Uncharted, un film che cerca il tesoro andando fuori rotta
Uncharted prova a tradurre al cinema un videogioco ispirato a Hollywood, risultando godibile ma non un centro perfetto.
Film e videogiochi sono un connubio difficile da bilanciare e questo è un fatto abbastanza scontato con cui aprire questa recensione. Eppure il recente Free Guy ci ha dimostrato non solo che è possibile fare un film “videogiocoso” senza scadere nel banale, ma che Hollywood è anzi capacissima di intavolare il discorso e approfondirlo anche in maniere del tutto inaspettate. È così anche per Uncharted? Beh, ecco… no. Uncharted è figlio della stessa impostazione che toccò al più recente Tomb Raider e che bene o male nasce dal voler convertire una serie di giochi che già per loro conto sono dei “film”, o per meglio dire figli della wave dei più grandi lavori di Hollywood.
Come accennato dallo stesso regista, Ruben Fleischer, in un evento a Roma a cui abbiamo assistito da remoto, Uncharted gioco nasce come prodotto che si ispira a Indiana Jones e Uncharted film prende il materiale dei giochi per convertirlo nuovamente alla fonte originale. Un ciclo, così definito, che si completa e raggiunge una sorta di conclusione formale a cui possiamo anche credere. Ed è proprio per tale rapporto che il mio consiglio è di approcciare la pellicola Uncharted non da appassionati di videogiochi, bensì da appassionati di cinema a cui piacciono i videogiochi fortemente cinematografici. L’opera prima sul grande schermo dei PlayStation Studios è certamente ricca di riferimenti e chicche per i veterani della serie di Naughty Dog, ma tutto si ferma agli easter egg e alla filosofia di fondo: le connessioni sono velatissime e già da questa avventura di origini si capisce che la storia vuole proseguire su una strada lontana dai videogiochi e indipendente da essi. Solo con questo spirito si può davvero godere dell’avventura di Tom Holland e Mark Wahlberg, l’unica prospettiva che non rovina un film buono ma su cui pesa l’onere di dover tradurre con attori veri ciò che è stato perfettamente creato digitalmente.
Non considerando gli anni di “sviluppo infernale” della pellicola neanche fosse un videogioco tripla A nell’era del crunch folle (quindi quella attuale), Uncharted parte comunque con un handicap non da poco nei confronti di chi videogioca. Tomb Raider bene o male nasce in un momento in cui la grafica era davvero spartana e gli adattamenti cinematografici facevano già parte della sua storia, Uncharted purtroppo ha come base di partenza una serie in cui si è ampiamente raggiunto un fotorealismo che supera Avatar e lo surclassa abbondantemente. Sono aspettative altissime da soddisfare e per questo, per mia spontanea decisione, ho messo da parte l’anima da videogiocatore e ho approcciato il film come una persona qualsiasi che va al cinema per vedere un film d’avventura chiamato Uncharted. Grazie al cielo non esistono solo videogiocatori accaniti a questo mondo ed è fuori da essi che la pellicola con Holland ha qualche possibilità di presa.
L’incipit è il più classico dei classici: un giovane ladro chiamato Nathan Drake cresce insieme al fratello, ai miti di tesori nascosti, eventi storici alternativi e il piacere per il brivido. L’avventura è nel suo sangue e questo mix nelle vene lo rende un giovane sbarazzino che sfrutta le abilità nel gioco di mano per rubare e arrotondare lo stipendio da barista nelle grandi metropoli. Fino a quando però il passato non bussa alla sua porta nei panni di Mark Wahlberg o Victor “Sully” Sullivan: un collega del fratello scomparso di Nate, ladro professionista e classico avventuriero dalla scorza ruvida. Grazie a un’offerta allettante a un collegamento evidente con la storia passata della famiglia di Nate, i due si uniscono per riuscire a trovare un favoloso tesoro che Magellano aveva puntato nella sua famosa spedizione navale.
Il viaggio è il classico percorso che descrive il film d’avventura medio, fatto di cattivi incontrati in eventi altolocati, scazzottate varie, amori mischiati a doppi e tripli giochi, inseguimenti in città dalla colonna sonora inspiegabilmente medio orientale, profezie e scritte da interpretare… insomma il pacchetto completo. Uncharted in questo non sorprende, nel senso che non trova chissà quali trovate originali che ridefiniscono il genere o che cambiano i paradigmi dell’Indy-like (sì l’ho creato ora), piuttosto tenta di dare sapore al film attraverso le relazioni che intercorrono tra i vari personaggi del cast, con al centro il duo Nate/Sully. Devo ammettere che la combinazione tra Holland e Wahlberg funziona molto bene e riesce a dare un rapporto effettivamente equilibrato tra il giovane ladro e l’anziana carogna.
