2020: il meglio (poco) e il peggio (tanto) secondo N3rdcore
Ciò che nonostante tutto salveremmo e ciò che salutiamo senza nessun rimpianto (oltre alla pandemia) della cultura pop di questo 2020
Il 2020 probabilmente non mancherà a molti e anche se il capodanno alla fine è soltanto una convenzione, è nello spirito dell'essere umano guardarsi periodicamente indietro per fare un bilancio di ciò che è successo. Di sicuro non ricorderemo questo periodo come qualcosa di allegro, ma non tutto è da buttare via. Di certo non ne siamo "usciti migliori", ma la Ricerca ha dimostrato cosa può fare quando ci sono i fondi, Trump sta levando le tende, Black Lives Matter ha mostrato che c'è ancora voglia e bisogno di lotte sociali, abbiamo capito che soli può star bene, ma anche che ci servono gli altri, sono usciti un sacco di videogiochi belli e un sacco di gente li ha scoperti, due console e, comunque, gli anni brutti, rispetto agli anni belli, hanno un vantaggio non da poco: non ci creano aspettative, anzi, forse quando non ci logorano, ci danno una rinnovata voglia di fare meglio, di riscattarci. Mica come gli anni belli, che non ci preparano alle mareggiate improvvise della vita.
Ma bando alle ciance! Per chiudere degnamente questi 365 giorni ecco alcune riflessioni dei momenti migliori e peggiori di questo 2020 da parte di alcuni componenti della redazione di N3rdcore, con lo speranza di ritrovarsi da qui a un anno ancora più ganzi di prima e con il sito che è diventato una superpotenza mondiale, buona lettura!
Il Meglio: Morgan e Bugo
Nonostante il Covid sia stato l’argomento centrale per gran parte del 2020 c’è stato un tempo in cui i meme partoriti dall’internet non erano a tema De Luca e Conte. Un tempo gioioso dove si poteva uscire ancora di casa e vedersi con amici e conoscenti e, fatto alquanto strano, anche sconosciuti senza rischiare la vita, o quanto meno la stimmate di irresponsabile untore.
Quel tempo fatto ormai mitologico ci appare passato remoto, eppure era presente meno di 12 mesi fa.
Voglio celebrare quell’epoca d’oro e di spensieratezza annoverando come meglio del 2020 l’ultima performance artistica degna di questo nome che ha avuto l’Italia negli ultimi 20 anni: l’esibizione di Bugo e Morgan a Sanremo 2020.
Il palco del Festival della canzone italiana negli anni ha assunto diverse forme: palcoscenico dell’imbarazzo empatico, teatro dove vengono messi in scena la paggio retorica reazionaria del Paese, guilty pleasure di ventenni che lo guardano con fastidioso distacco post-ironico. Tutte cose che con la canzone e l’arte in genere hanno poco a che fare.
Poi arriva Morgan, con questo perfetto sconosciuto, tale Bugo, che nel corso delle serate prima sfoggia un look da Fratello Gallagher che implicitamente prepara l’esplosione, ed è subito il momento più importante degli ultimi 20 anni di Sanremo e forse degli ultimi 20 anni della Rai, per quanto riguarda l’arte performativa. Ed era anche una bella canzone.
Non si vedeva un momento così bello a Sanremo da quando i Placebo (presentati dall’allora Diva Megan Gale) salgono sul palco, suonano in playback, sfasciano le chitarre e insultano il pubblico.
Il Peggio: il mio Crociato
In un anno oggettivamente drammatico è dura dover anche pensare ad un momento che si è rivelato universalmente il peggiore. Abbiamo visto tantissime cose disgustose dall’inizio della pandemia e abbiamo ogni volta riso pensando allo slogan sempre più vuoto di “Ne usciremo migliori”. A costo di sembrare egoista, non riesco a non segnare come momento peggiore del mio 2020 il mio incidente e la rottura del legamento crociato anteriore.
Al di là del danno, dall’immobilità e delle notti insonni per un’angolazione sbagliata della gamba, il valore simbolico dell’evento da smaltire per me è stato (è?) pesante.
