Tutto ciò che volevi sapere su Batman – Terza Parte
Ultima parte dello Specialone su Batman, con una resa dei conti tra le incarnazioni cinematografiche, un affondo nel prezioso ricordo della serie animata e uno sguardo al futuro.
Riassumendo quanto detto finora (nella prima e seconda parte di questo speciale) riguardo ai film di Batman: ogni incarnazione sembra l'antitesi della precedente. Il campy (di Adam West) rimpiazzato dal gothy, rimpiazzato dal kitschy, rimpiazzato dal gritty, rimpiazzato dai (brivido) "fumettosi" Batman vs Superman e Justice League.
(Non sono riuscito a trovare un equivalente inglese per "fumettosi"; meditiamo.) (Comicsy? Nd Lorenzo).
Escludo le due ultime apparizioni cinematografiche dal discorso, in quanto film corali, per cui l'assenza degli elementi superflui da nominare è giustificabile. Snyder e (ma va?) Whedon si appiattiscono su una regola di vaga coerenza visiva, con il DCEU attratto gravitazionalemente dal MCU; non potrebbe essere altrimenti.
Non al cinema, ma esiste invero un centro di equilibrio attorno a cui tutte le incarnazioni possono ruotare liberamente: è Batman: The Animated Series (TAS), iniziata nel 1992, la portatrice della quintessenza, che prende la Gotham delle origini di Kane, la inietta di noir e art déco e la lancia nell'atemporalità di Burton. Il catologo dei villain diventa decisamente iconico, e d'altronde nessun viso umano potrà più scalzare quel tratto essenziale, arrivato col giusto tempismo, perlomeno nell'immaginario delle generazioni coinvolte.
Nell'affascinante e paraculo Arkham Asylum di Morrison, la psichiatra del Joker gli diagnostica uno pseudo-disturbo mentale inedito: il supervillain sararebbe affetto da un superplus di adattamento alla vita moderna, che ne riplasma quotidianamente la personalità, in maniera totalmente caotica. Quale miglior metatesto per un mondo così soggetto a riletture? Ebbene, il Joker più fungibile e duttile tra tutti è quello doppiato da Mark Hamill nella serie animata, ed allo stesso modo è baricentrica quella Gotham, ed ogni suo altro abitante.
Timm & Radomsky hanno affrontato il difficile compito di inserire elementi di interesse per spettatori di quasi ogni età, muovendosi ai limiti della censura e riuscendo sontuosamente, aprendo il solco tracciato dal successo commerciale del primo film di Tim Burton.
La media è alta, ma alcuni particolari episodi della prima, celebrata stagione sono indimenticabili. Gli autori (T&R, sempre loro) citano L'Uomo Pipistrello (On Leather Wings), il primo episodio, come una sorta di manifesto della serie. E provate a nominarmi qualcosa di più natalizio di Joker che evade da Arkham in sella ad un razzo-abete (Christmas With The Joker); scambio inoltre un wi fi high five con chiunque, come me, abbia tra i momenti d'infanzia preferiti il suicidio di Bruce Wayne ne Il Sogno (Perhance to Dream).
Siamo 6 anni prima di Matrix.
La genesi di Batman TAS è davvero curiosa. Bruce Timm aveva appena scritto Bat's All Folks, un episodio dei Tiny Toons, con Plucky Duck protagonista nel ruolo di Batduck. Si tratta ovviamente di una parodia, ma è ricca di riferimenti a opere e momenti cult di Batman.
La direttrice di Warner Bros Animation chiamò poi a raccolta i team di animazione, con l'intento di lanciare nuove proprietà intellettuali in televisione. Timm tornò alla scrivania e disegnò la prima versione del suo personaggio, partendo dalle stesse atmosfere utilizzate nel corto. La direttrice, Jean MacCurdy, apprezzò il lavoro e presentò Timm a un background artist dei Looney Toons che aveva qualche buona idea su che aspetto potesse avere Gotham; si trattava ovviamente di Eric Radomsky. Insieme realizzarono il pilot, e poi tutto il resto.
Il Batman di Timm & Radomsky sopravvive perfettamente in salute nella quadrilogia videloudica di Arkham (o trilogia più prequel, se preferite).
