Fotoromanzo: la storia e il ritorno del fumetto fotografico
Il fotoromanzo torna in edicola: una "arte sequenziale" un tempo di enorme successo. Ne parliamo con Urfaut, autore che opera anche su queste tematiche.
Si è molto parlato, di recente, del ritorno in edicola di “Sogno”, storica rivista del fotoromanzo italiano. Il fotoromanzo infatti è una forma d’arte nata in Italia, quando nel 1947 si aprirono le prime riviste di questo genere con Bolero Film, diretto da Cesare Zavattini, che vi scrisse numerose storie assieme a Luciano Pedrocchi, fratello di Federico, tra i più importanti autori del primo fumetto italiano (autore di “Saturno contro la Terra” su soggetto di Zavattini).
Nel 1945 era rinata la Domenica del Corriere, riccamente illustrata, con direttore effettivo un annoiato Indro Montanelli, che voleva di più, e “direttore ombra” Dino Buzzati, esperto di cultura visiva e di fumetto. Nel 1946 era sorta Grand Hotel, che inizialmente era però interamente disegnata. Sempre nel 1947 sorse anche la rivista “Sogno”, uscita poco prima di quella di Zavattini, che è appunto la testata oggi riedita. Tra gli autori, anche la scrittrice di romanzi rosa Luciana Peverelli, all’epoca molto affermata (che, dopo gli esordi a fine anni ’20, nel 1933 era stata la direttrice già del “Monello”, rivista a fumetti). Gina Lollobrigida avrebbe esordito sulla rivista come Giana Loris, come attrice appunto di fotoromanzi. Una copertina di “Sogno” del 1950, con Sophia Loren in copertina, è invece oggi esposta al MOMA di New York, a riprova dell’importanza di questa forma d’arte.
Anche Dario Argento lavorò per un periodo nella redazione di “Sogno” (nel 1950, anche Grand Hotel passa al fotografico, segnandone la preminenza ormai raggiunta).
Il fotoromanzo negli anni ‘50
DC e PCI guardavano in questo periodo in modo ambiguo a tali nuove forme espressive. Da un lato c’era la spinta censoria verso un media privo di controllo politico, che subì meccanismi censori analoghi a quelli del fumetto (e ancor più del cinema). Dall’altro, entrambi i partiti utilizzarono fumetto e fotoromanzo nella loro propaganda: gli intellettuali migliori, come Vittorini, ne indagarono le possibilità espressive. Oltre ai fumetti, sul suo Politecnico del 1947 apparvero dei testi assimilabili ai fotoromanzi, a tema d’indagine sociale: e anche all’Einaudi (dove operò dal 1951 al 1958) avrebbe dichiarato di voler pubblicare un romanzo a fumetti o un fotoromanzo, ma non riuscì nell’operazione, precocissima sui tempi.
I fotoromanzi di Grand Hotel appaiono in “Riso Amaro” (1949) di De Santis: la Mangano è fissata col fotoromanzo, e la storia che vive potrebbe essere la torbida trama di una delle sue opere preferite, e a latere se ne tratta anche in “Bellissima” di Visconti, nella fuga di evasione in Cinecittà che partiva per molti dal girone preliminare del fotoromanzo, appunto. Nel 1950 Antonioni realizza un documentario, “L’amorosa menzogna”, sul fotoromanzo, che vince il Nastro d’argento nel 1950. Egli avrebbe poi dovuto dirigere anche “Lo sceicco bianco”, sceneggiatura di Flaiano e Fellini, ma vi rinunciò: e divenne così il primo film a regia di Fellini, disegnatore e appassionato di fumetto, nel 1952. In esso il tema del fotoromanzo è centrale, e per suo tramite Fellini inizia a superare oniricamente il neorealismo. In tempi recenti, il fotoromanzo farà una fugace apparizione anche ne "L'amica geniale", romanzo della Ferrante ambientato negli anni '50.
Il termine per definire questa nuova forma d’arte nasce però solo di lì a poco: “fotoromanzo” si impone nel 1956. In precedenza, si usava talvolta cineromanzo, termine nato nel 1923 per parlare inizialmente di romanzi tratti da film, quelli oggi definiti “novelization”. Dopo il fotoromanzo, il “cineromanzo” in senso proprio diviene un fotoromanzo composto usando fotogrammi di un film. I fotoromanzi vengono diffusi anche oltreoceano, dove attecchiscono soprattutto in Sudamerica, dando origine al fenomeno delle “fotonovelas”. In USA, comunque, il termine per definire il fotoromanzo è “fumetti”, in italiano nel testo: tale forma – che aveva avuto alcune timide anticipazioni negli anni ’20 - si diffonde soprattutto nel fumetto satirico ed umoristico, su Help! e National Lampoon.
