25 anni fa il film di Mortal Kombat sbancava i botteghini tra lividi e musica techno
Un film a cui non credevano neppure gli sviluppatori, con un regista esordiente e battute improvvisate sul momento che riuscì a diventare uno dei migliori successi del cinema statunitenste d'agosto. Una vera "vittoria sfolgorante".
TEST YOUR MIGHT, MORTAL KOMBAT!
Inverno del 1995, ho iniziato il liceo da pochi mesi, frequento il Gobetti, che si trova in una vecchia villa, la Villa di Rusciano, in cima a una collinetta nella parte sud di Firenze ormai inglobata nella città. Ogni mattina faccio due fermate di autobus, se è il giorno giusto mi fermo all’edicola per comprare Dragon Ball, che verrà letto entro una manciata di minuti della prima ora per poi venire discusso durante la ricreazione. Lungo questo percorso c’è il cinema Marconi, insegna blu su sfondo arancione intenso, oggi slavatissimo, ma ancora attivo, ci ho visto Into the Spiderverse, ma sto divagando.
Quel giorno al cinema Marconi la calca è grande, c’è praticamente ogni componente maschile della mia scuola, ragazze poche, magari fidanzate trascinate, magari no, non è dato sapere.
Mortal Kombat è in giro da tre anni è si è guadagnato sul campo il rispetto di migliaia di ragazzi e l’odio di altrettanti genitori e politici. Tutti sanno che non può vantare la precisione formale di Street Fighter II, ma se ne fregano. Vedere combattere personaggi digitalizzati che si bruciano, si squartano, si decapitano, si infilzano e quant’altro non solo ha il dolce profumo di bellissimi futuri videoludici ma è anche parte del cursus honorum dell’adolescente medio perché esaltarsi per la violenza è parte del nostro processo di crescita, almeno quanto non piangere, tenersi dentro i sentimenti, prendere in giro gli sfigati ed essere bravi a calcio. Così è scritto. E poi l’atmosfera del gioco è spettacolare, stregoni, ninja, mostri a quattro braccia, archetipi che lasciano intuire storie affascinanti che la tua testa ha già provveduto a creare.
E quindi eccoci in quell’inverno di 25 anni fa, pigiati dentro il cinema, in un clima di festa paesana, ognuno posizionato accanto agli amici più cari a cui aggrapparsi nei momenti più esaltanti. C’è così tanto testosterone in sala che alla bigliettaia spuntano dei timidi baffetti.
Il film di Mortal Kombat cazzo, il film di Mortal Kombat.
Poi le luci si spengono, il film inizia e parte il pezzo degli Immortals, un pezzo che ancora oggi ti fa venire voglia di strappare spine dorsali, la gente urla, lancia i popcorn, il resto è un film che riuscì in qualche modo a spezzare l’incantesimo che vedeva gli adattamenti cinematografici dei videogiochi floppare duro, sempre e comunque. 18 milioni di dollari di budget per un incasso di 122.
La storia del film di Mortal Kombat ci parla di una sfida e di un progetto in cui tutte le parti coinvolte pensavano di farsi molto male, ma alla fine le fratture furono solo degli attori. A crederci più di tutti fu Larry Kasanoff, il produttore, che un bel giorno bussò alla Midway per chiedere i diritti del gioco. Gli fu risposto che non aveva senso, era solo un videogioco, perché farci un film? Gli ci vollero tre mesi per convincere Ed Boon e soci a dare l’ok. Nell’aria c’era tanta paura di fare la stessa fine del film di Super Mario.
Per dirigere il progetto ci voleva un regista abbastanza giovane da avere fame di successo ma abbastanza matto da non pensare che questo fallimento avrebbe potuto colpire la sua carriera con la grazia di un treno merci. Fu scelto Paul Anderson, che aveva alle spalle solo un film, Shopping, che a dispetto del titolo non parla di una ragazza con tanta voglia di spendere soldi ma di una coppia che decide di passare il tempo facendo le spaccate con le auto per rubare vestiti e vivere pericolosamente. Recuperatelo, praticamente è il film di Grand Theft Auto prima di Grand Theft Auto e si capisce subito che questo lo rende l’uomo adatto per portare l’estetica videoludica sul grande schermo.