L’incidente è avvenuto in un momento specifico dell’anno in cui pensavo davvero che tutte le cose della vita, professionali ed emotive potevano risolversi... e invece poi no.
La realtà che colpisce come i basoli romani. Lo strappo netto di cui ti sembra quasi di sentire il suono, come uno schiocco secco, il bruciore delle abrasioni alle mani, provare a rialzarsi, sentire che qualcosa non va, accasciarsi al suolo da solo nella notte, provare a chiamare l’ambulanza e sperare che un’auto di passaggio non ti travolga.
E ancora, la notte di attesa al pronto soccorso dove in un angolo buio del corridoio da una barella completamente in ombra arrivavano i gemiti di un paziente completamente avviluppato nelle coperte che chiama aiuto ed è costantemente ignorato. Ancora non so se sogno o realtà, il degente fantasma.
Non è stato un bell’anno il 2020, non lo è stato per nessuno e sono certo che ci siano momenti peggiori di questo, a livello globale intendo. Però non riesco a non pensare che questo, per me, è stato il fondo.
Il Meglio: Aldobrando
In un anno quanto mai funesto è difficile individuare il "meglio", ma è necessario almeno provarci. Forse il meglio va scelto fra quello che ha aiutato a tenerci a galla durante questa lunga ondata di angoscia da Covid: e se tutto l'intrattenimento ha fatto il suo dovere, il fumetto italiano mi pare si sia distinto in particolare. Sia, subito, con l'offerta gratuita di materiali online, in varie forme, sia in generale con una produzione che ogni anno appare più matura, più ricca, aggiungendo ai classici da riscoprire nuove proposte variegate e avvincenti.
Sceglierne uno ha un carattere simbolico, ovviamente, e allora diciamo Aldobrando di Gipi, Critone e collaboratori. Intanto perché è un fumetto ricco di speranza. In second'ordine, perché segna un passaggio - eccellente - di Gipi da autore unico a sceneggiatore col supporto di altri grandi artisti: il che può voler dire un numero maggiore delle sue opere, e con un orizzonte più vasto, in futuro. E poi perché è un fumetto bellissimo.
Ne avevo parlato qua.
Il Peggio: Il lato oscuro della DAD
"Dad", per chi è immerso nel mondo della scuola, come studente, docente, genitore, non è solo "papà" in inglese, ma Didattica A Distanza. Uno strumento in sé prezioso, che ha consentito di tenere in piedi, con molti limiti, il sistema dell'istruzione. Detta della sua utilità, non si può non cogliere che la DAD ha un "lato oscuro": non i singoli inconvenienti tecnici, che si possono risolvere, ma una certa tendenza a rendere più fredda, più difficile la comunicazione, a imporre una distanza a cui, certo, si può ovviare in molti modi, specie i docenti più attenti all'uso consapevole delle nuove tecnologie. Ma la presenza, la vicinanza anche fisica, a cui è sacrosanto oggi rinunciare per ragioni sanitarie, ha un suo peso nelle dinamiche di apprendimento, sia sotto il profitto scolastico che sotto il lato umano.
Il Meglio: Animal Crossing: New Horizons
Non è un segreto che Animal Crossing New Horizons sia stato un successo commerciale pazzesco, tanto che Nintendo continua a mandare pubblicità in TV per ogni update stagionale. Personalmente lo avrei anche eletto gioco dell’anno, in barba all’ottimo The last of us 2 e all’ancora più bello Hades. Non tanto perché oggettivamente - sembra che esista l’oggettività - è un titolo superiore, quanto per il fatto che è stata l’unica vera panacea verso la reclusione forzata del pieno lockdown di marzo.
Come per me ma anche per altri, Animal Crossing fu l’unico modo per vedere e interagire con i nostri cari in uno spazio assolutamente sicuro e idilliaco, popolato da simpatici animali e su cui costruire la nostra isola perfetta. Ci siamo potuti esprimere, divertire e raggiungere anche quando fuori le notizie erano tutt’altro che rassicuranti. C’è chi trovava nel balcone l’unico luogo per fuggire dalle mura domestiche e chi lo ha fatto in Animal Crossing, ma per quest’ultimo sembra non ci sia mai il merito di essere stato davvero il videogioco più significativo di tutto questo 2020, l’unico che ci ha dato un’alternativa a una quotidianità fatta di “Ce la faremo” e smartworking forzato.
