STAI LEGGENDO : Neon Genesis Evangelion - verso l'opera che cambiò tutto

Neon Genesis Evangelion - verso l'opera che cambiò tutto

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I primi passi di quello che poi diventerà lo Studio Gainax, le difficoltà finanziarie, Nadia e Il mistero della pietra azzurra, la depressione di Anno fino all'arrivo di quell'opera che ridefinì il genere mecha

La serie completa di Neon Genesis Evangelion sarà trasmessa su Netflix da aprile del 2019. La cosa è stata annunciata martedì 27 novembre su tutti i social dal servizio di streaming americano, e subito la notizia ha generato un hype incredibile. Tra gli ultra trentenni o giù di lì.

Già, perché questa sarebbe l’ennesima “operazione nostalgia” targata Netflix. Qualcosa per avvicinare quelli che hanno il portafoglio più gonfio e i ricordi più sbiaditi. Si, i sopracitati “ultra trentenni o giù di lì”. Ma a sto giro, Netflix se l’è giocata bene la carta. Davvero molto bene.

Neon Genesis Evangelion non è infatti una semplice serie animata. No. È in assoluto “la serie animata degli anni novanta”. Non c’è Sailor Moon o Cowboy Bebop che tenga. E mi assumo in pieno la titolarità di quanto affermo.

Ma perché Evangelion è così importante? E perché sto affermando che è “la serie animata degli anni novanta”? La risposta ha il nome di un uomo e di uno studio di animazione: Hideaki Anno e lo Studio Gainax.

Facciamo un salto indietro fino ai primissimi anni ottanta quando, in quel di Tokyo, nasceva uno studio d’animazione come tanti. O come troppi, se preferite. Lo studio in questione si chiamava “Daicon Film”, e vedeva come fondatori quattro studenti universitari di belle speranze: Yoshiyuki Sadamoto, Takami Akai, Shinji Higuchi ed Hideaki Anno.

I ragazzi avevano già lavorato insieme per un progetto animato presentato durante la ventesima edizione (1981) dell’Annual Japan National SF Convention (conosciuto anche come Nihon SF Takai, anche se il nome varia sempre in base alla location della kermesse), importantissimo evento dedicato alla fantascienza e allo sci-fi in tutte le sue forme. Il loro primo cortometraggio non fu granché: sebbene le idee ci fossero tutte, le animazioni erano abbastanza rozze e poco dettagliate. Lo dice anche Wikipedia. E se lo dice Wikipedia, credeteci. Ma non troppo.

Ma i giovanotti non si arresero. Riprendendo le idee del primo cortometraggio, ne realizzarono un secondo che andava ad ampliarne tematiche e concetti. Arrivarono persino a inserire nel corto una serie assurda di personaggi quali Spider-man, Dart Vader ed addirittura una delle navi da battaglia klingoniane di Star Trek. Stavolta l’animazione era migliorata ed il film presentava anche delle belle musiche (furono usate “Twilight” e “Hold on Tight” degli Electric Light Orchestra). Il corto impressionò tutti, e la “Daicon Film” iniziò a far breccia nel cuore degli amanti della fantascienza. Era il 1983.

Gasati a mille per la bella accoglienza, gli animatori decisero quindi di cambiar nome allo studio e di pensare a qualcosa di più impegnativo. Nasce così, nel 1985, quello che oggi conosciamo come Studio Gainax (da Gaina, ovvero “grande” in dialetto giapponese). Ed anche questo lo dice Wikipedia.

Il primo grande progetto dello studio è “Le ali di Honneamise” (o Ōritsu uchūgun - Oneamisu no tsubasa, se preferite), un bel lungometraggio di fantascienza finanziato da Makoto Yamashina, un produttore della Bandai che rimase affascinato dai cortometraggi dell’allora “Daicon Film”. Un progetto interessante, che permise al regista Hiroyuki Yamaga di entrare a far parte in pianta stabile dello Studio Gainax. Tra l’altro, le musiche del film furono curate dal maestro Ryuichi Sakamoto, che lo stesso anno vinse l’Oscar come “Miglior Colonna Sonora” per il capolavoro “L’Ultimo Imperatore” del recentemente scomparso Bernardo Bertolucci. Era il 1987.