Caso vuole che Anderson fosse, oltre che alla ricerca di film da girare, anche un gran fan di Mortal Kombat e vedendo che molti altri registi snobbavano l’idea ci si buttò a pesce. A posteriori, l’approccio di Anderson, che punta sempre a fare qualcosa che gli piace, fregandosene di tutto e puntando sempre alla massima spacconeria possibile, direi che ha pagato. Basta vedere quanto ha incassato con la saga di Resident Evil.
Nessuno sa che Paul Anderson non sa assolutamente niente di CGI ed effetti speciali, quindi per ottenere l’incarico, oltre all’entusiasmo e alle idee, ci mette un po’ di bluff. Si compra tutti i libri sull’argomento e inizia a studiarli finché non è almeno in grado di spararsi un po’ di pose col gergo tecnico e passare per uno che ne sa. Poi, una volta messo il piede dentro, continua a studiare. Fake it until you make it.
Nel 1994 inizia la produzione ed è il momento di parlare degli attori, Robin Shou, che sarà Liu Kang, inizialmente non era intenzionato a partecipare, ma si lascia convincere da un amico. Il suo ruolo era fondamentale perché, per quanto oggi possa sembrare normale, all’epoca non c’erano molte produzioni americane che hanno come co-attore principale un asiatico, quindi tutto doveva essere perfetto. L’altra grande aggiunta fu Lambert come Raiden, scelta che oggi farebbe gridare al whitewashing, ma che all’epoca garantì alla pellicola una sorta di benedizione. Lambert era un attore noto, il solo di tutto il cast, e secondo Anderson si rivelò una persona splendida con cui lavorare anche perché fu probabilmente l’unico a non farsi male, visto che le sue scene di combattimento erano molto soft.
Questo si rivelò fondamentale perché a volte l’attore più pagato sul set può essere un bel casino, soprattutto se sei al tuo secondo film e al suo cospetto non sei nessuno. Visto che costava troppo, pensavano di non portarlo sul set thailandese e usare una controfigura, ma lui decise di farlo gratis e pagò pure il party di fine riprese. Chissà come sarebbe andata con Sean Connery, che rifiutò la parte. Per Sonya Blade la prima opzione era Cameron Diaz, che viene addirittura allenata per il ruolo, ma si rompe un polso poco prima del ciak.
La scrittura del film avviene durante la preproduzione, il che da una parte può essere indice di un progetto affrettato, ma dall’altra permette ad Anderson di virare via via il tono del film in base alle esigenze. Ad esempio, Boon riteneva che l’ironia di Raiden fosse eccessiva, totalmente fuori dal personaggio e chiese una parziale riscrittura, che non fu l’unica. A quanto pare il copione fu scritto e riscritto, spesso alcune battute, come quella di Johnny Cage quando Goro gli frantuma gli occhiali sono improvvisate. Gran parte del lavoro sta nel fare un film PG-13 senza perdere troppo sul lato violenza, cercando di bilanciare parolacce e morti per evitare il Rated R.
Una volta sul set filmare i combattimenti si rivela abbastanza stressante, anche perché Anderson voleva evitare il più possibile le controfigure e inizialmente non sa come girare bene un combattimento. Questo lo porta a fare molte riprese larghe, quando invece nelle scene di lotta si cerca di stare vicini per aiutare i lottatori a non portare troppo i colpi, nascondendo gli impatti con i corpi. Il risultato furono almeno due costole rotte per l’attore che fa Liu Kang e un paio di giorni a pisciare sangue per quello che interpreta Johnny Cage, dopo un colpo diretto sul rene nello scontro con Scorpion.
E poi c’è il pupazzone di Goro, costato un milione di dollari, fragile come una barchetta di carta e gestito da una decina di animatori. Per usarlo al meglio alcuni set particolarmente lussureggianti vengono eliminati, onde evitare che l’acqua causasse un cortocircuito. Col tempo la fragilità di Goro diventa una sorta di inside joke sul set, con attori e regista che lo trattano come una diva capricciosa che non vuole uscire dal suo camerino.
