Game of Thrones 8 - la battaglia della terza puntata
Buio, guerra, morte, destini e simbologie che si intrecciano nell'intensa battaglia che ha caratterizzato la terza puntata, scatenando un forte dibattito
Āeksios Ōño, ilōn misās! Queste le parole che sanciscono uno dei momenti più intensi in una puntata di Game of Thrones in cui l'intensità non è certo mancata. Melisandre guarda le trincee ghiacciate che non prendono fuoco, i morti avanzano, la sua voce prima solenne diventa una supplica, gli occhi si bagnano e improvvisamente le fiamme illuminano il profilo di Grande Inverno.
Melisandre è senza dubbio uno dei personaggi chiave di questa puntata, l'archetipo della magia che arriva "al momento giusto" come direbbe Gandalf, ma è un archetipo rivisto secondo le logiche moderne. Melisandre fino ad oggi ha inseguito profezie che non erano chiare e che ha cercato di interpretare al meglio, ha sbagliato più volte nell'identificare il suo prescelto, pur tenendo ben saldo lo sguardo sul quadro generale. La sua è una magia coerente col contesto della serie, non ha una verità in tasca, ma cambia e si adatta in base al momento.
Uomini e topoi
Parlando di archetipi, la puntata ne è così piena che traboccano. Il più essenziale è senza dubbio la lotta tra fuoco e buio. Il fuoco è stata la nostra prima risorsa, quella che ci ha permesso di evolverci e di avere meno paura di ciò che c'era fuori dalla nostra caverna, ma sotto sotto siamo sempre quelle scimmie erette che nell'oscurità collocano le paure ancestrali. Il fuoco è stata la nostra prima magia, quella che all'inizio della puntata dà speranza nella carica dothraki. Vederli spegnere come tanti fiammiferi nel silenzio ci riporta alle nostre angosce, all'ineluttabile fine che attende il nostro fuoco interiore: la morte.
Di fronte a essa siamo impauriti e soli, come un ragazzo storpio, simbolo di tutta la memoria del mondo, che attende la fine, attorniato sì da chi vuole difenderlo, ma alla fine quando si muore si muore soli.
Tutto questo è esaltato da una fotografia giocata sui toni del chiaroscuro, luci naturali, controluce infuocati, rosso e nero, morte e vita. Ogni momento in cui la scena si illumina rappresenta una speranza per l'umanità di fronte a un nemico che vuole la notte eterna. Mi ha ricordato molto l'incipit di Excalibur, ma anche i suoi scontri finali, con sprazzi di Frazetta, soprattutto momenti in cui i personaggi si ergono su pile di corpi menando fendenti. Una scelta decisamente poco televisiva, perché mai come in questo caso avrei voluto uno schermo grande come una parete e una qualità superiore al video compresso di Sky Go che fa più pixel di un Commodore 64.
Una decisione ardita, forse persino troppo considerando i supporti dove molti finiscono per guardare queste serie, difficile da codificare per un pubblico abituato a una fotografia più semplice e supporti (e piattaforme) che di certo non valorizzano la messa in scena.
Dove invece si rasenta la perfezione è nel commento sonoro di Rami Djawadi, compositore che è ormai una certezza, che confeziona un accompagnamento in cui si mescolano echi militareschi, ritmi ossessivi e temi della serie per creare il necessario mix di ansia, tristezza e attesa, lasciando anche spazio a momenti di orribile silenzio.
Ma torniamo agli archetipi, c'è un altro grande tema: l'assedio. Alamo, Il nemico alle porte, Gondor. il foss di Helm (scomodato forse in un eccesso di sicurezza). L'assedio è da sempre fonte di gesta eroiche ed eroiche sconfitte, ma invece di un poema epico lo scontro ci mostra con una carrellata dall'alto ciò che siamo: un brulicare di corpi che lottano, muoiono e urlano. Una guerra sporca, antieroica, fatta di errori grossolani, dove la comunicazione è un problema e alla fine ti limiti a colpire tutto ciò che trovi. Perché in fondo la tattica (anche quella migliore, che di certo non abita qua) è di fatto condannata a fallire fin da subito, perché ogni strategia fallisce di fronte alla morte. È la guerra vista con l'occhio di chi non la glorifica, raccontata nel cinema più puro: quello che parla poco e mostra tanto.
