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Ritorno al passato: il 1985 di Stranger Things

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La terza stagione di "Stranger Things" ci riporta al 1985, tra le ultime battute della Guerra Fredda, l'invasione dei Mall e i primi cenni di crisi dell'America tradizionale.

La terza stagione di Stranger Things sposta ancora avanti di un anno la lancetta della narrazione. Se la prima stagione era collocata nel 1983, la seconda aveva luogo nel 1984, e l’attuale serie nel 1985. Naturalmente, non siamo nell’ambito di una serie storica rigorosa, ma un piccolo ripasso al contesto storico può aiutare ad apprezzare meglio tutta la stagione: e questa volta la cosa è più vera del solito, perché il contesto storico apparirà molto più rilevante, fin da subito, inserendo in questa terza stagione un rimando abbastanza centrale alla guerra fredda.

La stagione, come detto, si ambienta nel 1985: ma una prima scena iniziale ci riporta al 1984. Un anno non casuale per la fantascienza, perché è quello di ambientazione del massimo capolavoro della distopia inglese, il 1984 di George Orwell, appunto. Un anno di ambientazione ottenuto invertendo le ultime due cifre dell’anno di composizione, il 1948, per narrare di una distopia futura in cui il totalitarismo comunista della Russia di Stalin aveva trionfato. La coincidenza aveva colpito molto l’immaginario, tanto da ispirare, nel 1984 reale, il celebre spot del Machintosh della Apple che riprende vistosamente il romanzo orwelliano. Del resto nel 1984 le tensioni tra USA e URSS erano tornate alte. L’anno precedente, il 1983, l’avvio del progetto dello Scudo Spaziale di Reagan (il progetto "Star Wars" che, una volta completato, avrebbe annullato in gran parte i nucleari sovietici) aveva prodotto una forte tensione: le olimpiadi di Los Angeles del 1984 erano state disertate in blocco da URSS e paesi satelliti (come del resto, nel 1980, gli USA avevano disertato le Olimpiadi di Mosca).

Ma, lo stesso anno, la morte del segretario del PCUS Andropov (il segretario del partito comunista, in Russia, era il vero arbitro del potere sovietico) aveva aperto la tensione sul possibile erede: una “colomba” avrebbe potuto portare alla distensione, ma un “falco” alla guerra.

Nel 1985 si sarebbe ottenuta la risposta: Gorbaciov, eletto nuovo segretario, avviò un procedimento di distensione e di trasformazione interna, basata sui pilastri di Glasnost e Perestrojka. Il disastro nucleare di Chernobyl del 1986 (oggetto oggi di una serie di alta qualità, e che occhieggia a suo modo nella prima scena) rese poi evidenti le debolezze del sistema russo di allora, favorendo ulteriormente una pacificazione che assunse sempre più l’aspetto di una resa, e poi di un crollo, della parte sovietica, dagli accordi di Rekjiavik del 1987, conclusivo successo di Reagan (che avrebbe concluso il mandato nel 1988), preludio al collasso del 1989.

Ma agli inizi di quel 1985 la cosa non era ancora così chiara ed evidente, e anzi alta era negli USA la preoccupazione per l’infiltrazione di spie russe (del resto sicuramente presenti e operative). Una paranoia non del tutto infondata, che non raggiunse comunque la psicosi dell’età maccartista, ma è presente come un sottofondo diffuso nella società e nella serie. Se questo è l’elemento più vistoso del discorso storico, l’attenzione della serie va anche su elementi di storia sociale, che – per quanto molto interessanti per certi versi - vengono forse enfatizzati in modo fin un po’ didascalico, complice anche il tono nettamente umoristico in molti punti.

Da un lato, c’è il tema della diffusione dei grandi centri commerciali, i Mall, che vampirizzano le piccole cittadine svuotandole della loro anima e riducendo sul lastrico i negozietti locali, espressione di una vecchia America di provincia, alla Norman Rockwell, che va sparendo. E questo si sposa perfettamente al tema horror della serie, del resto seguendo una certa estetica del “supermercato horror” anni ’80 cara a Romero ma anche a Stephen King (vedi “La nebbia”), autore che ha profondamente ispirato la serie.

Dall’altro, in modo ancor più evidente, c’è il tema del maschilismo tossico ancora nel pieno del suo potere, che ricorre in tutte le sottotrame come evidente fin dalle prime puntate. La povera Nancy (soprannominata “Drew”, come una celebre ragazzina detective dei libri per ragazzi) stagista bistrattata al giornale locale, lo sceriffo sempre più goffo e prevaricatore sia nei confronti del suo interesse sentimentale, sia, nel ruolo di padre, verso Eleven e la sua sessualità emergente con tanto di colonna sonora di “Material Girl” di Madonna. L’abuso in ogni dove del fumo – di sigarette e di sigari – è così un ulteriore elemento storico che viene però esasperato a volte in modo un po’ macchiettistico; e se da un lato offre siparietti divertenti, lo sceriffo era forse un personaggio più interessante nelle stagioni precedenti, quando le asperità del personaggio erano meno smussate in un tono comico.

In ogni caso, appare interessante come Stranger Things provi a smarcarsi almeno in parte dall'usurato meccanismo della nostalgia restituendoci degli anni '80 meno idilliaci e idealizzati del solito: l'ultima America tradizionale, quella dell'edonismo reaganiano, apparentemente si presenta all'apice del suo successo, ma si intravvedono in modo sempre più evidente le crepe che dissolveranno quel provincialismo felice. Il Mall, grande infiltrato disgregatore, porta la crisi in famiglie oleografiche sempre più preda di fratture insanabili. Il "ritorno al futuro" degli anni '50 felici dell'immaginario conservatore è impossibile (del resto, è anche il tema dell'omonimo film di Zemeckis, di quell'anno), e la superficiale serenità da cartolina pubblicitaria, non a caso, è resa con una citazione che, in un singolo caso, non guarda agli '80 ma ai '50, con L'invasione degli ultracorpi. Insomma, una visione non banale, che ci offre un'occasione di ripensare agli Ottanta in modo forse un po' meno ingenuo di quanto ci si poteva aspettare.

Questo articolo fa parte della Core Story dedicata a Stranger Things.

 

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