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Godzilla 2: King of the Monsters - senza umani era meglio

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Il nuovo film del Monsterverse di Legendary offre tutta la potenza visiva del caso, ma il lato umano è troppo debole per fare da contraltare alla bellezza dei kaiju

La prima cosa da dire per levarsi il dente è che Godzilla 2: King of the Monsters è un film in cui gli umani fanno danni molto più grandi dei kaiju, visto che cercando in tutti i modi di distruggere la trama e l’epica con un continuo susseguirsi di spiegoni e dialoghi che dovrebbero raccontare ciò che è successo o ciò che succederà.

Evidentemente in fase di scrittura qualcuno ha avuto una paura fottuta che l’introduzione di Mothra, Rodan e King Ghidorah potesse spaventare lo spettatore meno avvezzo alle avventure di Godzilla, quindi ha pensato bene di inserire frasi come “Adesso dobbiamo aiutare Godzilla”, “Ora dobbiamo andare là a fare questa cosa”, “Lui è cattivo e distruggerà la città”, “I mostri non sono mostri ma servono per questo motivo”.

A un certo punto uno degli antagonisti usa persino una presentazione con dei video esplicativi per mostrare il suo piano e verso la fine il personaggio Charles Dance semplicemente sparisce, forse imbarazzato per l'inutilità dimostrata per tutto il film.

L’unico lato interessante degli umani è la palese differenza tra giapponesi e americani. Se i primi rispettano, ammirano e sono disposti al sacrificio pur di capire e aiutare i kaiju, nei secondi regnano le battutine, l’approccio spaccone, l’aggressività. In questo, pur essendo una produzione americana, gli autori hanno compreso la grande distanza tra le due culture:  un occidentale ti racconterà di come ha ucciso il drago, un orientale di parlerà dei sentimenti del drago. 

La seconda cosa da dire è che per fortuna tutto questo non intacca neanche un po’ la potenza visiva dei mostri che comunicano a suon di botte, ruggiti e, nel caso di Godzilla, una sorprendente mimica di sopracciglia che ci fa sempre capire le sue emozioni. Ecco, se c’è una cosa che mi ha stupito particolarmente di questo film è la capacità espressiva e mimica dei kaiju, una scelta in grado di trasmettermi tutte le emozioni che il lato umano e il suo trascurabile dramma familiare non riuscivano a darmi.

Il fatto che io mi trovassi più a mio agio con lucertole alte sessanta piani rispetto al genere umano non mi stupisce più di tanto. Ma in fondo, è anche totalmente sensato: immaginate di avere di fronte a voi uno scontro tra i due più grandi pugili della storia, sareste realmente interessati a capire le emozioni delle formiche che si muovono ai bordi del ring?

La ricetta essenziale di un film di Godzilla prevede alcuni passaggi obbligati: i mostri devono essere enormi e inarrestabili, devono avere un vantaggio palese che va al di là di ogni risorsa tecnologica, almeno all’inizio, e ci dev’essere una forte metafora che li accompagna. Lo abbiamo visto in questi giorni: i kaiju, nella loro sostanza originale, da sempre sono sostanzialmente gigantesche allegorie semoventi che ci parlano di incubi nucleari, compassione, redenzione, morte e sacrificio. Sono esseri più complessi del semplice drago gigante che spacca palazzi, ma devono funzionare come se fossero solo dei draghi giganti che spaccano palazzi.

Sotto questo punto di vista King of the Monsters centra l’obiettivo, pur non arrivando neanche vicino al dramma burocratico di Shin Godzilla. Lo fa mostrandoci non una sola idea di potere incontrastato, ma due: Godzilla e Ghidorah sono gli archetipi della natura e dell’industrializzazione forzata. Da una parte abbiamo letteralmente una forza della natura che agisce seguendo un complesso equilibrio con tutte le specie viventi, dall’altra un mostro alieno che lancia fulmini e vive dentro una tempesta continua, che ci ricorda da una parte gli sbalzi metereologici del cambiamento climatico e dall’altra lo smog.

Godzilla vuole conservare uno status quo naturale, Ghidorah vuole dominare e sovvertire quelle stesse regole. Son due alfa, non possono coesistere, non c’è alcuna trattativa o punto di equilibrio. La sopravvivenza di una idea prevede automaticamente la morte dell'altra. Una filosofia senza dubbio figlia dei tempi che stiamo vivendo.