La scelta di utilizzare quasi tutta musica techno lo colloca perfettamente nello spirito del tempo e ovviamente il pezzo degli Immortal, che nasce prima della serie, è la ciliegina sulla torta. Anche qua, nessuno ci crede, e sia Sony che Virgin rifiutano di produrre la colonna sonora perché l’idea di usare musica techno sembrava assurda. L’unico a dire sì è uno studio molto meno noto: TVT che annusa il fatto che un prodotto per ragazzi debba contenere qualcosa che ascoltano. Ne uscì il primo album di EDM a ricevere il disco di platino, il decimo posto in classifica su Billboard, il secondo nella classifica dedicata alle colonne sonore. Qualche anno dopo la colonna sonora di The Matrix non fu tanto diversa. Sto dicendo che Mortal Kombat ha spianato la strada a "Clubbed to death" e altri pezzi incredibili di quel disco che ho ascoltato fino a consumarlo? Non ufficialmente, ma rido di nascosto.
Il risultato finale è un film ovviamente figlio del suo tempo, con una CGI che oggi fa sorridere e una recitazione legnosissima, ma che tutto sommato regge come prodotto di intrattenimento per ragazzi che deve incarnare lo spirito di una saga barocca, violenta e sopra le righe. L’aspetto più interessante sono i combattimenti, che pur nella loro legnosità hanno il ritmo giusto per essere dei combattimenti di Mortal Kombat. Se fossero stati più veloci e frenetici si sarebbe perso qualcosa, allontanandosi dallo spirito del gioco. Stranamente, anche i personaggi femminili, pur non allontanandosi troppo dall'archetipo della damigella in pericolo, hanno molta più caratterizzazione della media dei film del periodo.
Questo vale soprattutto per quelli in cui sono coinvolti Liu Kang, Scorpion, Reptile e Sub Zero, palesemente i più competenti sul set, anche se in quello con Sub Zero c'è quel momento della bolla di ghiaccio che è un bel 9 sulla scala Macchecazzo. Mortal Kombat è un classico esempio di prodotto che funziona al di là di quello che possiamo pensare quando lo guardiamo con occhio critico e al di là di ciò che possiamo considerare “qualità”.
È un film pensato per divertirti, che non ti chiede altro che aumentare i battiti del tuo cuore quando un tizio viene preso a calci con un sottofondo di musica elettronica, e che deve navigare a vista perfettamente tra il prendersi sul serio e il non farlo troppo. Considerando le improvvisazioni, la scrittura al volo, il regista semiesordiente e tutto il resto, è palese che il successo del gioco pesò sull’incasso, ma forse il pubblico capì che era un prodotto fatto con rispetto, anche dal punto di vista visivo. Ci sono delle libertà, ma gli elementi iconici fondamentali, soprattutto nei costumi, ci sono. L’impatto di quel film fu tale che oggi in Mortal Kombat 11, è possibile giocare impersonando l’attore che fece Shang Tsung.
Il 18 agosto Mortal Kombat debutta negli Stati Uniti, Anderson ha così paura di un flop che si rifugia alle Hawaii, salvo pentirsi non appena gli arriva la notizia del debutto a 23,3 milioni di dollari.
Qualche mese dopo io sono al cinema, sullo schermo ci sono Liu Kang e Johnny Cage che passeggiano nell’Outworld. Improvvisamente il primo si ferma e afferra una creatura che li stava seguendo, lanciandola dentro una statua che prende vita.
“Ma chi è? Ma chi è?” si chiede la sala.
In un impeto di hybris dato dalla conoscenza del medium e mai provato fino a quel momento, mi alzo in piedi, punto il dito verso lo schermo, avatar personificato dell’orgoglio nerd nozionistico che di lì a poco avrebbe governato l’industria dell’intrattenimento e pieni polmoni grido: “È Reptile!”.
Nel film la voce del gioco conferma chiamandolo per nome: “REPTILE” e inizia il combattimento con Liu Kang.
Il cinema Marconi diventa l’Artemio Franchi dopo un gol di Batistuta, torno un essere umano, mi siedo come se nulla fosse, tra i cazzotti sulle spalle degli amici, che è il modo con cui i maschi adolescenti si abbracciano.
25 anni fa.