In un epoca precedente la televisione (in Italia dal 1954, ma fino al boom non molto diffusa a livello popolare nell’uso domestico) e comunque precedente la video-registrazione (tecnologia del 1975, diffusa in Italia nella seconda metà degli anni ’80), era il miglior modo, imperfetto, per conservare una storia amata sul grande schermo. Ricordo ancora, ad inizio anni ’80, alcuni cineromanzi tratti dai cartoni animati giapponesi, il cui enorme successo aveva spinto a questa forma di adattamento (pur esistendo ovviamente i manga originali, non ancora giunti nell’immediato qui da noi, e comunque privi della seduzione del colore).
Negli anni ’50 i fotoromanzi giungono a un milione e seicentomila copie vendute, che hanno un ruolo determinante nell’alfabetizzazione, specie in un pubblico femminile stando alle ricerche. Anche Liala vi collabora, e il boom economico (1958-1963) ha un ulteriore effetto espansivo con l’arrivo del benessere.
Il fotoromanzo negli anni ‘60
Nel 1962 due autrici, le sorelle Giussani, lanciano una figura che cambia il fumetto italiano, “Diabolik”. Questo ladro gentiluomo (ma spietato), ispirato a Fantomas e una ricca tradizione “nera”, ha un enorme successo anche presso il pubblico femminile, per la presenza del tema sentimentale solitamente assente nel fumetto del tempo, in connessione con Eva Kant ed Altea, ma anche con le tante comprimarie che, non a caso, si guadagnano la quarta di copertina. E nel filone dei “fumetti neri” troveranno un loro spazio anche molti “fotoromanzi neri”, resi ancor più estremi dal fotorealismo dell’immagine. Essi anticipano addirittura Diabolik, con “Malia, i fotoromanzi del brivido”, che risale già al 1961 stando a quanto si rinviene online, o riviste di fotoromanzi neri come “Bang!” (1966) o “Gong” (1967), e i fotoromanzi autonomi con personaggi come il leggendario Killing (1966) o nel meno estremo “Genius” (1966), ma anche testate orrorifiche come Oltretomba gigante, Terror gigante, Il vampiro presenta, Lo scheletro presenta, Jacula, Vampirissimo, I sanguinari.
Gli anni ’70 e i fotoromanzi Lancio
In questo periodo degli anni ‘60 inizia a occuparsi di fotoromanzi anche l’editrice Lancio, fondata dalla famiglia Mercurio nel 1936, ma con altri settori di investimento. I suoi fotoromanzi affiancano al puro tema romantico anche trame di tipo giallistico, forse in un tentativo di allargamento del pubblico. Stando agli appassionati del settore, le loro opere sono quelle di maggior qualità, specie negli anni ’70, identificati con l’età dell’oro del genere. Nel 1975, con la fondazione di LancioStory, la casa editrice inizia a occuparsi anche del fumetto disegnato, portando presso di noi i grandi nomi del fumetto sudamericano, come l’Eternauta di Oesterheld e il Dago di Robin Wood, seguita nel 1977 da Skorpio (titolo dell’omonima rivista sudamericana nata nel 1974). Nel 1968 erano giunte le contestazioni, che vedevano il fotoromanzo come massima espressione della mentalità piccolo borghese, e i conseguenti detournement in chiave politica (con inchieste “a fotoromanzo” sulle questioni sociali aperte) e satirica (negli anni ’70, sul “Male”). Ma queste contestazioni non rallentarono il fotoromanzo.
Nel 1975 viene inoltre pubblicato il primo fotoromanzo interamente a colori, con un anno di anticipo rispetto all’arrivo (tardivo) del TV Color in Italia, diffuso solo nel 1976. In quest’anno i fotoromanzi giungono a vendere oltre otto milioni di copie.
Gli anni ’80-‘90 e il lento declino del medium
La flessione arriva con la seconda metà degli anni ’80, che corrispondono a una profonda trasmutazione dei costumi dell’intrattenimento, in tutti i campi. Le TV berlusconiane, ancora Fininvest, prendono il predominio sull’immaginario, offrendo intrattenimento senza le pruderie necessarie in RAI. Il videoregistratore inoltre consente una differente fruizione dello stesso materiale, permettendo di conservarlo e visionarlo in differita.
