Final Fantasy IX è bello e io non lo sapevo
Final Fantasy IX compie 23 anni ed è l'occasione giusta per ripercorrere il mistico sentiero dei ricordi e tornare a quei tempi in cui, imberbe, affrontavo il mondo un cd (p*r*t*) alla volta.
Final fantasy IX si affaccia sulle Playstation giapponesi durante la calda estate di inizio millennio, per arrivare in occidente ci impiegherà almeno 6 mesi, per completarlo io di anni ce ne ho messi 23.
Ciò non significa che sia stato lì per 23 anni a martellare sui tasti e a grindare per poter tirare giù Trivia, è che semplicemente per quelli della mia età, Final Fantasy IX era un po’ il figlio di mezzo.
Trattavamo qualsiasi cosa con maggior dignità di quella con la quale trattavamo l’ultimo Final Fantasy uscito sulla prima Playstation, mentre già il vento del cambiamento soffiava in direzione del monolito nero che presto sarebbe arriva a trasformare radicalmente le esperienze di gioco di molti di noi.
Come ogni storia legata alle prime console Sony, è una storia che ho vissuto mezzo di riflesso, mezzo in ritardo, con i tempi miei, con i modi miei, non tutti ortodossi, per quanto siano step consolidati di un certo giocare comune. Metodi che consistono nel passaggio di mano di mazzette di CD copiati infilati dentro lo stessa bustina sulla cui fronte è segnato a colori sgargianti uniposca il titolo del gioco e l’ordine dei CD, 4 questa volta, una quantità che sapeva di importanza.
Senza pirateria o emulazione non sarei qui, e se anche non ruberei mai un’auto, molti scrupoli in gioventù non me li facevo e col senno di poi, considerata la mole di “auto” acquistate, chiacchierate e fatte acquistare da tanti lettori, forse i produttori di quelle auto sarebbero stati contenti del furto, ma stiamo parafrasando.
Final Fantasy IX in ordine arriva per terzo, dopo l’VIII e il VII nel rigoroso disordine nel quale li giocai, senza finirli, su pc. È che nel frattempo mi hanno spiegato che esiste questa specie di magia per la quale si può giocare, tramite un pc, alle console che non hai, e mentre muovevo, per niente timido, i miei primi passi scaricando avidamente blocchi di rom da emulare il GBA, più insicuro procedevo per la Play, per quella avversione a pelle che avevo per la croce direzionale e di conseguenza per il gioco da tastiera. Un consolaro fatto e finito.
Messo allo strette e con quella possibilità di giocare al IX su pc, che poi tanto diverso dagli altri come schema comandi non era, e che non è che richiedesse chissà che prontezza di riflessi e allora andava bene una tastiera per selezionare opzioni da un menu a tendina e pigiare quattro tasti frontali. Ma non era solo questo lo scoglio, se non che la spocchia adolescenziale ci mise lo zampino, con quella sintesi grafica, con quell’ambientazione e il tono naif lo allontanarono dalle mie preferenze. Io volevo la roba seria, adulta e presa male.
Inutile dire che all’ora non ci capivo un cazzo.
Quando, inevitabilmente, mi si corruppero i salvataggi non ci rimasi poi tanto male e andai avanti, probabilmente colmando il vuoto con un Fire Emblem, un Golden Sun o proprio lo stesso Final Fantasy Tactics Advace (che pure mi piaceva poco perché lo trovavo colorato e quindi ingenuo e naif, come sopra, non ci capivo un cazzo).
Passano gli anni e se li conti anche i minuti, è triste trovarsi adulti senza essere cresciuti, e quelle automobili a forma di dischetti che piratavo o ci scambiavamo con gli amici in classe (almeno è questo che diceva quella pubblicità) le ho ricomprate tutte. Cattiva Squarenix! Come ti permetti di farci pagare di nuovo i giochi che già possediamo! Ma io non lo so cosa contiene la mia sbordante indignazione, signora mia!