L’anno successivo (1988) vede il debutto di Hideaki Anno alla regia di una serie di OAV che ha fatto storia (e scuola): Punta al Top! GunBuster (Toppu wo nerae!). Gunbuster è infatti una specie di Evangelion “con le bocce”. O meglio, con “più bocce”.

Si deve infatti al buon Hideaki Anno l’utilizzo dell’effetto “seno ballonzolante” negli anime come forma di “fan-service”. E nonostante GunBuster trattasse tematiche che in Evangelion sono sbocciate in maniera molto più seria, vedere queste ragazzine formose a cui ballava il petto ad ogni respiro era (ed è) decisamente comico. Su GunBuster potrei parlarne più approfonditamente in un altro articolo, anche perché ci sarebbe tanto da dire. Troppo.

La serie fu accolta in maniera tutto sommato positiva. Ma è qui che iniziano i primi guai finanziari dello Studio Gainax. Ma soprattutto, è qui che inizia il calvario personale di Hideaki Anno.

Era il 1989, ed alla porta dello Studio Gainax andò a bussare la Toho. Quello che i manager avevano tra le mani era un progetto mai realizzato del maestro Hayao Miyazaki, di cui la Toho deteneva i diritti. Un progetto ambizioso, che lo Studio Gainax avrebbe dovuto realizzare insieme allo Studio TAC. E considerato che a commissionare la cosa era stato nientepopodimeno che il canale televisivo NHK (la RAI giapponese, per intenderci), le cose si facevano molto serie. La serie in questione è un vero cult degli anni novanta: Nadia – Il mistero della pietra azzurra (Fushigi no umi no Nadia).

Il progetto era abnorme. Troppo grosso per uno stuolo di giovani animatori che iniziavano a muoversi nell’intricato mondo della serializzazione televisiva. Vi basti pensare che Sadamoto abbandonò la regia dopo le prime due puntate, lasciando ad Anno il compito di proseguire la serializzazione per concentrarsi solo sul character design e l’animazione. Anno ci mise tutto sé stesso, e la serie piacque sin da subito.

Anno era veramente bravo e sapeva muoversi davvero bene tra tematiche delicate come ambientalismo e filosofia. Gli ascoltatori lo premiarono sin da subito, ergendo Nadia tra i migliore anime realizzati negli anni novanta. Impressionati da questo insperato successo, i manager della NHK decisero di aumentare il numero di puntate (da 30 a 39), sovraccaricando così di lavoro Anno e gli animatori. Fu un disastro.

Fare animazione costa. E tanto. Man mano che la serializzazione di Nadia proseguiva, le casse dello Studio Gainax si prosciugavano. Si stima che lo Studio Gainax abbia perso 80 milioni di Yen solo per Nadia. Tutti soldi persi dall’episodio 1 al 22, visto che dal 23 fino al 34 la serie fu affidata temporaneamente a degli studios giapponesi e coreani. Per aiutare Anno, Shinji Higuchi decise di prendere il suo posto in regia, in modo che l’autore potesse concentrarsi sull’arco finale della serie. Il cambio si vide subito, tant’è che i fan della serie iniziarono a lamentarsi con la NHK per questo calo di qualità. Dal 35 in poi Anno tornò al timone di Nadia, concludendo la serializzazione dell’opera senza non pochi intoppi. Siamo a cavallo tra il 1990 e il 1991.

Restano ancora quegli 80 milioni di yen di debito. Troppi. Oltretutto lo Studio Gainax non poteva accampare nessun diritto sulla serie, perché tutto era in mano agli avidi manager della Toho. Agli studios fu concessa solo la produzione di un videogioco ispirato a Nadia che, per fortuna, ebbe un successo tale da finanziare un po’ gli altri progetti. Il Group TAC diede agli studios qualcosa come 50 milioni di yen per la produzione del film dedicato a Nadia, ma questi soldi bastarono soltanto per la pre-produzione dell’opera. I  guai degli Studio Gainax erano tutti interni. Ed Anno ne era stato travolto in pieno.