I cartoni animati giapponesi trasmessi sulla trimurti privata nazionale (pur con censure, tagli, etc...) e sulla galassia delle tv locali fanno da volano al fumetto manga, anche se inizialmente le prime trasposizioni avvengono tramite trasposizione dei cartoni in “cineromanzi d’animazione”.
Anche il fumetto italiano si rinnova con un fenomeno come Dylan Dog, che ripesca, con raffinatezza postmoderna, molti dei temi proposti in modo ingenuo dai “neri” anni ’50, anche nel fotoromanzo. La fioritura del videogame, sempre più complesso e “narrativo”, sottrae altro spazio ai media preesistenti.
Tra le interrelazioni tra fumetto e fotoromanzo, in questi anni ’80, vi sono anche i fumetti pubblicitari dei giocattoli Mattel e affini: “fumetti” pubblicitari apparsi su Topolino e testate simili, con i giocattoli fotografati in breve storie promozionali. La ragione del medium è evidente: bisogna pubblicizzare al meglio la Barbie o He-Man, non la loro trasposizione fumettata (il sito del Doc Manhattan ne ha riproposti molti, con esilarante commento umoristico-nostalgico).
Il nuovo millennio e la crisi del fotoromanzo commerciale
La crisi però si fa sempre più consistente e nel corso degli anni 2000, e se da un lato arrivano le riscoperte degli appassionati e anche di una nascente critica del medium, si susseguono chiusure e ridimensiomenti. La Lancio chiude nel 2011, ponendo fine alle sue testate; nel 2014 vi è un tentativo di ripresa, ma che non ha buon fine. Il fumetto non ha invece recepito molto questa possibilità in tempi moderni. Tra i precoci esperimenti di fotoromanzo in ambito fumettistico vi è “Nei” di Scozzari, su Frigidaire, negli anni ’80; inserti fotografici cospicui appaiono anche in alcune puntate di Snake Agent di Tamburini, basato principlamente sull’uso di fotocopie di Agente X-9.
Ausonia aveva usato elementi di questa tecnica per P-HPC (1999-2007); Mark Millar nel 2008 aveva ipotizzato il fotoromanzo per il suo “1985”, ipotesi poi scartata; John Byrne invece realizzò un esperimento simile su Star Trek, dal gusto volutamente retrò, con modesto successo (2014). Alcune sequenze in fotoromanzo sono significativamente inserite in "Graphic Novel Is Dead" (2013) di Toffolo, all'interno della riflessione autobiografica del suo duplice ruolo di musicista e fumettista.
Una certa vitalità, sempre marginale, il fotoromanzo la ha ottenuta nel webcomic, quando con la larghezza di banda questa forma divenne possibile. In tale ambito troviamo A softer world (2003), Alien Loves Predator (2004), Night Zero (2007). Nel 2007 il Web Cartoonist's Choice Awards (premio che finisce l’anno successivo, 2001-2008) inserisce la categoria, e premia Ask Dr. Eldritch (2005). Ma anche in questo campo sono opere relativamente periferiche. Un elemento ricorrente è la realizzazione di storie fotografiche con pupazzi (lego, supereroi, etc) che va ad attingere alla nostalgia nerd, in opere che talvolta tendono anche semplicemente verso il meme o comunque la vignettistica a effetto immediato (meme con sequenze "fotografiche", solitamente tratte da scene clou di celebri film che vengono risignificate, sono frequenti all'incirca dal 2010).
Altri webcomics in fotoromanzo sono stati Vladimir Putin Action Comics (2011, Horny King (2012) di Fred Boot, in Francia (con tecnica mista), l’italiano Atom Rocket Comics (2015); The Cos-fighters (2017) di Marcello Cavalli e Carlo Alberto Montori collaborando con Games Academy, che ha cercato di sfruttare l’onda del cosplay. Una presenza costante ma periferica, si direbbe: per paradosso, proprio mentre il fumetto, soprattutto americano, ha fatto spesso ricorso invece anche a un accentuato fotorealismo estremo dei disegni, come nel caso di Alex Ross.
Parte 2. Fotoromanzo e fotografia: un’intervista con Urfaut.
(Urfaut, da "Postcards". Particolare)
Se il fotoromanzo è molto affine al fumetto come “arte sequenziale”, ha anche un forte specifico fotografico. Su questo, ho voluto interpellare un artista, Urfaut, che ha riflettuto spesso su tale tema nella sua opera. Ne è scaturita una interessante conversazione ricca di spunti sul rapporto tra immagine fotografica e arte sequenziale, con cui chiudiamo questo excursus sul medium, ovviamente non esaustivo.