Ci riempiamo la bocca di quanto i videogiochi aiutino, facciano la differenza o siano importanti per la salute, ma l’unica voluta storica in cui un singolo titolo ci fa superare una pandemia globale (cosa mai accaduta in tutto il decorso del settore) decidiamo di nascondere il coraggio e premiare la solita esperienza hollywoodiana.
Mi riscatto dunque così, dicendo apertamente che Animal Crossing New Horizons non solo è il miglior gioco del 2020, ma è anche la cosa migliore che sia potuta accadere quest’anno. E sì, trovo un segno del destino che sia stato assente per quasi un decennio e sia stato pubblicato esattamente quando ce ne era più bisogno, nell’unico anno in cui è scoppiata una pandemia.
Il Peggio: Chadwick Boseman
La morte di Chadwick Boseman è stata forse la notizia che più mi ha colpito quest’anno, proprio perché non me l’aspettavo ed è arrivata nel bel mezzo di una scia di tante altre morti iconiche. Se il 2020 è stato un anno difficile per tutti noi, la perdita di giganti come Boseman l’ha reso ancora più triste da ricordare. Il personaggio di Black Panther, in un certo qualmodo, è sempre stato collegato alla morte e a ciò che c’è dopo, al mondo spirituale e alle tradizioni del popolo wakandiano riprese da diverse culture ispirate al contatto con la natura. Ricordarlo, in questo contesto, è davvero strano, poiché sembra quasi che il dolore venga attenuato dalle credenze legate al personaggio di cui ha vestito i panni nei film della Marvel.
Del resto, Boseman sarà sempre lì in quelle pellicole, nei nostri ricordi, sebbene la sua permanenza all’interno del franchise sia stata breve. Da appassionato Marvel, è più lì che lo ricordo che per altre produzioni (comunque eccellenti), specie considerando che nel futuro del franchise saranno davvero tante le volte in cui lo ricorderanno, con la sua forza e fierezza. Ed è un po’ quel sorriso, quell’immagine di supereroe, a ricordarci che a volte la vita è davvero fin troppo ingiusta.
La conferenza di Rudy Giuliani al Four Season (Total Landscaping)
Avrei potuto parlare dei videogiochi, di quanto quest’anno siano diventati per molti fonte di speranza, di svago e anche di contatto con gli altri, avrei potuto citare il rinnovato fuoco di Star Wars, alimentato dal bellissimo finale di Clone Wars e la seconda stagione di The Mandalorian, avrei potuto raccontarvi la mia esperienza con la pittura delle miniature e lo streaming (ma credo lo farò in articoli separati) ma penso che niente quest’anno può raggiungere la vetta della conferenza stampa di Rudy Giuliani al Four Season Total Landscaping. Per quei pochi che non sapessero di cosa sto parlando, mentre il risultato delle elezioni statunitensi cominciava a mostrare una vittoria di Biden, lo staff di Trump decise di indire una conferenza stampa per annunciare la propria battaglia legale contro i presunti brogli elettorali.
C’è un Four Season a poca distanza Pennsylvania Convention Center, ma c’è anche una piccola azienda di giardinaggio chiamata Four Season Total Landscaping in un sobborgo della città e non si sa bene in che modo l’entourage del Presidente degli Stati Uniti in carica non solo ha prenotato e indetto la conferenza stampa proprio là, tra un sexy shop e un forno crematorio, ma ha perseverato nell’errore con serena indifferenza, montando il palco e chiamando i giornalisti, increduli.
A posteriori tutto lo staff ha fatto quadrato, sostenendo che fosse stata una scelta deliberata, perché il luogo era sicuro, vicino all'uscita dell’autostrada e situato in una zona elettoralmente favorevole a Trump. Sì, certo, come no.
