Fantozzi siamo noi, arrendetevi all'italiano che è in voi
Il personaggio di Paolo Villaggio non ha solo descritto gli italiani, insultandoli mentre loro ridevano, gli ha insegnato a parlare
Il personaggio di Paolo Villaggio non ha solo descritto gli italiani, insultandoli mentre loro ridevano, gli ha insegnato a parlare
Fantozzi è come Godzilla, un gigante che espone i nostri peccati, che da piccolo guardi perché ti fa ridere (o perché ami i mostri che distruggono palazzi) e che da grande apprezzi perché scopri che sotto c’era molto di più.
Prima ancora che si iniziasse a parlare di cultura pop in Italia, Villaggio con Fantozzi la stava inventando, creando un lessico, un modo di parlare, una mimica e una serie di personaggi che raccontavano ciò che stava succedendo in Italia tra gli anni 70 e gli 80, il culto della fabbrica, le vacanze al mare, il grigiore eletto a vanto, la Milano grigia, la Roma maneggiona, la venerazione dei potenti, la rivalsa dell’uomo comune sulla cultura, la voglia di fuggire dagli impegni con la signorina Silvani, la meschinità di schiacciare quello sotto e servire quello sopra, la consapevolezza che il sistema, alla fine, vince sempre.
E poi maschere come quella del ragionier Calboni, forse il personaggio che è invecchiato meglio è che ancora è specchio delle fanfaronate da social, dell’italiano che una volta chiamava quattro taxi e spendeva i soldi degli altri e oggi si fa un selfie in discoteca come se fosse Dan Bilzerian.
Spesso ci lamentiamo del fatto che l’Italia è una provincia culturale degli Stati Uniti, che mode, stili e linguaggi ci sono stati imposti, ma non esiste film, fumetto o racconto americano che possa arrivare anche solo eguagliare l’impatto avuto da Fantozzi sulla nostra società. Un impatto che dura nonostante quel mondo sia ormai quasi del tutto scomparso, divorato dalle stesse forze che l’hanno creato. Posto fisso, pensione, tredicesima, casa di proprietà, oggi Fantozzi sarebbe un privilegiato.
La cagata pazzesca, il rutto libero, chi ha fatto palo? 92 minuti di applausi, le visioni mistiche, il congiuntivo a caso, l’accento svedese, coglionazzo, come è umano lei, il megadirettore galattico, il triplo filotto reale ritornato con pallino. Paolo Villaggio ci ha insegnato a parlare e secondo me non ce ne siamo neanche resi conto.
La sua genialità è aver mostrato agli italiani quanto facevano schifo, quanto erano tristi, grigi e meschini, ma facendoli ridere così tanto che non se ne rendevano conto. Quando esultiamo insieme a Fantozzi per il suo giudizio sulla Corazzata Potëmkin (pardon Kotiomkin) siamo semplicemente dei mediocri che godono della loro mediocrità, se invece ci scandalizziamo forse siamo proprio quei boriosetti da cahier di cinemà che prendeva in giro. La comicità di Villaggio era senza via d’uscita. (anche se secondo me molti lo hanno scoperto, e poi apprezzato, grazie a quella battuta).
L’unica differenza tra il Fantozzi di ieri e quello di adesso sta nel fatto che oggi direbbe a tutti di aver apprezzato la terza stagione di Twin Peaks.
Il nostro obiettivo adesso è tramandare tutto questo, perché di lui non restino solo le parole senza un significato, come quando da ragazzini lo imitavamo a pappagallo per far ridere la classe.
Se un giorno vostro figlio vi chiederà chi è Fantozzi, voi fategli vedere tutta la parte del torneo di biliardo, probabilmente avrete pochi minuti della sua attenzione, ma dovrebbero bastare a incuriosirlo.
Qua è riassunta tutta la filosofia fantozziana. Si parte col Catellani “Gran Maestro dell’ufficio raccomandazioni e promozioni” che professa di essere uno partito dal basso. Poi c’è tutta la parte la parte comica e surreale delle lezioni di biliardo, dei gessetti mangiati, del fingere una relazione per nascondere la verità.
Si arriva alla partita e il montaggio è degno di uno scontro di boxe. I 38 “coglionazzo” e “il suo è culo, la mia è classe” sono cazzotti nello stomaco dello spettatore, che tifa per Fantozzi e si sente come sua moglie. Finalmente arriva il riscatto dell’uomo servile che improvvisamente diventa leone e nel farlo tratta male Filini, forse l’unico amico della sua vita, perché Fantozzi è di fondo un debole che non vede l’ora di diventare forte per umiliare a sua volta.
E mentre assistiamo compiaciuti al suo riscatto non ci rendiamo conto che Fantozzi sta di fatto condannandosi da solo nell’unico momento in cui gli bastava essere sé stesso e subire una delle tante umiliazioni della sua vita. Il comico si mescola col tragico, la risata con la tristezza…
E poi prende la vecchia.