Che rapporto c’è tra fotografia e arte sequenziale, fumettistica o fotografica che sia?
Molto stretto. La fotografia nasce come sequenza: pensiamo ad esempio alle prime forme di fotografia scientifica, come gli studi di Muybridge sulla segmentazione del movimento. Anche il rullino, per dire di un’unità tipica di una lunga fase della fotografia analogica, è una sequenza implicita: il fotografo all’epoca ragionava in termini di rullini, che spesso strutturavano in modo implicito o esplicito una narrazione. Pensiamo al classico servizio matrimoniale del fotografo di provincia, ma anche alla documentazione di un evento. Ma perfino l’album di famiglia usava le foto per formare una sequenza; e in modo magari più colto, anche la mostra d’arte fotografica può avere spesso una valenza sequenziale...
Questa cosa però teoricamente viene meno oggi...
Per l’appunto, una grande crisi della fotografia contemporanea è che oggi questa sequenza viene scardinata. Non è tanto il digitale in sé a produrre questa evoluzione, che al limite dilata la sequenza (al limite la rende meno stringente, meno forte) nel momento in cui è possibile scattare a costo zero un numero elevatissimo di foto. Ma è la sua applicazione alla fotografia su cellulare, in connessione poi al suo uso sui social network, dove il fatto fotografico si perde in un flusso indistinto. Ho iniziato a studiare tra i primi questo ambito (i primi lavori al proposito risalgono al 2003) indagando appunto questo frammentarsi della “narrazione fotografica”.. E questa è una delle trasformazioni centrali del periodo che viviamo, sotto il profilo della civiltà dell’immagine.
Se ci sono, almeno classicamente, molti elementi in comune, ci saranno però anche delle specifiche differenze tra fotografia “classica” e fotoromanzo...
Sicuramente, il fotoromanzo nasce dall’incontro tra i due linguaggi, fotografia e fumetto: nel secondo la sequenzialità è sicuramente più stringente. Rispetto alla sequenza fotografica, il fotoromanzo ha un linguaggio codificato fumettistico, dove la singola immagine/vignetta ha senso nel flusso e molto meno in sé, mentre la fotografia ha strutturato un linguaggio più stratificato, più ricco di significati, di livelli di lettura, cosa che ha reso la fotografia il linguaggio prediletto dei surrealisti. Nel fumetto se vogliamo qualcosa di simile avviene in Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons, che non a caso gioca anche sulla fotografia.
Nella trasformazione odierna, col digitale, e la conseguente fotografia popolare di massa, la forza simbolica del mezzo fotografico si è un po’ andata sfaldando: è l’altro versante della crisi in atto. Il mio campo di interesse è quello di pensare un nuovo linguaggio fotografico, adottando l’iconicità del linguaggio simbolico.
Infine, il fotoromanzo guarda molto all’immaginario del cinema, e ne è quindi condizionato. Ci gioca molto Fellini, ne “Lo sceicco bianco”, che parla dei fotoromanzi e della loro forza, allora, nell’immaginario.
Ci sono dei progetti tra quelli che hai fatto che hanno una valenza narrativa più forte, avvicinabili al fotoromanzo?
Un fotoromanzo proprio non l’ho ancora fatto, è un’ipotesi a cui avevo già pensato, e che non escludo in futuro. Il progetto “Uncle Bob”, nella sua parte fotografica, ha una forte valenza narrativa, mentre il progetto di Photo Blog è invece avvicinabile alla “nuova fotografia del digitale”, in quanto la sequenza è assente, e si recupera invece la valenza simbolica della foto.
Ci può essere ancora un futuro del fotoromanzo, o è un tipo di opera ormai sorpassato?
Faccio una provocazione: l’arte oggi più avvicinabile è quella del videogame, soprattutto quello fortemente narrativo dell’RPG. Chiaramente sono diverse le modalità, ma non l’intensità della fruizione: infatti ai suoi tempi il fotoromanzo aveva la caratteristica della “verità” del fatto fotografico, rispetto al fumetto, mentre rispetto al cinema aveva la possibilità di un fruizione reiterata. Oggi quel tipo di immedesimazione lo dà il videogioco. In qualche modo, nel reinventare quest’arte si dovrebbe guardare lì. Il come, naturalmente, è tutto da pensare.