Ad alcuni personaggi è richiesto poi un ulteriore sforzo di incarnazione epica: Jorah, simbolo ultimo di sacrificio e adempimento del proprio dovere, a cui sono concesse inquadrature degne di un poema epico. La piccola Lyanna, simbolo attualissimo di femminismo e rivoluzione che urla tutta la sua rabbia a un gigante che la schiaccia, ma che commette l'errore di sottovalutarla e ne viene annientata. Theon uno dei tanti esempi di evoluzione tipica di Game of Thrones: fedele, sbruffone, traditore, punito e redento. Un personaggio che ha sempre pagato col suo corpo ogni scelta, senza mai chiedere la nostra simpatia e che alla fine ha avuto più palle di quelle che gli erano rimaste.
Tutti gli altri, esclusa Arya, ma ci torniamo dopo, si limitano a fare ciò che devono fare, combattendo, grugnendo e rischiando di morire continuamente. Mentre nelle Cripte si rinsalda un legame tra Sansa e Tyrion che potrebbe riservarci delle sorprese in futuro. Particolarmente goffo, ancora, il rapporto tra Daenerys e Jon, che continua a essere artefatto e posticcio rispetto all'umanità degli altri. Di certo l'espressione di Jon, che sembra sempre non ricordare se ha chiuso il gas, non aiuta.
Onestamente non credo che Jon sia un personaggio "inutile", perché nel corso di questi anni ha unito popoli che si odiavano, raccolto informazioni sugli estranei ed è un bel simbolo di uomo schiacciato dal peso delle responsabilità. Ma la speranza è che i due amanti adesso diventino nemici, perché è evidente che forse così potranno diventare più interessanti, alimentando il messaggio di come il potere sia di fatto una ossessione che tutto consuma.
Tragedia in tre atti
La puntata può essere riassunta in tre atti principali, che a loro volta si smontano in sequenze interne che alternano speranza e sconfitta. In quella iniziale troviamo le mosse iniziali dello scontro, nella seconda ci si concentra su Arya e nella terza la panoramica di allarga nuovamente per mostrarci le cripte, ancora lotta, ancora draghi, gli spettacolari momenti dei morti che cadono dal cielo e infine l'epilogo.
Senza voler fare paragoni con altre battaglie eccellenti, cioè che rende veramente particolare The Long Night è proprio questo cambio di tono, questo continuo oscillare che spezza la narrazione classica delle battaglie campali, con i buono che subiscono fino all'arrivo salvifico dei rinforzi. Qua rinforzi non ce ne sono e la vittoria arriverà solo dopo un cammino fatidico.
In uno spazio che sembra enorme per una serie TV trovano casa molte sequenze complesse che mescolano linguaggi differenti: ampie inquadrature d'insieme, combattimenti coreografati, piani sequenza, primi piani horror, composizioni quasi pittoriche, ritmi accelerati e attese, piccole vittorie e grandi sconfitte.
Dal punto di vista narrativo alcuni momenti sono più riusciti di altri ed è evidente il bisogno di gestire i draghi e limitarne l'effetto, senza compromettere la spettacolarità. Creature così potenti sono come i cellulari negli horror: devi trovare il modo di annullarli e la tempesta di ghiaccio ha proprio questo obiettivo: depotenziare l'arma più potente sul campo, ma lasciando ampio spazio a momenti di puro lirismo, come la vista delle creature sopra le nuvole o la loro maestosa potenza nell'incenerire le truppe di terra.
In molti hanno criticato le scelte tattiche dell’esercito umano e sulla carte certe decisioni sono obiettivamente prive di senso. Tuttavia è bene ricordare che anche la lodatissima Battaglia dei Bastardi non fu un capolavoro di strategia (a salvare la situazione ci pensarono Sansa e Ditocorto) e che in definitiva le scelte, per quanto stridenti, si sono dovute piegare alla rappresentazione e ai messaggi che bisognava veicolare. In fondo, se voglio guardarmi tattiche degne di Scipione, c’è History Channel. Quanto la vittima sale le scale in un horror sappiamo benissimo che è una scelta sbagliata, ma tutto è funzionale alla narrazione. Se le tattiche sbagliate mi portano a una scena come quella dei Dothraki o delle trincee in fiamme allora sono disposto a sopportare un acume militare degno di un bambino alla prima partita di Risiko. (Ovviamente sono scelte, chi vuole storcere la bocca è liberissimo di farlo).