La Playstation 4 pro in prepensionamento gioca solo a roba così, con gioia, lei non frulla, io so che quando ho un po’ di tempo (un "po’ di tempo": sessione preferibilmente superiore alle 2 ore solitamente di sabato pomeriggio) nessuno mi scoccia nella mia stanza e gioco questa roba che, vuoi o non vuoi, richiede un briciolo di concentrazione, ora che di anni ne ho ormai 32 e non mi ricordo più chi è chi, cosa fa cosa, e quale mostro è debole a quale magia, e se un gioco lo appendo per troppo tempo finisce che lo perdo per sempre.
Tutto ciò per dire che il mio piano di giocare tutti i Final Fantasy continua con un buon ritmo, specialmente dopo aver appeso senza rammarico l’VIII e il suo maledetto sistema di crescita.
Il IX arriva quasi come una ventata di aria fresca, se non fosse che è il primo della seria che inizia una riflessione (anche formale) sulla saga stessa, facendo un passo indietro per quanto riguarda la sperimentazione sotto il profilo della crescita accantonando materie e junction che avevano monopolizzato la struttura intrinsecamente ruolistica dei precedenti due capitoli.
Quella stessa sensazione di teatro, di palcoscenico, di grande storia dove la cosa che puoi fare è recitare al meglio le battute di un copione scritto da altri qua è portata al massimo con l’espediente di piazzare il protagonista in una compagnia teatrale, mezzi artisti circensi, un po’ zingari un po’ peones, in realtà copertura per commettere crimini contro il patrimonio. La missione? Rapire la principessa Garnet.
Così inizia una serie di ribaltamenti di prospettiva che all’inizio sembrano gag comiche ma che al secondo piano di lettura diventano una delicata decostruzione dei ruoli all’interno della storia, così il protagonista non è il cavaliere senza macchia e senza paura, la spada non è la sua arma, ma è il ladro, e il cavaliere è un povero coglione esaltato e con un grande senso di inadeguatezza (che metterò in panchina una volta incontrata Freya).
La principessa non la damigella in pericolo da salvare ma è la prima che trasforma il rapimento in un'occasione per scappare dalla vita del castello.
È evidente la struttura a “job” (classi dei personaggi) completamente assente nell’ VIII, il party è di nuovo composto da 4 personaggi come nei primi capitoli della saga, il mago nero è letteralmente l’icona del mago nero fatta personaggio, le magie sono quindi ad appannaggio esclusivo della classe specifica che può utilizzarle, e il party deve essere quindi bilanciato tra attacco, cura e magia per risolvere gli scontri, i personaggi fuori dal party non livellano, ma il gioco è bravo a spezzare il gruppo, dividere il party, rendere alcuni personaggi indisponibili cosicchè da avere sempre un motivo o un altro per far crescere i personaggi senza lasciare quasi nessuno indietro (un saluto ad Amarant e alla sua suprema inutilità).
La remastered del IX è una delle operazioni di rimodernamento di un JRPG meglio riuscite in circolazione che non si ferma soltanto alla pulizia estetica di modelli e fondali per non farli sfigurare su PS4 (secondo me lo stile "deformed" scelto in principio aiuta tantissimo a superare la prova del tempo) ma gode di una completa ristrutturazione del menu, un sistema di aiuto (per mezzo del pulsante "select" che, almeno io, non ricordo presente nell’originale) che ti ricorda sempre quello che stai facendo, al servizio di un sistema di crescita e di abilità votato al non farti saltare immediatamente da un’arma all’altra ma tenendole il giusto per “apprendere” le abilità. Da giocare risulta quindi estremamente moderno, anche come rapporto “incontri/ricompense” che smontano il ciclo continuo di incontri casuali per ritrovarti tra le mani un pugno di mosche e quattro spicci.
Fresco, veloce, ma soprattutto con un tono leggero, incredibilmente giocabile, mai punitivo nei combattimenti (se non contro il boss finale che richiede un minimo di attenzione nella risoluzione dello scontro), prima del finale pensavo di essermi perso, a causa della spocchia adolescenziale di cui sopra, un titolo assolutamente dignitoso a cui molti hanno voluto bene per questioni anagrafiche.
Se non che mi sbagliavo ancora.
