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The great pop swindle: la truffa nell'immaginario pop

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Come abbiamo imparato a non avere paura e amare la truffa, ovvero: perché le "heist stories" hanno così successo?

Questo recente "La truffa" è il primo capitolo di 7 Crimini, la nuova serie di Tunué dedicata al crime, e assume un punto di vista particolarmente interessante. Per realizzarla si incrociano infatti innanzitutto le penne di una sceneggiatrice di vaglia come Katja Centomo, che è stata tra le altre cose fondamentale nell'affermazione del "manga europeo" a cavallo del 2000 con opere come Monster Allergy, a capo - anche oggi - dello Studio Red Whale, e quella di un avvocato, Emanuele Sciarretta, che offre una maggiore sistemazione sotto il profilo dei riferimenti giuridici, garantendo così la fondatezza della storia di fiction, che resta comunque, almeno in questo primo caso, estremamente avvincente.

 

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Il progetto complessivo prevede sette graphic novel che guidino il lettore alla scoperta ogni volta di un crimine diverso, sette "crimini capitali" potremmo dire, dato il numero certo non casuale che ci guida in altrettanti gironi infernali moderni del crimine in ambito giudiziario. Nella parte finale del volume, a ribadire questa impostazione fondata sotto il profilo contenutistico legale, il tipo di crimine dell'albo viene indagato e approfondito da giuristi esperti e professionisti del foro. A guidare questo percorso tra la fiction e la legge, un testimonial d’eccezione: Massimo Picozzi, psichiatra e scrittore, star televisiva e indomito esploratore dei territori più oscuri e sconosciuti della psiche umana.

 

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La serie è costruita attorno a una storia di cornice, dove in una sorta di Legal Decameron vediamo i narratori bloccati in un rifugio alpino, intenti a narrarsi "sette crimini esemplari" come i giovani del Boccaccio in una sorta, se vogliamo, di Eptameron giudiziario. La voce narrante però sarà sempre quella di Massimo D’Ettori, un magistrato fuori dagli schemi che ha avuto modo di indagare nella sua carriera.

La storia di cornice è realizzata da Daniele Caluri, fumettista di grande esperienza, noto in particolare per il dissacrante personaggio di Don Zauker realizzato in un rodato team con Pagani, in un sarcasmo anticlericale compiaciutamente eccessivo ma sempre perfettamente congeniato, premiato con Gran Guinigi e Micheluzzi.

 

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La storia interna, invece, vede il segno di Marco Caselli, autore anche di Metastasi (2011) e, con Tunué, Cassandra (2012). Il suo stile per certi versi avvicinabile all'euromanga, sia pure in una declinazione personale, specie nella sintesi dei corpi e dei volti, lo rende idoneo a una storia che, pur nella correttezza dei rimandi legali di cui abbiamo detto, non rinuncia per contro al gusto dell'intrattenimento fumettistico con un intreccio complesso, ricchissimo di colpi di scena, doppi e tripli piani, su cui non ci soffermiamo poiché è nel seguire le giravolte della trama che sta il piacere per il lettore.

Molto interessante ci appare il montaggio di tavola di Caselli, con un gusto invece più vicino a certe scelte del fumetto americano, con occasionali splash page ma soprattutto frequenti inset pages dove i tasselli delle singole vignette sono intersecati con soluzioni che mirano a rafforzare il più possibile la varietà visiva della storia. Buono l'uso del bianco e nero, a contrasto netto con tavole più luminose nelle prime mosse della storia e altre più cupe laddove l'azione diviene più drammatica.

Ma, al di là della piacevolezza e della cura dell'opera, che andrà valutata meglio all'interno della struttura globale di questi "sette piani" del crimine, è intrigante la domanda che pone implicitamente: ovvero le ragioni della fascinazione di letteratura, cinema, fumetto e altri media per il tema della truffa.

 

 

Nella cultura medioevale, infatti, Dante dà la massima condanna per la Frode, destinando i vari tipi di truffatori, che ingannano "chi non si fida" (o, almeno, non dovrebbe fidarsi...) alle Malebolge, il più profondo dei tre grandi compartimenti degli inferi, molto peggio degli Incontinenti - che non contengono le passioni, anche se il termine suscita le ironie liceali... - e dei Violenti, a cui nella cultura moderna daremmo forse un posto più basso: mentre l'Ottocento puritano certo avrebbe punito più gravemente chi non controlla le pulsioni erotiche). Peggio dei vari frodatori ci sono solo i traditori, i quali usano l'inganno, più colpevolmente, di chi si fida di loro: amici, parenti, la patria o Dio stesso (col sommo traditore Lucifero che divora i traditori di Cristo e Cesare).