Il risultato finale è stata forse l’evento più memetico del 2020, una storia che se fosse stata scritta per una stagione revival di Parks & Recreation o altre serie tv politiche sarebbe stata giudicata fin troppo assurda e improbabile. Il tutto si lega poi alla pessima figura fatta poco dopo dallo stesso Giuliani in Borat 2, dove viene visto appartarsi in modo poco professionale con una finta intervistatrice che aveva fatto delle avances. Il tutto sembra scritto per sottolineare in maniera fin troppo evidente la fine dell’era Trump, ma anche per ricordarci quanto l’assurdo, sia sempre a un passo dalla nostra esistenza, per svelarlo basta che tutti facciano il loro dovere senza mai mettere in dubbio niente.
Nel frattempo il Four Season Total Landscaping è diventato uno sfondo per le chiamate su Zoom e un ambiente virtuale in cui le comunità furry si ritrovano per chiacchierare e fare altro. Come l’edera, il potere memetico cresce rigoglioso e soffoca tutto il resto.
Il Peggio: Le reazioni a The Last of Us 2
Che i fandom possano essere luoghi orribili non lo scopriamo oggi, figuriamoci, non passa mese senza che un attore debba subire minacce di morte, pressioni e altre aggressioni verbali e non per aver detto qualcosa che non piace ai “veri fan” o, addirittura, per aver interpretato personaggi sgraditi. La reazione opposta a Stanis LaRochelle che viene giudicato un esperto di farmaci perché interpreta un dottore in TV. Tuttavia, la dose di livore espressa nei confronti del personaggio di Abby in The Last of Us 2 rappresenta un nuovo step nella scala del fare schifo per una serie di ragioni. La prima è che per anni ci siamo riempiti la bocca col valore narrativo ed emozionale, per anni migliaia di persone hanno reagito con forza alla narrazione del videogioco come stupido passatempo per bambini, salvo poi cercare di rompere il giocattolo se il narratore di turno decide in piena libertà di creare un’esperienza che non cerca solo di essere divertente, ma anche disturbante.
Odiare il personaggi di Abby, che per me rimanere uno dei meglio scritti di sempre nella storia dei videogiochi, è legittimo, l’ha odiato anche la sua protagonista. Odiarlo fa parte dei messaggi del gioco, del camminare un po’ nelle scarpe scomode di chi non la pensa come noi, ma trasformare quella sensazione in minacce di morte, disprezzo per il gioco e chiusura totale nei confronti di qualcosa che non sia accomodante è un freno enorme per lo sviluppo del settore, sviluppo a cui contribuiscono tutte le parti in gioco, anche il pubblico.
Non chiediamo a film, libri, fumetti e serie tv di darci solo opere accomodanti e che ci fanno star bene, perché dovremmo esigerlo dai videogiochi? Forse nella risposta è nascosta la loro grande capacità di farci vivere le emozioni in modo differente rispetto ad altri media. Paradossalmente, con quelle minacce i detrattori del personaggio hanno contribuito a rendere vera e interessante i temi del gioco legati all’odio per il diverso e per chi crediamo ci abbia fatto del male, senza interrogarci sul male che facciamo.
Il Meglio: la capacità di adattarsi
Il meglio del 2020 è stato assistere all'adattabilità umana. Che si tratti di una spinta dettata dalla necessità di sopravvivenza economica o da un più personale e profondo bisogno di trovare una stabilità in un periodo di crisi profonda, nel 2020 abbiamo potuto osservare dal vivo e dai nostri monitor i modi più svariati in cui le persone hanno tentato, e in molti casi trovato, il modo di andare avanti nonostante tutto.
Che si tratti di persone famose o meno che si sono buttate online per mantenere il contatto con il proprio pubblico, che si tratti di baristi che ogni mese hanno dovuto capire come servire il proprio caffè per non chiudere bottega, che si tratti di amici e parenti che hanno imparato magari da zero a usare la rete e gli smartphone per non perdere contatti, il 2020 ci ha buttato in faccia quanto sia diffusa la capacità di adattarsi delle persone. Perseveriamo nonostante tutto, un passo alla volta, molte bestemmie alla volta.
