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The Midnight Club, il teen drama horror di Mike Flanagan

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In The Midnight Club c’è un’invocazione ricorrente, pronunciata in coro in ogni episodio dello show: «A coloro che sono venuti prima e a coloro che verranno dopo. A noi adesso, e a chi è dall’altra parte. Visibile o invisibile. Qui, ma non qui». Queste parole racchiudono i punti chiave della serie che Mike Flanagan ha ... The Midnight Club, il teen drama horror di Mike Flanagan

In The Midnight Club c’è un’invocazione ricorrente, pronunciata in coro in ogni episodio dello show: «A coloro che sono venuti prima e a coloro che verranno dopo. A noi adesso, e a chi è dall’altra parte. Visibile o invisibile. Qui, ma non qui». Queste parole racchiudono i punti chiave della serie che Mike Flanagan ha realizzato per Netflix nel 2022. Sottolineano l’appartenenza a una comunità e l’incombere della morte sulla vita.

Mike Flanagan non ha bisogno di presentazioni: è una figura di spicco sia nella serialità streaming, sia nel cinema horror contemporaneo. Per Netflix, ha realizzato quattro serie e miniserie. Tre di queste, compresa The Midnight Club, sono adattamenti di materiale letterario. Si prendono parecchie libertà rispetto alle opere da cui sono tratte, al punto da essere più che altro dei remix di loro elementi dentro a una storia nuova, come nel caso di Hill House e Bly Manor, le due miniserie più vecchie.

Lo Young Adult di Christopher Pike in The Midnight Club

Con The Midnight Club, Flanagan approccia un tipo di storia che ancora non aveva esplorato a fondo, ovvero il romanzo di formazione Young Adult. Il libro su cui si basa è un romanzo del 1994 di Christopher Pike. Per chi ha suppergiù la mia stessa età, Pike potrebbe essere un caro ricordo pre-adolescenziale o magari un bel trauma annidato tra le memorie degli anni Novanta. Lo scrittore americano infatti è specializzato proprio in narrativa thriller e horror per ragazzi.

 

Ho un flashback del suo romanzo L’avvoltoio pubblicato da Mondadori nella storica collana SuperJunior. I libri di Pike avevano delle copertine inquietantissime disegnate da Angelo Stano, un artista che ha fatto alcune delle più belle tavole e cover di Dylan Dog. All’epoca non ero ancora fan dell’horror perché mi creava dei severi disturbi psico-fisici; ma come tutti a quell’età flirtavo con l’abisso, per cui quel romanzo a un certo punto devo avere provato a leggerlo, e nei miei ricordi è terrificante.

Non mi ha troppo stupito quindi scoprire che Flanagan avrebbe adattato qualcosa di Pike. Quasi tutto quello che Flanagan fa a un certo punto diventa davvero spaventoso. Allo stesso tempo, lo Young Adult sembra un passaggio obbligato per lui, dato che ha un approccio molto sensibile alle sue storie, adatto a questo tipo di racconto.

 

Abbiamo già visto in molti modi come Flanagan sa essere sentimentale ma anche un po’ perverso. Il suo è un mondo in cui un po’ bisogna spezzarti il cuore, un po’ bisogna confortarti tra le lacrime; sempre ammesso che tu non abbia avuto un infarto prima. Insomma, è un adorabile narratore di storie attorno al fuoco.

Qual è il rito di passaggio di The Midnight Club

Quest’anno, il fuocherello che scoppietta nel camino Flanagan l’ha proprio materializzato. The Midnight Club è la serie di Halloween per eccellenza per una lunga serie di motivi. Uno di essi è che il “club di mezzanotte” del titolo è formato da un gruppo di ragazzini che si ritrovano proprio per raccontarsi storie del terrore davanti a questo fuoco.

 

Creata assieme a Leah Fong, la serie si articola in 10 episodi ambientati in un hospice per adolescenti. E qui cade il primo macigno: sì, The Midnight Club ha per protagonisti un gruppo di teenager malati terminali. Sono loro quelli che di notte si ritrovano per stare insieme e parlare di ogni sorta di avvenimento terrificante legato a quell’oltretomba che li aspetta dietro l’angolo.

È una bella sfida, per un racconto Young Adult. Questo tipo di storia di solito parla di formazione nel momento del passaggio all’età adulta. Ma i protagonisti di The Midnight Club – in teoria – all’età adulta non ci arriveranno mai.