Con il suo stile, con la sua ingenuità, suggerita dallo stile naïf in realtà Final Fantasy IX tira un sacco di colpi bassi.
La riflessione esistenzialista al di là del ruolo che i personaggi interpretano, rifiutando la predeterminazione. I maghi neri non sono solo armi di distruzione, i jenoma non sono solo involucri vuoti in attesa delle anime che gli diano un senso, è la scelta di seguire o meno la strada che è stata scelta a fare la differenza. Che se sei nato come Angelo della Morte, vera critica al personaggio che per andare avanti nel gioco spala centinaia di nemici pur di salire di livello “accelerando il ciclo delle anime”, non devi necessariamente finire il gioco come tale, che è la differenza che passa tra essere l’eroe ed essere il cattivo.
Il mondo (iperuranico) di cristallo, nel quale sono plasmate la forma di tutte le cose e vivono gli archetipi nel quale dimora il nemico finale, l’entropia, tenuta a bada dalla voglia di vivere che impedisce al mondo di scivolare verso il nulla. Ancora una critica, un dialogo del gioco con i suoi predecessori, che vivono nel mondo dei ricordi dove sono scolpite nel cristallo l'origine di tutte le cose e il loro opposto, Trivia, l'antivita, il problema finale che non puoi mai battere e che prende forma diversa di episodio in episodio.
I giochi giapponesi hanno questa tendenza ad impennare nell’ultimo quarto di gioco, nel quale di solito si scopre che il nemico finale è una colossale divinità androgina ineffabile che attende il momento di attaccare ai margini della storia. Io la chiamo “la sindrome di The End of Evangelion”.
Insospettabilmente m’è cresciuto tantissimo.
La sua purezza cristallina è forse il suo pregio principale, il suo spirito naif e scanzonato è quello che spinge il giocatore nelle prime battute di gioco, ma mettendo insieme tutti i pezzi alla fine è impossibile non far partire un’esclamazione di gioia, con trasporto, quando ti affacci sul quadro più grande, certo, scavalcando l’inevitabile momento supercazzola (che secondo me deve starci da contratto) tra la fine del secondo atto e l’inizio del terzo, ma che comunque ritengo piazzato intelligentemente per arrivare al momento meno lesivo, cosicchè un po’ per fomento, un po’ perché intravedi il finale, le farneticazioni di un vecchio non sono di troppo intralcio per lo svolgimento della storia.
Civiltà spaziali al collasso ibernate che aspettano solo di tornare in vita una volta che il ciclo di reincarnazione avviato millenni prima tramite un colossale albero artificiale a forma di arpa piantato da un vecchio condottiero su un nuovo mondo, gemello al loro. Un involucro ribelle che, stancatosi di attendere scatenando guerre altera il naturale ciclo di nascite e di morti. Non pensare alla bislacca cosmogonia di Scientology inizia anche ad essere difficile.
E poi c’è il finale.
Sarà la mia disposizione d’animo, sarà che il gioco mi ha sorpreso e divertito oltre le aspettative, sarà che non sono più un adolescente spocchioso, ma il lieto fine m’ha appaciato. Arriva un momento nella vita di ognuno in cui semplicemente rifiuti il dramma e hai davvero solo bisogno di un momento scemo, leggero e luminoso che dia il giusto senso di conclusione a tutto e questo ce l’ha. È dolce e sa farsi volere bene nel suo dare una chiusura pulita a tutti gli archi di tutti i personaggi. In questo senso, forse, è anche superiore allo splendido finale di Final Fantasy VII, catastrofico e nichilista, ma fallace nel suo raccontare l’epilogo della storia dei suoi personaggi, motivo per il quale il IX è stato lasciato a riposo mentre nell’universo espanso del VII continuano ogni tanto a scavare, ristruttrare e retconnare.
Final Fantasy IX è una piccola perla, quasi contenuto, composto, sereno e luminoso, nonostante comunque ti porti in luoghi brutti per abbattere l’ennesimo dio. Ad oggi nella sua edizione “remastered” è insospettabilmente godibile e fresco, sorprendente anche per chi lo aveva criminosamente sottovalutato alla sua uscita, ormai 23 anni fa.