Dal punto di vista personale, la quantità di risorse gratuite messa a disposizione online, il numero enorme di esempi pratici visti e il gran numero di aiuti e consigli ricevuti da amici e colleghi mi hanno dato modo di fare cose nel 2020 che non avrei mai pensato di fare, sia nel lavoro che in altri ambiti. Certo, la consapevolezza di esserci riuscito spronato da un trauma lascia al tutto un senso agrodolce, ma essendoci già passato un paio di volte per questioni di salute negli ultimi quindici anni cerco di concentrarmi sulla reazione attiva e utile.
Che si tratti di una dimostrazione forzata da un evento tragico lo rende sì agrodolce, ma rende esplicito che, per dirla traducendo letteralmente un motto americano, quando la merda colpisce il ventilatore sappiamo trovare energie che non sapevamo di avere. E se alcuni non le trovano non è una colpa, non siamo tutti macchine inarrestabili che sanno reggere stress continui senza mostrare cedimenti. Il che mi porta al peggio del 2020.
Il Peggio: L'assenza totale o quasi degli eventi dal vivo.
Dal punto di vista economico l'impatto è stato disastroso e lampante: fiere e presentazioni cancellate, musei, teatri, cinema chiusi, concerti evaporatisi. Meno lampante, forse, ma altrettanto disastroso è l'impatto sociale, psicologico e umano che l'assenza di eventi dal vivo ha avuto e sta avendo su un sacco di persone.
Se non ho nessuna intenzione di minimizzare quanto l'aver visto ridursi o sparire entrate economiche e prospettive lavorative per un sacco di persone che di eventi vivono sia stato un massacro (facendo per altro parte di quelli che hanno un lavoro anche grazie alle fiere e agli eventi legati all'editoria la cosa mi ha colpito nel vivo anche economicamente), mi pare che venga tralasciata con troppa facilità la grossa parentesi che il 2020 ha creato in un sacco di vite dal punto di vista sociale, psicologico e relazionale.
Ogni evento dal vivo è un piccolo microcosmo di amicizie in potenza legate da un argomento o passione in comune, tante piccole o grandi relazioni di lavoro o affettive che sarebbero potute essere ma non sono state. Nel 2020, nonostante il web ci abbia aiutato a non essere del tutto isolati, milioni di amicizie non hanno visto la loro nascita perché non ci è stato possibile vedersi di persona e altrettante hanno dovuto prendersi una pausa dalla frequentazione dal vivo fino all'arrivo di tempi migliori.
Questa enorme pausa da un certo tipo di vita sociale, magari a volte inframmezzata da parentesi così piccole da sembrare quasi surreali boccate d'aria in un'apnea che dura da quasi dodici mesi, sta mettendo a dura prova anche chi non ha avuto tragedie personali o problemi economici gravi, andando a erodere abitudini alla socialità che non sarà così facile riprendere. Sperando che la capacità di adattarsi delle persone ci permetta di trovare il modo di essere di nuovo socialmente attivi e dal vivo, credo sia chiaro, per quanto forse ancora poco raccontato, quanto psicologicamente il Covid ci abbia colpito in maniera profonda, evidente o meno che sia, creando forse una “pandemia di disturbo post traumatico da stress” che forse non si è mai vista prima. Andremo avanti ma ci trascineremo dentro cose che avranno bisogno di anni per essere metabolizzate e messe al loro posto.
Il meglio: il fantasy in tutte le sue forme
Come tantissimi lettori prima di me, ho conosciuto il fantasy grazie alla lettura de Il signore degli anelli. Durante il liceo l’ho letto, poi ho visto i film, ho approfondito il genere, ho cominciato a esplorarlo e a gustarmi tutte le sue ramificazioni - belle, brutte, trash, adolescenziali, umoristiche e compagnia bella. Poi, i miei vagabondaggi letterari mi hanno portato verso altri lidi e questo fuoco che ardeva è diventato un pugno di tizzoni nascosti sotto alla cenere.