 

Quindi, cosa riguarda la loro formazione? E in che modo Flanagan e Leah Fong affrontano questo tabù così terribile per la nostra società, ovvero il fatto che in fondo stiamo tutti morendo?

L'arco di trasformazione della protagonista

Siamo terrorizzati dalla nostra stessa mortalità, al punto da avere difficoltà a pensarci. L’horror proprio per questo diventa una specie di esorcismo collettivo dalla paura, una catarsi attraverso l’esagerazione grottesca dei corpi in dissoluzione e dello stravolgersi degli equilibri della realtà.

 

The Midnight Club però affronta quello che è davvero un pensiero inconcepibile. Non solo la morte, ma la morte di persone molto giovani. Si tratta di qualcosa che la mente respinge come del tutto innaturale. La serie invece con calma e naturalezza ricava uno spazio sicuro in cui passare del tempo con questo pensiero.

La protagonista Ilonka affronta un arco di trasformazione tra i più particolari che si possano trovare in un teen drama. Siamo in controtendenza con quello che di solito ci viene detto da questo tipo di storia, e cioè che bisogna combattere per sconfiggere il proprio antagonista, in questo caso la malattia, che qui potrebbe diventare come il mostro di un film dell’orrore, da espellere simbolicamente nel finale. Ma fin dall’inizio è chiaro che non è questo il percorso di Ilonka.

 

Il suo arco semmai è indirizzato a farle accettare la propria condizione e con essa l’inevitabile. Non come una sconfitta, ma come qualcosa che fa parte della sua stessa vita. C’è comunque una lotta nel percorso di Ilonka, per la quale combattere diventa un atto d’amore per il prossimo. Ciò viene rappresentato in maniera eclatante nella sottotrama che riguarda il suo rapporto con Anya, la compagna di stanza che è quasi una co-protagonista.

SPOILER ALERT

Anya è un’eroina di quelle particolarmente dure e tormentate, l’unico personaggio principale a lasciarci per davvero durante la stagione, e che per questo in un certo senso ruba la scena a tutti, protagonista compresa. L’episodio 7, intitolato proprio “Anya”, non è solo un tributo al personaggio, ma anche un’attestazione dei valori della serie.

 

Potremmo dire che la morte di Anya è il vero rito di passaggio mostrato dalla prima stagione di The Midnight Club. Questo evento è preceduto da un rituale magico che gli altri ragazzi compiono nel tentativo di salvarla, durante l’episodio 6. La serietà che i personaggi mettono in questo tentativo commovente di dare nuova vita alla loro compagna cementa quello che era già comunque chiaro. E cioè che il percorso di questi personaggi verso la morte racconta soprattutto ciò che condividono nel momento in cui la affrontano insieme.

Il gruppo di malati del Brightcliffe Home Hospice è una famiglia composta non da legami sangue, ma da legami affettivi tra pari. Quello che conta di più per loro è il senso di appartenenza a questo gruppo, una comunità identitaria che per forza di cose finisce per essere più famiglia anche della famiglia di provenienza. Non importa quanto amorevole sia il padre affidatario di Ilonka; nessuno, tranne gli ospiti del Brightcliffe, può condividere così bene quello che lei sta attraversando.

 

Questo nucleo di personaggi si comporta come il miglior gruppo di supporto possibile. Hanno un ampio spazio di manovra lasciatogli dalla direttrice Georgina Stanton, interpretata da Heather Langenkamp in un ruolo che rimanda a quello che ricopriva in Nightmare 3, un film che per ambientazione ha una vaga parentela con The Midnight Club.

Lasciato libero di autodeterminarsi almeno psicologicamente, il gruppo di adolescenti del Brightcliffe mostra una maturità e una consapevolezza straordinarie. Sono bravi a sdrammatizzare. Non ne possono più della pietà e del terrore che suscitano nei non-malati.

Che cos'è davvero il Midnight Club?

I ragazzi formano una comunità separata, che in questa separazione ha trovato dignità e amore. Praticano la loro autoconsapevolezza raccontandosi storie di terrore e morte che esorcizzano i traumi subiti nelle loro brevi vite e le paure che li accompagnano verso la fine.

 

Per quanto la serie sia impostata come teen drama horror, penso che sia una storia davvero universale: il Midnight Club siamo tutti noi, l’umanità mortale. Siamo qui e sappiamo che a un certo punto non ci saremo più. Abbiamo un problema enorme nell’accettarlo, e soffriamo immensamente sia per questo, sia per la perdita dei nostri cari che trapassano prima di noi.