Ai rispettivi angoli di questo gigantesco ring che è la Terra troviamo Mothra, che conserva i tratti di coraggio, benevolenza e sacrificio che sono tipici del personaggio originale, ma che potevano essere espressi meglio, mentre dall’altra parte c’è un Rodan che sorprendentemente resta malvagio fino all’ultimo e, con la sua nascita da un vulcano, rappresenta il concetto stesso di cataclisma naturale, ma forse quello che più di tutti appare semplicemente come uno pterodattilo gigante e basta.

Sì ok, ma le botte?” vi starete chiedendo giustamente voi e la risposta è che le botte ci sono e sono spettacolari. Se Gareth Edwards nel film precedente procedeva col contagocce, mostrandoci Godzilla e i M.U.T.O. attraverso scorci fugaci che alimentavano il nostro bisogno di uno scontro finale in cui tutto fosse finalmente palese sullo schermo, qua invece gli occhi sono costantemente bombardati di bestie grosse che urlano, distruggono, volano, picchiano e fanno ciò che devono fare.

Ci sono frangenti che ricordano proprio il gusto vagamento da luchador dei vecchi kaiju-ega a base di tutone in gomma che rischiavano di ucciderti, con mostri schiantati contro i palazzi e lo scenario che diventa parte della lotta, mostri che arrancano, che esultano e che si avvinghiano.

 E se da una parte tutto ciò e è bellissimo e rende perfettamente onore ai soggetti, dall’altra si vede che Michael Dougherty non è Edwards, o meglio, non ha lo stesso direttore della fotografia. 

Al di là di alcune spettacolari intuizioni visive, come l'associare le creature a determinate colorazioni in perenne lotta tra di loro, l'uso della luce, Ghidorah sul vulcano, il suo costante presentarsi come un’ombra terribile tra le nubi, i campi larghi degli scontri con Godzilla, l’ottima gestione degli spazi nello scontro finale, manca la capacità visiva del predecessore. Alcune inquadrature sono confuse e vorrebbero darci l’idea della dimensione dei mostri, ma restano solo scene confuse.  Si sente la carenza di quel guizzo visivo pazzerello da video arte che elevava il tutto un gradino più in alto, di una costruzione che osi qualcosa di più del mostrarci un bestione a tutto schermo che fa il bestione. 

Parlo di momenti come il lancio HALO del film precedente o tutte quelle follie colorate che salvavano Kong: Skull Island dall’essere un film totalmente vuoto.

Intendiamoci, va tutto benissimo, ma nelle mani giuste avremmo avuto dei momenti totalmente folli che avrebbe portato King of Monsters oltre le soglie del film spaccatutto, momenti che il trailer ci aveva fatto assaporare con quel misto di distruzione e Over the rainbow strumentale.

Ci restano soltanto, per modo di dire, alcuni bellissimi istanti che mi hanno fatto battere il cuore. Parlo dell’inevitabile caduta del Re, la sua resurrezione e le citazioni sparse qua là, tra cui il tema musicale, la bomba Oxygen Destroyer ripresa dal film del ’54 e il rimando al Burning Godzilla di Godzilla vs Destoroya. Là mi sono realmente emozionato, ho avvertito con forza la presenza di un personaggio che amo, trattato col rispetto che merita e in grado di esprimere il suo potenziale.

Godzilla 2: King of the Monsters ci offre il paradosso di una umanità che non riesce assolutamente ad emozionare, persa com’è nelle sue beghe e in storie che hanno poco senso, al contrario, mostri giganteschi e archetipici, veri protagonisti in grado di trasmettere sensazioni primordiali e fortissime. Loro portano tutto sulle spalle e per fortuna è un peso che possono sopportare in un film imperfetto in cui tutto ciò più piccolo di un palazzo non merita la vostra attenzione. Questo inevitabilmente sbilancia il film, che in alcuni momenti ha bisogno di una sospensione dell'incredulità... beh, mostruosa.

E adesso vediamo chi la spunta al prossimo confronto fra gentiluomini tra Godzilla e Kong, anche se sospetto che ci sarà una terza minaccia a fargli unire le forze.

Questo articolo fa parte della Core Story dedicata a Godzilla.

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