Da un paio di anni a questa parte, complice la compagnia della redazione di Nerdcore e la community che ci gira intorno, sono tornato a esplorare le lande fantastiche della letteratura fantasy. Personalmente - l’ho scritto in tanti articoli proprio su questo sito - uno degli aspetti che trovo più affascinante del genere fantasy è tutto il wordbulding: ogni volta che un lettore apre un nuovo romanzo/fumetto/gioco/videogioco sa che si troverà davanti a un mondo nuovo, con riferimenti più o meno accennati alla tradizione, qualche innovazione fondamentale - a volte strepitosa - e una sua coerenza interna.
Il mondo creato dall’autore e trasmesso al fruitore dell’opera credo che sia uno degli aspetti essenziali della mia passione per il fantasy: è il punto su cui maggiormente mi concentro e che più mi appassiona, dandomi la spinta necessaria a estraniarmi e a entrare in quella bolla in cui ci sei solo tu e il prodotto che ti stai gustando.
Il 2020 è stato, per me, l’anno del grande ritorno al genere fantastico. Sarà che il mondo che avevamo intorno non era questo granché, sarà che l’obbligo di stare a casa più del solito mi ha spinto verso lidi lontani e meravigliosi, sarà il ritorno di fiamma di un vecchio amore, sarà tutto questo e altro ancora inesplorato, ma mi sono trovato sempre più spesso a voler vagare - anzi, ad aver bisogno di farlo - per il magico mondo del fantasy.
Le uscite editoriali e le ricerche a tema mi hanno agevolato, lo ammetto.
Ho aperto l’anno con il secondo volume della trilogia de La terra spezzata di quella grandissima autrice che è Nora K. Jemisin, intitolato Il portale degli obelischi; ho fatto qualche partita in solitario a Dungeons, riassaporando la vecchia scuola del gioco di ruolo, riadattata per l’esperienza in solitaria; ho goduto della lettura di Ritmo di guerra, il quarto volume della Saga della folgoluce di quel magnifico scrittore che è Brandon Sanderson; ho scoperto il fumetto La fortezza, una delle saghe umoristiche francesi più famose a tema fantastico e ho ricevuto in regalo Four against darkness, per non perdere la mano col lancio dei dadi.
Insomma, questo agghiacciante 2020 ha avuto, per quanto mi riguarda, il merito di avermi fatto riannodare il filo col fantasy in maniera ancora più forte.
E sapete qual è la cosa bella? Che ne voglio sempre di più.
Il peggio: i cinema chiusi
Ci sono stati aspetti ben peggiori di questo annus horribilis, è vero. Alcuni sono stati trattati in questo articolo, altri sono così ingombranti da non entrare in un trattato, figuriamoci in un bilancio di fine anno.
Ho scelto di focalizzarmi sui cinema chiusi perché sono stati rilevanti da tanti punti di vista, nel mio piccolo mondo.
Fino a un paio di anni fa, il cinema per me era un rituale ben preciso: quattro amici che si ritrovano puntualmente ogni mercoledì, a turno uno sceglie il film che gli altri si beccano senza storie, si esce dal cinema e si commenta il tutto tornando a casa. Un rituale immutabile e per questo meravigliosamente cristallizzato nella memoria. Abbiamo interrotto tutto questo alla nascita di mio figlio, dicendoci che avremmo ripreso a vederci regolarmente non appena fosse stato abbastanza grande da dormire con i nonni. Questo momento è arrivato all’inizio del 2020 e - visto che tutto il resto della storia della pandemia la conoscete esattamente come me - sapete perché ancora non ho ripreso ad andare al cinema.
Il momento in cui non abbiamo più accesso a una cosa, è il momento in cui ci manca di più. Nel mio caso, nel caso dei cinema chiusi, questo detto è stato terribilmente vero. Perché, complice una certa pigrizia mentale, ho dedicato sempre meno tempo a vedere i film, scegliendo altri prodotti dell’intrattenimento televisivo. Per carità, non voglio dire che uno è meglio dell’altro, dico solo che ho cominciato a perdere l’abitudine a guardare un film, la capacità di notare le finezze stilistiche - e gli errori - dei registi, la voglia di dedicare un tempo più lungo di una puntata a un unico prodotto. In poche parole, stavo perdendo l’abitudine al cinema. Me ne sono accorto qualche settimana fa, quando grazie alla complicità di un catalogo che non brillava per varietà (o forse solo perché ho esaurito le serie che volevo vedere), ho ripreso a guardare un film. Intero. Dall’inizio alla fine.