 

La serie fotografa un tipo particolare di lutto: quello per la perdita degli amici, dei coetanei, dei propri alter ego. I personaggi dello show non devono affrontare solo la propria morte, ma anche quella delle persone a cui si sono legati in questa nuova famiglia.

Per questo la loro invocazione è così efficace: ci riguarda tutti, possiamo capire tutti che cosa significa. Ci stringiamo metaforicamente attorno a chi è stato e a chi sarà. Siamo parte di un tutto che scorre: i vivi di oggi, i morti di domani. Una enorme comunità che attraversa le epoche e persino i mondi.

 

The Midnight Club è la serie perfetta per Halloween anche per come inquadra questo sentimento di confine labile tra la vita e la morte. Halloween non è solo un carnevale in cui ci travestirsi per una festa. La notte del 31 ottobre dà l’inizio al periodo in cui si commemorano i santi e i morti, secondo il calendario cristiano. Nella cultura pop, in particolare quella fantastica e horror, Halloween viene rappresentato spesso come un momento in cui c’è una fusione tra mondo terreno e ultraterreno, una notte in cui i morti possono magari ritornare o lasciare una traccia materiale del loro passaggio. Come nelle storie di fantasmi, chi è trapassato manifesta ancora la sua presenza.

The Midnight Club è una storia di fantasmi?

Ogni componente del Midnight Club promette agli altri che farà di tutto per manifestarsi, qualora dovesse morire per primo. I personaggi giurano di mandare un segno, per rassicurare i loro amici dell’esistenza di un’altra dimensione che li attende. Alla fine della stagione, non sappiamo se saranno in grado di mantenere questa promessa o meno, ma credo che il punto non sia mai stato quello. Non è una serie che parla davvero dell’esistenza di un altro mondo.

 

Piuttosto, The Midnight Club come tutte le altre storie di fantasmi di Flanagan, rappresenta il passaggio dall’altra parte come una trasformazione che non può interrompere l’esistenza di legami e relazioni tra le persone. Questa è un’esperienza molto realistica: non è di certo la morte a cancellare la presenza dei propri cari dalle nostre vite. La continuiamo ad avvertire, anche se non in modo fisico e concreto. Qui, ma non qui, come dice l’invocazione del Midnight Club.

Dopo un primo episodio carico di tutta l’estetica horror per cui conosciamo Flanagan, la serie prende una piega più morbida. Mi sento comunque di definirla “horror”, però lo è meno rispetto alle precedenti. In questo, riprende lo spirito del romanzo di Pike, che non è di certo uno dei suoi più truci, e anzi, è soprattutto una storia drammatica e commovente – due termini che si adattano benissimo allo spirito di Flanagan.

La serie rispetto al libro di Christopher Pike

La serie, come il libro, ha un aspetto antologico. La sua struttura non è regolarissima, però da ogni puntata possiamo aspettarci almeno un racconto attorno al fuoco, che si collocherà dove meglio soddisfa le esigenze dell’episodio. In alcuni casi, sarà un racconto serializzato, diviso tra più puntate per aumentare la suspense. La maggior parte delle volte, sarà autoconclusivo.

 

La writer’s room ha scelto di ripercorrere il catalogo di Pike, inserendo in quasi ogni puntata un racconto adattato da uno dei suoi altri romanzi. Di quelli selezionati però soltanto uno è stato tradotto in italiano, cioè L’eterno nemico, che ispira il racconto fantascientifico di Spencer nel nono episodio.

I racconti del Midnight Club riprendono elementi della trama principale, mostrando come i ragazzi usino la narrazione per rielaborare i conflitti e i problemi del loro quotidiano. Questa operazione di remix in un certo senso ricorda quella che Flanagan compie ogni volta che adatta un romanzo. Pensate a Hill House: la sua storia non assomiglia a quella del romanzo di Shirley Jackson; eppure, l’intera miniserie è permeata di elementi che provengono proprio da lì. La rielaborazione del reale compiuta dai narratori del Midnight Club assomiglia al metodo dello stesso regista.

 

Flanagan e i suoi collaboratori qui però usano il linguaggio dell’horror con grande ironia. In particolare, sembra che Flanagan stesso prenda un po’ in giro lo stile che lo ha reso più famoso, cioè quello dei jump scare che ha seminato in Hill House, per esempio. Quest’autoironia sottolinea il clima di sdrammatizzazione della tragedia che accompagna l’intera storia dei protagonisti.

