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Visions of Mana, la fiaba del sacrificio

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Visions of Mana ci trasporta in un mondo di fiabe, colori e natura. Ma ciò che garantisce quel paradiso è più importante dei suoi abitanti?

Pensare ai JRPG come costellazioni che gravitano intorno alle saghe più famose è facile, anzi per diversissimo tempo è stato così soprattutto in occidente. Ma in realtà il macrocosmo giapponese dei giochi di ruolo è enormemente espanso, sfaccettato e ricco di storie dalle tematiche più disparate.

Di nicchia ne so qualcosa, appassionato della serie Atelier come sono, e se non ne foste a conoscenza c’è un pubblico molto interessato a quelle produzioni molto legate alla natura, al fiabesco e a ciò che ne consegue. Non quindi il racconto dell’eroe classico nel setting alla Dragon Quest, ma più una favola dal forte sapore europeo o vicina allo scenario paradisiaco dello Studio Ghibli.

Tra questo genere ci possiamo ritrovare la saga di Atelier (appunto), i Ni No Kuni, quel capolavoro dimenticato di Eternal Sonata, oppure Rune Factory, e anche la serie Mana che forse è un po’ meno oscura dei suoi fratelli ma neanche così tanto in vista come quelli che siedono nell’olimpo del sol levante.

Eppure è una pietra fondante dello scenario videoludico giapponese quasi quanto le visual novel e il recente Visions of Mana è, a testimonianza della forza della serie, una masterclass in come fare un JRPG uscito da una fiaba.

Il cerchio stringente della vita

La storia di Mana come marchio è strana, lontana dalla regolarità perfino rispetto alla serie Kiseki o all’espansivo Atelier. Nasce come spin-off dell’era Final Fantasy più naturalista e classica di empre, esplode negli anni 90 e poi si rinchiude nei confini giapponesi con progetti vari, tra card game, MMORPG e giochi mobile.

Dimenticando un po’ le sue origini, come le ultime fasi dell’altrettanto famoso .hack (sperando che un giorno possa tornare). Visions of Mana, il capitolo appena uscito, è quindi come una sorta di fuoco di fenice dove finalmente la serie torna in auge con un RPG completo, riproponendo il racconto di un mondo retto sulle fronde di un grande Albero della Vita, o Mana Tree. Già, proprio come i grandi classici del passato.

Visions of Mana non è però un racconto facile e spensierato, per quanto il suo stile artistico caratteristicamente vivace, colorato e fatato possa farlo sembrare tale con i suoi scorci da libro delle favole.

Quello che la serie Mana fa meglio di tutti è parlare di bilanciamento delle forze elementali e naturali del mondo che propone, nel far capire che tutto si regge su un equilibrio preciso e che spesso tale status quo non è certo favorito per gli abitanti che lo utilizzano.

Cos’è più importante, per il mondo e la sua sopravvivenza: chi lo abita o le forze elementali che ne regolano l’armonia? Questa è la domanda con cui parte subito Visions of Mana e che vi porta a seguire le vicende di persone chiamate a un pellegrinaggio verso l’Albero del Mana e sacrificarsi per esso, accompagnate da dei guardiani che ne assicurano la sopravvivenza fino all’ultimo momento del loro lento incedere. Pena per il mancato adempimento è la rovina totale della propria regione, il cui utilizzo delle forze elementali limitrofe è benefico fino a quando se ne garantisce il corretto funzionamento verso il flusso del Mana.

Tutto questo, esposto con una patina bambinesca nel senso più positivo e gioioso del termine, è un nodo di trama eccezionale eseguito altrettanto magistralmente, poiché si accompagna un gruppo di persone il cui rapporto con questo flusso del fato finisce per mutare mano a mano che lo stato del mondo inizia a essere messo in discussione.