Questo è il punto di vista personale. Poi ho allargato il mio orizzonte e mi sono reso conto che chiudere i cinema - così come fermare gli eventi dal vivo - blocca una filiera di produzione mastodontica. Che non solo produce prodotti belli o brutti ma che tiene in piedi persone, famiglie, ecosistemi interi. E che non possiamo tenere ferma, perché se io ho perso l’abitudine a guardare un film l’avrà persa anche qualcun altro e quindi dobbiamo tutti rieducarci a uscire e andare di nuovo in sala.
Non farlo alla leggera, perché il virus che ha sconvolto le nostre vite è ancora là fuori, non farlo trasgredendo le fondamentali norme di sicurezza che ci hanno fatto arrivare fin qua ma educandoci al linguaggio del cinema, ai suoi ritmi, a tutti i suoi rituali.
Il Meglio: L’incredibile storia dell’isola delle rose
In un anno di turbolenze emotive e pandemiche è stato difficile discernere le cose positive da quelle negative, eppure, senza indagare così a fondo, ho trovato qualcosa che mi ha davvero trasmesso sensazioni uniche. La nota più allegra, scanzonata e psichedelica deriva da quel gioiello incompreso de "L’incredibile storia dell’isola delle rose" diretto da Sydney Sibilia, già famoso dalla celebre trilogia “Smetto quando voglio”. Il film, a scanso di equivoci, è una romantica rielaborazione in salsa nostalgica e vintage dei fatti realmente accaduti a Giorgio Rosa e alla sua “nazione indipendente” de La repubblica esperantista dell'Isola delle Rose.
Un film divertente, emotivamente coinvolgente e che racconta una storia, per quanto mistificatoria (ironicamente mitica) e falsata, che sa magnetizzare lo spettatore. Colori cangianti, fotografia impeccabile, montaggio sonoro e visivo di qualità che differenzia il film di Sibilia da altre pellicole nostrane che sembrano fatte col copia incolla. Una recitazione appassionante e calibrata restituisce al fruitore una parvenza di innocenza vacanziera che stempera gli infiammanti climi socio-politici dell'Italia sessantottina.
Il sogno utopico di Rosa è la premessa per dipingere una nazione che oscilla tra il restaurare un governo dalle ceneri del periodo post bellico alla volontà di inseguire il progresso; tutto ciò esasperando le ipocrisie, la retorica, l'ambiente clericale e l'italianità . Tornando al mondo editoriale invece il 2020 è stato l'anno della scoperta, da consumatore di prodotti libreschi appartenenti alle grandi catene commerciali-editoriali.
Nel 2020 perciò mi sono interfacciato con oltre 150 realtà editoriali differenti tutte “Indie”, escludendo le associazioni culturali e gli autori self-publishing. Il 2020 culturale per me è stato una fonte inesauribile di apprendimento, di scoperte, di autori intervistati e di contributi, soprattutto ho visto come il mondo della cultura, dei fumetti e dei manga abbia subito i colpi del Coronavirus ma in qualche modo miracoloso ha tenuto botta. Un abbraccio a tutti quei professionisti che ci forniscono gli strumenti per divertirci e crescere.
Il Peggio: il Panico
Gli attacchi di panico, le persone scomparse, l'insonnia, la perdita dell'ossigeno.
E forse non ho la forza di parlarne.
Tuttavia sulla scena socio-culturale mi rassereno, ho letto molti romanzi brutti ma tuttavia sono stati compensati da opere meritevoli. Al momento percepisco una tabula rasa della mia negativa esperienza 2020, se si esclude ovviamente questo maledetto flagello apocalittico. Mi mancano i cinema soprattutto e viaggiare liberamente. Mi mancano le piccole cose. Che schifo.