La mia paura iniziale era quella di vedere un Nate troppo sottomesso a Sully, troppo studente per così dire, invece i due hanno continui botta e risposta che tengono il punteggio nella parità, tanto che lo stesso Holland ha confessato di aver trovato una chimica particolare con Mark, che è comunque più ferrato del giovane attore ed ha uno storico d’azione abbastanza lungo, oltre che con ruoli da stronzo verso i teenager abbastanza frequenti (Transformers tanto per dirne uno, ma meglio dimenticare). Neil Druckmann, del resto, premise che per lui l’importante era la chimica tra i due protagonisti del film, quello era l’unico tratto di Uncharted da dover trasporre fedelmente, e per quanto mi riguarda è un qualcosa che traspare in ogni momento, seppur ci siano attimi forse un po’ troppo estrapolati dal contesto dell’avventura e al limite del cringe. Ma magari sono solo vecchio io e il target è un pubblico più giovanile.
Chi ne esce male è la parte dei cattivi, completamente inutile a partire da Banderas e arrivando fino a Braddock. Il primo fa quello che deve ma ha un ruolo talmente mal gestito da essere lì solo per far da contrapposizione ai nostri eroi, fallendo anche in quest’unico compito visto che in buona parte delle due ore del film Nate e Sully fanno quello che vogliono. Ricordate le sparatorie e le ondate di mercenari di Uncharted? Ecco, non venite in sala aspettandovi scene simili. L’unico momento in cui c’è un vero scontro ben orchestrato è la famosissima scena dell’aereo che perde il carico in volo, ripresa direttamente dal gioco e uno dei migliori momenti del film a mani basse, il quale sfrutta benissimo le doti atletiche di Tom Holland. Dopo di che, solo il finale ci riporterà a un momento equamente epico, condensando quindi i momenti più alti del film a questi due attimi da vera cinematografia d’azione.
Però, anche in essi, i cattivi sono ininfluenti e le interpretazioni degli attori, i quali tentano di far emergere un certo carisma, non bastano a salvare una scrittura ridicola per le loro parti. Riprendendo Indiana Jones o i stessi giochi, l’opposizione e la caratterizzazione di chi andava contro la banda Drake era evidente, capace di emergere da dialoghi e situazioni particolari, tratti fisici marcati e storie legate comunque al contesto del tesoro che si cerca. Qui, sebbene il legame ci sia, è talmente flebile e mal spiegato da essere solo una mera interruzione allo spazio sullo schermo per Nate e Sully. E questo, purtroppo, mina l’adrenalina del film che alla fine della fiera è solo una serie di enigmi da risolvere senza troppi intoppi, trasformando quindi la tensione di una grande caccia al tesoro perduto in una flebile fiammella che si regge sulle spalle dei due protagonisti.
Infine, Uncharted nasce già palesemente inconcluso, avviando fin dai primi minuti una vicenda che non avrà risoluzione alcuna e che invece fa da apripista a possibili seguiti cinematografici che, per carità, non rifiutiamo sebbene ci aspettassimo che l’aggancio non fosse così portante nel primo film, tanto che l’elemento risolutivo è costantemente spalleggiato da un fattore che non entra per niente in gioco nella pellicola. Una roba fin troppo intrusiva, tanto da rendere anche meno chiuso il caso del tesoro alla mano, sottraendo dei dettagli o dei percorsi logici in favore di un deus ex machina che opera per corrispondenza.
Ed è un peccato che ci siano così tanti buchi nella mappa del film di Uncharted, perché ci sono anche elementi ottimi come una fotografia ispirata e una colonna sonora azzeccata per un prodotto che già di per sé ne ha in abbondanza per 4 capitoli digitali, oltre che alle performance attoriali già citate. Se avesse distanziato di più l’attenzione dal trio di ladri e curato un po’ di più ciò che lo circondava, Uncharted sarebbe la perfetta origin story per un nuovo e intrigante personaggio d’avventura classico. Invece, per quanto godibile, è un film che finisce per farti apprezzare tutti i film in cui The Rock va nella giungla e indossa gli stessi vestiti seppur in pellicole completamente slegate.