Come risultato, avremo alcune puntate non particolarmente horror, il che potrebbe provocare una piccola delusione in chi è più affezionato a questo lato dell’opera di Flanagan. A me è piaciuto molto l’ottavo episodio, Road to Nowhere, proprio per come si torna più marcatamente sul binario del terrore con lo spazio dato al racconto fatto da Natsuki. È a sua volta l’adattamento di un romanzo di Pike e ha dei toni decisamente alla Stephen King, un punto di riferimento costante per Flanagan. L’episodio è diretto da Viet Nguyen ed è scritto da Flanagan con Julia Bicknell.

Il lavoro di adattamento

Nel corso della stagione, l’autoironia di Flanagan accompagna sempre tutte le componenti horror della trama orizzontale, a partire dall’effetto sonoro che viene attribuito all’apparizione che perseguita la protagonista. Ogni singola volta che questo fantasma le si manifesta, sentiamo lo stesso rumore tipico da jump scare. È volutamente un cliché un po’ ridicolo. Credo che sia il modo di Flanagan per ricordarci che non dobbiamo avere davvero paura e che in fondo si sta scherzando anche quando la situazione sembra seria.

Come sempre, Flanagan e la sua squadra fanno attenzione a rimescolare le carte rispetto al materiale originale da cui si trae la storia, il romanzo The Midnight Club di Christopher Pike. Alcuni degli elementi principali rimangono, come la storia d’amore tra Ilonka e Kevin. Altri, vengono invece completamente ribaltati, come la natura del Midnight Club stesso. Nel romanzo di Pike, è un gruppo segreto che nasce e muore coi suoi partecipanti. Nella serie invece diventa una tradizione dell’hospice, un gruppo permanente che cambia continuamente i partecipanti a mano a mano che lasciano questo mondo. È una scelta coerentissima con lo spirito della serie, per il quale il Midnight Club in sostanza siamo noi che guardiamo lo show confrontandoci con la nostra mortalità.

Alla storia di Pike, la writer’s room aggiunge una sottotrama dell’occulto con una setta di cui però non scopriamo tutto. La faccenda è chiaramente rimandata a una seconda stagione che ancora non sappiamo se ci sarà. Oltre a movimentare il racconto, questa sottotrama serve a puntellare l’arco della protagonista Ilonka, che come abbiamo visto è tutto impostato sulla sua necessità di accettare il fatto di stare per morire. La storia Ilonka volendo non è ancora finita, ma attraverso i rituali narrativi del Midnight Club, il suo arco raggiunge comunque un compimento al termine della stagione. Il suo rito di passaggio è raccontare una storia in cui la protagonista, suo alter ego, accetta di morire.

Come giudicare The Midnight Club

Nel complesso, ho trovato la serie efficacissima per tutte le ragioni di cui vi ho parlato. Riguardo al formato, avrei preferito che ci fossero meno di 10 episodi, perché nella parte centrale ho avvertito un rallentamento, una mancanza di varietà. Si tratta di una storia commovente e dolorosa, che non si presta a una visione leggera per cui avrei preferito che rimanesse più concentrata. Non tutti i personaggi riescono a spiccare, anche se la loro presenza affollata ravviva il concetto di Midnight Club che Flanagan voleva rappresentare. Parlando sempre di gusto personale, l’avrei preferita se fosse stata un po’ più horror.

In coda a questa analisi aggiungo una brevissima riflessione da persona che si occupa da molti anni di critica cine-televisiva: la serie di Flanagan non è esente da difetti, quasi nessuna delle sue opere televisive lo è del tutto. Credo però sia fondamentale discernere quando qualcosa non mi convince appieno non tanto per come è costruito, ma perché non è necessariamente destinato a me come target primario.
Quando da adulti ci troviamo davanti a un teen drama e ci arrabbiamo perché non ci fa impazzire dall'entusiasmo, facciamoci due domande sul rapporto che abbiamo con i media e su quello che ci aspettiamo da loro. Nel caso specifico, proprio per il lavoro personalissimo che Flanagan fa qui con lo Young Adult, penso che The Midnight Club vada considerata l’ennesimo grande traguardo di uno degli autori più brillanti sia della tv, sia del cinema di oggi. Spero che la sua vena non si esaurisca mai.

 

Una versione audio di questo articolo è uscita come episodio del podcast Attraverso Lo Schermo.

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