 

 

Già il grande autore successivo, Boccaccio, agli albori dell'Umanesimo, non può però invece nascondere l’ammirazione per l’inganno, la beffa, anche quella “just for the LOLZ” come gli atroci ma spassosi inganni di cui è vittima Calandrino, ma anche molte truffe raffinate come quella che colpisce Andreuccio da Perugia, trasposta anche al cinema da Pasolini in un episodio magistrale del suo Decameron. Il volume di Boccaccio, come i numerosi imitatori rinascimentali, mettono in scena una indiscussa ammirazione del mondo borghese per la frode ben riuscita, magari dissimulata sotto un certo scopo di ammaestramento del giovane lettore e giovane lettrice, che rimirando l'astuzia degli ingannatori, imparano intanto un po' a sapersene difendere.

 

 

Nel moderno sistema dei generi il genere della heist fiction o della caper fiction (basata cioè, appunto, su una complessa truffa) mantiene un posto di primo piano. Già nel giallo classico, Holmes ha un penchant per Irene Adler, abile truffatrice che è l'unica donna ad averlo battuto (insieme a tre uomini, variamente identificati), resa importante anche nei recenti, sia pure infedeli, film di Guy Ritchie. Agatha Christie riadatta il topos per il suo - pur poco amato, ma di enorme successo e ottima scrittura - Hercule Poirot, che ha quasi una infatuazione per la "contessa russa" Vera Rossakoff.

 

 

Il successo forse viene ancora di più con lo strutturarsi del genere in ambito cinematografico, a partire dagli anni '50 (per quanto i generi si formino col sonoro, i "crime movies" degli anni '30 sono più legati al gangsterismo allora presente e idealizzato della jazz age proibizionistica appena conclusa). Il modello, per molti, è "The Asphalt Jungle", del 1950 tratto da un romanzo di Burnett del 1949, il cui successo produsse la fioritura di questo sotto-genere della truffa, all'interno di una generale ulteriore specializzazione cinematografica di quegli anni. Giustamente 7Crimini accenna alla "Stangata" (1973), ritenuto il massimo classico del genere: ma il successo è continuativo, con film anche recenti come il ciclo di "Ocean's Eleven" (2001) con Clooney, che è del resto il remake di un film del 1960.

 

 

Probabilmente questo sottogenere del crime funziona specificamente perché sa edulcorare in giusto grado il piacere proibito dell'identificarsi in un criminale, aggiungendovi il fatto che, usualmente, i suoi crimini non sono cruenti (almeno, non necessariamente), e la vittoria - ottenuta con l'intelligenza piuttosto che con la forza - risulta più credibilmente impunita, contribuendo al culto della "adorabile canaglia" cui perdoniamo tutto (così come il lettore empatizza anche con la truffaldina eroina del primo capitolo di 7Crimini).

 

 

Se il fumetto anni '50 vede ancora Crime Comics più truculenti prima che questi siano censurati sotto la mannaia dello psicologo antifumettistico Wertham, i fumetti neri italiani hanno un capostipite anomalo nel Diabolik (1962) delle Giussani che, assieme alla comprimaria Eva Kant, usa senza problemi la violenza ma col tempo volge verso un gioco prevalentemente di intelligenza (pur mai del tutto incruento): e se c'è l'abilità sovraumana dello scasso, l'immaginario del lettore è forse più colpito dal rutilante vorticare di travestimenti e complotti allestiti dal criminale per i suoi scopi. Soprattutto Eva è meno violenta e decisamente predilige l'inganno e la truffa piuttosto che sopraffare fisicamente o uccidere, quando non la muove un risentimento personale: il carattere del personaggio, al di là del fatto di riflettere un po' uno schematismo di genere, ne ottiene una sua specificità che le danno un ruolo sostanzialmente alla pari del protagonista.

 

 

I molti eredi, "in chiave di K" oppure no, saranno invece tendenzialmente più brutali; mentre i Bonelliani sono quasi tutti finora legalitari, e la "adorabile canaglia" della truffa può apparire al massimo come rivale puntualmente sconfitto dal detective di turno: i casi più tipici appaiono forse nella criminologa Julia, che declina in forma più pura il giallo-noir. La protagonista, personaggio affascinante e tra i più riusciti bonelliani, ha un suo rigoroso codice morale e - sotto l'apparente freddezza clinica - gli ingannatori sono i criminali verso cui è più insofferente. Ovviamente, all'origine di tutto ci sono i grandi criminali del romanzo nero tra fine '800 e inizio '900, da Arsenio Lupin (recentemente riscoperto con una interessante variazione da Netflix) a Fantomas. Non truffatori puri, certo, ma maestri anche e forse soprattutto in quest'arte.

 

 

Similmente, in ambito nipponico, per ladri d'eccellenza quali "Lupin III" o "Occhi di Gatto". In fondo, la brutalità (più o meno raffinata) dell'omicidio o la pura azione del furto offrono anche meno il destro a un abile sceneggiatore di ordire una trama in cui il lettore si compiace di naufragare dolcemente tra falsi indizi e duplici, triplici cospirazioni, mentre la grande truffa del pop è quella di sedurci con piani geniali, rapidi rimescolamenti del gioco delle tre carte in grado di straniare il lettore quanto il pollo della truffa in questione.

Lasciando però, alla fine, il lettore molto meno insoddisfatto.

 

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