Missile Command e come ho imparato a temere la bomba
Nel 1980 un programmatore pacifista sviluppò uno dei primi titoli in cui il giocatore veniva posto di fronte alla difficoltà di alcune scelte morali
Nel 1980 un programmatore pacifista sviluppò uno dei primi titoli in cui il giocatore veniva posto di fronte alla difficoltà di alcune scelte morali mentre era tormentato da incubi atomici
La foto di Kim Jong Un che guarda il lancio di un razzo intercontinentale con la serafica tranquillità di un vecchio di fronte al cantiere è profondamente legata a un immaginario che Missile Command cavalcava dal lato del pacifismo e che passa dal Dottor Stranamore, War Games, il suo emulo videoludico Defcon, Terminator 2 è una paura che oggi abbiamo messo nel cassetto delle ansie nascoste, ma che oggi torna a battere forte come un cuore rivelatore di Allan Poe: l’apocalisse nucleare.
Missile Command nasce nel 1980, la Guerra Fredda è in uno dei suoi momenti più caldi, visto che gli USA hanno deciso di boicottare le Olimpiadi di Mosca dopo l’invasione da parte dell’USSR dell’Afghanistan. Alle spalle dei due paesi ci sono anni di cortesie, spie uccise, patti disattesi, crisi, scaramucce, sabotaggi, guerre sventate non si sa bene come e il pensiero continuo da entrambe le parti che il lancio dei missili sia là, a un passo.
Gene Lipkin, vice presidente del settore vendite di Atari vede la foto dello schermo di un radar in un articolo sui satelliti e gli scatta qualcosa in testa e chiama Dave Theurer, sviluppatore di videogiochi.
“Ciao Dave, senti ho quest’idea per un gioco in cui ci sono dei missili che minacciano delle città e tu devi eliminarli lanciando altri missili”.
Inizialmente doveva chiamarsi “Armageddon”, ma poi all’Atari si resero conto che era una parola quasi del tutto sconosciuta ai ragazzini.
Theurer è uno sviluppatore con un metodo molto particolare: quando si appassiona a un’idea ci si butta per giorni, senza dormire, finché non crolla, poi recupera qualche ora di sonno e riparte, per mesi. Verso la fine fu costretto a invitare un amico in ufficio che premesse i tasti al suo posto, perché non era più in grado di riconoscerli. Per Missile Command si fa venire in mente mille soluzioni complicatissime, treni pieni di rifornimenti da difendere, meccaniche di gioco complesse, poi si rende conto che l’idea va resa più asciutta, semplificata e il gioco diventa quello che è arrivato fino a noi.
Nel frattempo le sue breve fasi REM sono tormentate da ogni possibile incubo nucleare. Il suo sogno più frequente lo vedeva fare una passeggiata nelle colline sopra San Francisco, assistendo impotente alla vista dei missili che cadono sulla Bay Area, certo del fatto che sarebbe stato presto carbonizzato nell’esplosione.
Insomma, allegria a secchiate.
Il suo subconscio porta alle estreme conseguenze quello che poco tempo prima fu definito "Effetto Tetris", ovvero quando un videogioco entra così tanto nella tua mente che te lo sogni e in qualche modo lo rivedi nella realtà attorno a te. Come quella volta in cui pensai di poter fare copia e incolla di una frase letta in un libro di carta.
Queste esperienze oniriche e il suo animo pacifista portarono Theurer a rendere Missile Command un titolo particolare, soprattutto per quegli anni, è forse uno dei primi videogiochi ha presentare tre caratteristiche uniche:
- Il giocatore è in una posizione di difesa e non attacco
- Sei costretto a fare scelte morali
- Non puoi vincere
In Missile Command non siamo mai posti nella condizione di attaccare, non c’è mai un momento in cui bombardiamo le città nemiche come rappresaglia, possiamo solo difenderci, stiamo solo proteggendo degli innocenti le cui vite dipendono da noi. Inoltre, visto che i nostri razzi sono contati, arriverà un momento in cui saremo costretti a scegliere quale città salvare e tendenzialmente opteremo per quelle più popolose. Infine, non esiste un momento in cui il nemico viene sconfitto, le ondate si susseguono livello dopo livello fino alla distruzione finale.
Un finale che non riporta semplicemente “Game Over” ma The End, la fine di tutto. La storia del gioco parla di civiltà aliene coinvolte in un conflitto su scala globale, ma è la classica backstory messa là tanto per fare, il metaforone è talmente palese da superare quello di Godzilla come incarnazione delle paure atomiche.
Un gioco in cui non siamo eroi, ma esseri umani carichi di responsabilità enormi, in cui il bene di molti supera quello di pochi (Spock ne sarebbe felice) dove siamo posti di fronte all’inevitabile tragica conclusione dell’esistenza.
Ovviamente niente di tutto questo sfiorava minimamente le nostre teste quando ci giocavamo usando quella maledetta trackball in cui si incastrava la pelle della mano, ma a pensarci ora è un bello schiaffo.
Curiosità: nella prima versione del cabinato c'era una luce che lampeggiava per indicare gli attacchi missilistici e la loro gravità, ma fu tolta perché distraeva i giocatori. Il disegno di copertina della versione per Atari 2600 è anche la copertina di The Art of Atari, un libro che vi consiglio caldamente.
Prima di Akira, di Terminator 2 (in qui guarda caso il gioco fa un piccolo cameo), di Defcon e della foto di Kim Jon Un, Missile Command mette la generazione dei videogiochi di fronte all’orrore dell’olocausto nucleare. Una generazione che il Dottor Stranamore lo aveva visto solo di sfuggita, era troppo impegnata a consumare quarti di dollaro.
Prima che i videogiochi diventassero qualcosa da prendere sul serio, prima che fosse riconosciuto un valore, questa iconografia di linee e cerchi luminosi rimasta intatta per così tanti anni, divenne parte della nostra cultura di massa. Parte della sua fama è dovuta anche alla sua difficoltà e all’ossessione per il punteggio più alto. Ogni tanto vengono organizzate vere e proprie maratone di Missile Command, come mostrato nel documentario High Score.
Tre anni dopo Missile Command un uomo si trovò di fronte a una versione in carne e ossa del gioco quando un satellite di sorveglianza segnalò il lancio da parte degli Stati Uniti di missili nucleari verso la Russia. Quell’uomo era , è morto a maggio, ma ce ne siamo accorti solo ora, un po’ perché ci eravamo dimenticati di lui, un po’ perché era il simbolo di quanto fossero inadeguati i sistemi antimissilistici russi e quindi non era una buona pubblicità per Mosca.
Petrov all’epoca fece l’unica scelta sensata per vincere Missile Command, una scelta ben evidenziata nel film che più di tutti seppe raccoglierne l’eredità: War Games: decise di non giocare.