Continuando la carrellata di alti e bassi, il ritorno in vita dei caduti è spettacolare, il piano sequenza di Jon parte bene, per poi diventare una partita a Dragon's Lair in cui un vecchio amante dei videogiochi può quasi vedere i comandi da impartire per tenerlo in vita, il salvataggio di Arya è un piccola chicca horror e in generale l'effetto "orda" degli estranei è perfetto, brutale, una forza contro cui le tecniche di combattimento più raffinate sembrano inutili. Alcune cose si potevano fare meglio? Forse sì e su internet si è già scatenata la gara a come andava risolta questa o quella scena. Tuttavia è bene tenere presente che certe scelte, per quanto possano piacerci, magari rischiano di non essere in linea col tono dell'opera e col disegno generale degli autori e che se fanno qualcosa che non ci piace non vuol dire che stanno automaticamente sbagliando.
Autori che però non sembrano aver ben chiaro cosa fare con i propri personaggi piu saggi. Tyrion e Varys dopo l’allontanamento dai libri sono stati messi da parte in favore delle figure centrali. I loro consigli sono sempre meno utili e sensati e questo si riflette col tempo trascorso sullo schermo, magari ci stupiranno nel finale, ma tra guerrieri e regnanti cocciuti sono diventsti figure minori. Forse cc' un messaggio in tutto questo. Lo stesso vale per Melisandre che, per quanto centrale, sembra aver gettato alle ortiche molte delle profezie su Azor Ahai, visto che Arya, per quanto centrale, arriva un po’ a sorpresa. La sua morte sembra piu un modo per eliminare un personaggio adesso inutile che una decisione dal raggiungmeragg di un obiettivo. Anche Bran, con la morte del suo nemico, sembra un po’ in balia del "e adesso?", senza contare che durante lo scontro i suoi corvi non paiono aver fornito particolari informazioni.
A girl has no name.
Arriviamo al finale. C'è chi è rimasto deluso dalla fine degli estranei, che erano visti, forse per sbaglio, come il vero e unico nemico. Ma GOT è sempre stato diviso su due fronti, uno interno e uno esterno, politica e magia. Gli estranei erano un po' come Cartagine per Roma, erano un altro pretendente al potere che adesso è stato sconfitto e ovviamente la battaglia porterà con sé dei contraccolpi logistici nello scontro con Cersei.
C'è da sciogliere la questione sul Re del Nord, capire se i draghi sono fisicamente in grado di combattere, vedere cosa farà Bronn con quella balestra. È vero che questa battaglia ha incredibilmente lasciato in vita molta gente che era a un passo dalla morte con la famigerata "plot armor" (ovvero: sei invulnerabile finché servi), ma bisogna ancora capire cosa ci attende. Nonostante le poche morti c'è stato comunque un forte coinvolgimento emotivo, anche se c'è l'impressione che Martin forse sarebbe stato più crudele.
È invece molto da Martin l'idea, maturata tre stagioni fa, di togliere all'eroe predestinato il momento migliore, il suo amore per perdenti, storpi e personaggi traumatizzati si concretizza nel mettere Arya al centro della scena, concedendole il colpo finale. Un colpo coerente col suo percorso, preconizzato dalla schermaglia con Brienne, con un’arma simbolica, che ha causato la guerra iniziale ed è passata di mano in mano fino a infilarsi nel corpo del Re della Notte.
A salvarci dalla morte non sarà un profetico predestinato, a cui non resta altro che urlare la sua inutilità di fronte a un drago, non sarà neppure la regina che guarda solo il Trono, non saranno l'intelligenza di Tyrion o il valore degli altri eroi. Dovrà pensarci una ragazza che ha perso tutto, che ha cambiato faccia, che conosce la morte e non la teme, che nonostante il suo cinismo è ancora abbastanza giovane da non rassegnarsi di fronte all'impossibile. Unpersonaggio il cui fato è stato costruito su una serie di indizi che adesso si uniscono come quei disegni che vengono fuori quando colleghi i puntini. Un arsenale di pistole di Chekhov nascoste in bella vista.
E adesso si torna alla politica, alla dimensione umana, ai colpi bassi e alla sete di potere, alla decadenza che arriva quando manca un nemico comune, in una lotta umana, una sete di potere in cui spesso manca la consapevolezza che il vero nemico è il potere stesso.
Questo articolo fa parte della Core Story dedicata a Game of Thrones