La primigenia ispirazione è lampante e dichiarata dallo stesso Sefton Hill, insieme a Jamie Walker a capo di Rocksteady Studios; è proprio lui a parlare della quintessenza della Batman TAS. La scelta delle voci di Conroy e Hamill (le stesse anche in italiano: Balzarotti/ Peroni) sono i sigilli della continuità, insieme ovviamente all'immancabile Paul Dini, ideatore del primo capitolo, co-ideatore del secondo, produttore di Batman TAS e, non è un caso, ideatore anche di quel Bat's All Folks.
Il gameplay della quadrilogia, semplice e schematico, è del tutto subalterno all'aspetto immersivo: se questi titoli sono oggettivamente buoni, per i fan sono appagamento assoluto. Una dose di puro principio attivo dopo decenni di roba tagliata con (mediamente buoni) adulteranti.
Vale più o meno lo stesso discorso per il film Lego, con le dovute proporzioni e nel relativo contesto. Paul Tassi, su Forbes, propone un esercizio molto semplice, da prime ore di scuola di cinema: isola gli elementi della trama, per valutarli asetticamente solo in quanto tali; ne conclude che la storia supera per distacco i live action in quanto a coolness e spunti offerti. Poi, certo, la trama non basta (è anzi un elemento sopravvalutato). Il film è formalmente uno spin-off dell'altrettanto bello e psichedelico The Lego Movie, ed assolve al suo compito: intrattiene tutte le frange di spettatori, su più livelli. Lo fa in maniera diretta, liberatoria, esagerata. Rispetto alle sue ambizioni, il film è perfetto.
L'Alpha Yellow Cis Male esce vivo dall'incontro con un pubblico più anagraficamente vasto del normale, almeno dai tempi di Schumacher. E quello di oggi è anche un pubblico molto più sensibile, consapevole ed isterico di quello di allora.
Ne esce vivo facendo massiccio uso di autoironia, l'arma che il cliché riconosce ai più astuti.
La utilizza contro le accuse di sedurre gli innocenti, e vince l'altro cliché: l'omofobo è
un omosessuale represso (ammesso che Batman appartenga a una delle due categorie).
Dopo lo "homophobic nightmare" di Miller, ed il Joker queer coded di Morrison, il rapporto tra le due nemesi di Gotham si è stratificato a sufficienza da poterne ridere.
Le battute gay-friendly, e in generale il tema della famiglia largamente intesa, possono ormai urtare soltanto la sensibilità di alcuni anacronistici conservatori che il solido marchio Lego può permettersi di calpestare senza timidezza; in casi come questo, il rainbow washing era l'unico epilogo possibile.
Guardiamo al futuro: la splendida sequenza del salvataggio di Martha Kent (picco cinematografico assoluto di Batman) in BvS è molto in stile Rocksteady Studios, e pare che il nuovo film di Matt Reeves potrebbe consolidare la tendenza (e questo è bene). Inoltre, il regista ha dichiarato di voler usare come incipit una rivolta nel manicomio di Arkham (pure questo è bene), il commissario Gordon sarà interpretato da un pompatissimo J.K. Simmons (benissimo) e sempre Reeves ha aggiunto di volersi ispirare proprio a lui, a Alfred Hitchcok, benissimo anche quest... aspettate un momento. Cosa? Ma no. Non è affatto baricentrico, non è quintessenziale.
Però farlo alla Hitchcok, accidenti, mica male come suggestione. Ci vogliamo credere?
Fanculo tutto quello che ho scritto; facci sognare, Matt.
Ah, non dimentichiamo poi che siamo nella preistoria della VR e che un assaggio del futuro videoludico di Batman lo abbiamo già.
Quando sarà il momento di indossare il casco e finalmente essere lui (ma non in quel senso), potremo sfrizionarci i capezzoli in libertà. Oppure, a mo' di periferica aggiuntiva di realtà virtuale, attaccarli con dei morsetti a una batteria per auto.
Non che io lo farei, cioè, comunque non perché mi piaccia, ecco.
Sapete, per l'aspetto immersivo eccetera.
#freethebatnipples