Dalla prospettiva del giocatore questo avviene fin dal prologo e potreste anche già evincerlo dalle premesse che vi ho fatto: a chi farebbe mai piacere morire? Sacrificarsi è una scelta personale, un dovere, ma cosa ne pensa chi ci sta intorno? Chi ci ama, chi ci vuole bene o semplicemente pensa sia ingiusto morire per una forza esterna che chiama a sé persone a caso.

Elementi e vite

Si potrebbe dire che in qualche modo il viaggio verso una data destinazione sia il più classico degli stereotipi fantasy ma in Visions of Mana mi sono ritrovato a riflettere più e più volte su quello che succedeva a Val, il protagonista, e i suoi amici, chiedendomi quale fosse davvero la strada da perseguire se mi fossi calato di più nei panni del gruppo.

Ecco, Visions of Mana è in grado di stimolare la mente in modi sempre nuovi, dimostrando una maturità che va veramente oltre l’aspetto che possiede e tale è la qualità migliore che possiede, quella per cui consiglio vivamente l’acquisto a coloro che, come il sottoscritto, valutano di più la storia che l’azione.

Oltre alla natura e ai suoi equilibri, Visions of Mana approfondisce l’arte della spada abbastanza bene, anzi direi che anche qui l’eccellenza è di casa. Rispecchiando il viaggio elementale del party di guardiani e Alm sacrificali, ogni personaggio può sintonizzarsi sui vari elementi mano a mano che si raccolgono le vestigia elementali corrispettive, sbloccando quindi una classe per ogni tipologia di flusso di mana che c’è nel gioco.

In parole povere, ogni personaggio possiede tante classi quanti sono gli elementi di Visions of Mana, creando una varietà notevole e un pool di abilità abbastanza vasto da poter regolare il gruppo a proprio piacimento.

Mentre il mondo intorno a noi si dipinge di acquerelli e le musiche ci spingono come il vento verso nuovi orizzonti, il flusso di gioco non viene interrotto neanche dai combattimenti vista la loro natura da azione rapida piena di shortcut, combo da creare e un’IA all’altezza di essere una degna compagna negli scontri.

La filosofia meccanica di Visions of Mana mi ha ricordato la leggerezza di Ni no Kuni II e il suo combat system molto semplice, immediato, ma altrettanto spettacolare. Qui si ha un effetto quasi uguale e perciò è adatto veramente a chiunque, sia a chi sta cercando una sfida con difficoltà selezionabili e chi invece è qui solamente per la storia, senza rinunciare però a sudare quanto basta per avanzare nella missione.

Forse sono i Boss a soffrire un po’ per l’approccio adottato, ma il team di sviluppo ha preparato diverse chicche per far sì che siano significativi anche nella loro forma più facilitata.

Si potrebbe prendere uno qualsiasi dei tanti elementi che compongono il quadro di Visions of Mana e tesserne gli elogi, tuttavia credo che il punto centrale che dovrebbe portarvi a questa esperienza è la sua poetica, l’affrontare la tragicità e le relazioni umane con un tocco che solo il marchio di Mana può dare per via del suo mondo, del modo in cui si intreccia ai suoi protagonisti esattamente come le radici dell’albero da cui prende ispirazione.

Non c’è avventura senza la sua premessa, così come il gruppo protagonista della vicenda non avrebbe senso se fosse un semplice viaggio per sconfiggere il male come avviene spesso e volentieri.

Quanti titoli, giochi o altro, sarebbero intercambiabili se semplicemente si spostassero i protagonisti da un mondo all’altro? A mio giudizio tanti, diversi, specie in tempi moderni.

Visions of Mana invece rientra nelle eccezioni, quelle dove non ci sono salvatori o supereroi ma persone che fanno del loro meglio, che mascherano le proprie preoccupazioni e vissuti dietro un dovere, un obiettivo o un sogno. Ma quanto si è disposti a sacrificare per esso nel momento in cui si è chiamati a farlo? E, soprattutto, sono realmente i sogni che albergano nel nostro cuore?

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