe del popolo che si schernisce per un pranzo offerto in onore dei suoi trascorsi, Kate è ricca, viziata e con la sfrontatezza tipica di chi tutto sommato ha sempre vissuto nell’agio. Là dove Clint è il veterano attento a non correre rischi, Kate è la nuova arrivata che si caccia nei guai sull’onda dell’entusiasmo e dell’emulazione.

 

Ma ovviamente non è solo questo: neanche troppo tra le righe del personaggio si percepisce il suo essere, come molte donne, una “overachiver”, ovvero una persona che per sentirsi in pace con sé stessa, al passo con gli uomini e con la sua malcelata insicurezza deve sempre essere la prima in tutto, sia per quello che pensa di sé ma soprattutto per ciò che vorrebbe gli altri pensassero di lei. Questo senza contare il trauma lasciato su di lei dallo scontro coni Chitauri del primo film sugli Avenger.

Questo la rende un personaggio femminile con cui è facile empatizzare, senza contare le capacità della Steinfeld di essere ironica e simpatica senza sfociare nel ridicolo. Inoltre, Kate è anche una incredibile fangirl di Hawkeye, quindi è anche il tramite emotivo degli spettatori verso l’emozione di lavorare al fianco del tuo idolo, che, come spesso accade quando incontriamo qualcuno che stimiamo troppo, non sempre è all’altezza delle aspettative.

 

Ecco, dunque, che il rapporto tra i due è si quello tra discepola e maestro ma è anche uno scambio in cui se da una parte Clint è pronto a cedere lo scettro, anzi l’arco, per andare avanti dall’altra Kate può smussare gli spigoli di un uomo schivo e incapace di vedere in sé stesso l’esempio che è stato nei confronti degli altri.

 

Tutto questo all’interno di un racconto che mi è parso confezionato con la consueta cura, in cui l’umorismo Marvel c’è, ma si posiziona senza dare troppo fastidio, anche nei momenti più assurdi del secondo episodio. La storia di per sé deve ancora svilupparsi del tutto, c’è da capire cosa inserirà nel racconto l’antagonista principale, cioè il Clown, che ancora non si è visto, così come Echo, su cui è già in lavorazione una serie, e lo spadaccino.

Ecco, se devo trovare un difetto, o almeno i primi segni di un difetto, in Hawkeye è che mi sembra ci sia tanta carne al fuoco e ho paura che nel poco spazio concesso si rischi, come accade spesso in questi casi, di correre troppo e buttare nel mucchio un po’ troppa roba. In fondo parliamo di sei puntate da 45 minuti, che possono sembrare tante, ma già due se ne vanno per apparecchiare il resto della storia.

Per adesso tuttavia godiamoci la dimensione umana e cittadina di una storia che, finita la seconda puntata, mi ha fatto dire “uffa, ne volevo di più”.

 

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