Parallelamente alla produzione di Nadia, Anno e Yamaga erano al lavoro per Blue Uru, attesissimo seguito di “Le ali di Honneamise”. Il problema è che Yamaga si disinteressò totalmente al progetto, lasciando che fosse solo Anno ad occuparsene. E con i debiti degli Studio Gainax sul groppone, gli amici che si allontanano e le difficoltà della vita quotidiana che incombevano su di lui come fantasmi, Anno cadde in depressione. Una depressione lunga e molto, molto dolorosa.

Furono quattro anni difficili per il regista nipponico. Ma il destino a volte può sorridere, e lo fa in modi e tempi tutti suoi. Nel caso di Anno, il destino ha voluto che il regista incontrasse Toshimichi Ōtsuki dei King Studio, che chiese a quest’uomo depresso e demotivato di lavorare ad una nuova serie. Quella serie era Neon Genesis Evangelion.

Ōtsuki si fidava totalmente di Anno, ma gli impose solo due cose. La prima era quella di collaborare per 5 anni con i King Studio. La seconda, decisamente più criptica, era quella di non far morire nessun adolescente in Neon Genesis Evangelion. Forse Ōtsuki temeva che Anno, colto dalla depressione per non essere riuscito a portare avanti il progetto “Blue Uru” (di cui vi parlerò sicuramente in seguito), si trasformasse in un secondo Yoshiyuki Tomino. E se non sapete chi è Tomino e perché gode di una fama così cattiva tra i suoi fan, allora non avete mai visto Zambot 3. E quindi non sapete nemmeno che è il creatore di Mobile Suit Gundam. O forse lo sapete, ma non avete visto Zambot 3. Quindi sciagura a voi.

Anno accettò. Supportato dal suo team, il regista si prefissò come obbiettivo quello di “non fuggire” e di completare l’opera. A tutti i costi. E lo fece. Nonostante la miriade di ostacoli che hanno attraversato la serializzazione di Neon Genesis Evangelion.

 

Piazzato il fedele Yoshiyuki Sadamoto al character design (Sadamoto si occuperà anche della serializzazione del manga, terminata nel 2014), Anno si impegnò molto nella stesura del primo canovaccio di Evangelion. Man mano che sentiva in sé qualcosa di nuovo, Anno “ritoccava” le sceneggiature. Voleva che quest’opera fosse innovativa e rivoluzionaria. Voleva che Evangelion distruggesse la vecchia concezione di “mecha-anime”, portando questo genere verso nuovi orizzonti.

Ma soprattutto, Evangelion è la trasposizione animata del travaglio personale di un regista depresso ed “otaku”. Quello stesso otaku che voleva riunire tutti i suoi simili davanti allo schermo donandogli un’opera che potesse dar loro qualcuno in cui identificarsi. Qualcuno, tutti o nessuno, aggiungerei.

Come se tutto ciò non bastasse, Anno dovette riscrivere in fretta e furia alcune parti della sua sceneggiatura per colpa dell’attentato alla metropolitana di Tokyo ordito dalla setta degli Aum Shinrikyo. Siamo nel marzo del 1995, ed ormai mancava davvero poco alla prima proiezione dell’opera. Ma quell’attentato ebbe un impatto così devastante sulle vite dei giapponesi che Anno, anch’egli molto scosso, dovette cambiare collocazione storica ed eventi in modo che questi non potessero riportare alla mente i 13 morti di quella tragedia.

https://www.youtube.com/watch?v=t-QSmNReDyI

Le prime due puntate di Evangelion debuttarono al festival della Gainax del luglio 1995, dove vennero proiettate davanti ad un pubblico di 200 persone circa. L’accoglienza fu molto positiva, e questo aiutò moltissimo Anno, che con questa serie aveva intrapreso il suo personale percorso di rinascita. Ben sapendo delle ristrettezze economiche dello Studio Gainax e di come i tempi dell’animazione avrebbero potuto influire negativamente sul tutto, Anno non si arrese e rispettò la promessa fatta a Ōtsuki.

Arriviamo quindi al 4 ottobre 1995, data in cui TV Tokyo trasmette la prima puntata di Neon Genesis Evangelion dello Studio Gainax. Da qui in poi le cose si fanno ancora più interessanti e ne parleremo nel prossimo capitolo di questa lunga storia.

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